Tanto rumore sulla accelerazione di Renzi. Ma l'impegno ad
approvare l'Italicum entro la fine dell'anno è stato preso e ribadito
molte volte. E vale anche se il premier non ha alcun particolare bisogno
di elezioni anticipate
Tipico del circuito politico-mediatico, ora è tutto un
discutere sulla «accelerazione» che Matteo Renzi starebbe imprimendo
alla riforma elettorale, sui dubbi di Berlusconi (o meglio di Forza
Italia), sulle resistenze dei partiti minori, tutto ciò perché si dà per
certa l’intenzione del premier di portare il paese alle elezioni
anticipate nella primavera prossima.
È il solito vizio della memoria corta. Perché Renzi ha già detto
svariate volte, e in almeno due discorsi programmatici in parlamento,
che per lui la riforma elettorale deve essere varata entro la fine del
2014. Siamo a novembre, il minimo che ci si possa aspettare è che la
questione venga tirata fuori dal cassetto. Come era prevedibile che i
due sottoscrittori del patto del Nazareno avrebbero dovuto aggiornare i
termini dell’accordo: nelle more dell’approvazione al senato del “nuovo”
bicameralismo, quattro mesi fa, Renzi e il Pd presero l’impegno alla
revisione dell’Italicum, anche nella speranza di ammorbidire le
opposizioni. Quell’intento è stato in seguito ribadito più volte,
specificando le questioni in oggetto: soglie di sbarramento, premio di
maggioranza, una forma di scelta dell’eletto da parte degli elettori.
Se l’obiettivo di fine anno possa essere rispettato o meno lo
capiremo probabilmente lunedì, quando i termini del nuovo accordo
Renzi-Berlusconi (che c’è) saranno sottoposti ad Alfano. Anche qui nulla
di strano: come è stato chiaro fin dall’inizio, queste riforme non si
fanno spaccando la maggioranza di governo.
Dopo di che, è evidente che il sistema dei partiti e dei media ha
bisogno per sopravvivere del permanente orgasmo da elezioni imminenti.
Nella testa di Renzi non sono oggi più vicine o più probabili di quanto
lo fossero nei mesi scorsi. Dal suo punto di vista il lavoro a palazzo
Chigi procede bene e non c’è alcun motivo di spezzarlo (confessando un
fallimento) solo per guadagnare in parlamento numeri che fin qui non
sono mai mancati.
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