Qualsiasi
storia tocchi Selma Lagerlöf diventa un racconto che ci riguarda, che
siano fiabe, miti o, come in questo caso, i vangeli apocrifi e le
leggende raccolte nei suoi viaggi in Italia e in Oriente. Storie in cui
rivivono l’impero di Augusto, la Giudea di Erode e Pilato, il deserto
della regina di Saba e Salomone, ma anche le crociate di Gerusalemme e
le origini della Firenze di Dante. Storie alternative, ispirate dai
testi esclusi dalla Bibbia o fioriti nei secoli intorno alla figura di
Gesù, che la Lagerlöf rivisita liberamente in novelle poco ortodosse e
molto moderne, attraverso la sua capacità di comprendere i sottili
meccanismi dell’animo umano, come a dire che non esistono limiti al
narrare, che non c’è un’unica e vera versione, ma una ricchezza di
racconti possibili per continuare a immaginare, a interrogarsi, a
provocare. La vecchia Sibilla che dal Campidoglio vede nascere in
Palestina il bambino che rinnoverà il mondo, i magi come tre poveri
emarginati che seguono la stella cometa sognando oro e potere e
scoprendo com’è umile la felicità, il sanguinario Tiberio colpito dalla
lebbra a Capri e il lungo viaggio fino al nazareno che può miracolarlo,
la passione con cui Raniero de’ Pazzi tiene vivo il sacro fuoco che
ispirerà i grandi fiorentini, e le proteste di san Pietro in paradiso
per l’eterna sofferenza del mondo. Se Gesù è il punto di partenza, i
veri protagonisti sono gli uomini che in ogni novella, in qualche modo
inaspettato, vivono un’epifania, una trasformazione, passando dalle
ragioni di una Storia violenta alla riscoperta dell’amore e della
solidarietà, un paradiso di valori per cui vale la pena di volgere gli
occhi dal cielo alla terra.
La terza guerra di Gaza
Capire Renzi
La terza guerra di Gaza
di Lorenzo Biondi
Chi ha vinto la guerra di Gaza? È vero che Hamas è responsabile dell’assassinio dei tre ragazzi israeliani? Che ruolo ha svolto Netanyahu? E l’America? Adesso cosa succede a Gaza? Che ne sarà del processo di pace? Le risposte nel primo libro che ricostruisce il terzo e più sanguinoso conflitto nella Striscia.
Capire Renzi
Esce il libro "IL Renzi". Stralci dall’introduzione “Anatomia
di un enigma”: «Molti pensano che sia l’ultima spiaggia ma la strada
ha molte incognite: dove sta portando l’Italia il nuovo leader?»
Nell’era della grande crisi della politica, probabilmente solo un
“politico antipolitico” poteva occupare la scena. Solo uno capace di
prendere il Senato per il bavero può contenere la spinta
antiparlamentare che esiste nel paese. Nel momento storico in cui gli
italiani paiono davvero sul punto di mandare a quel paese la politica,
il parlamento, i partiti, solo uno pronto a prendere a calci le porte,
come quel personaggio di Tennessee Williams, riesce a stare in campo e a
fronteggiare i furori antipolitici.
Per questo – non lo dicono solo i politologi ma il senso comune – la
sensazione diffusa è che, tolto Renzi di mezzo, ci sarebbe il salto in
qualcosa che potrebbe cambiare la faccia della nostra democrazia o come
minimo radicalizzare l’estraneità dei cittadini alla cosa pubblica, alle
istituzioni.
Naturalmente quello che viene definito il populismo di Renzi è anche
figlio della crisi della politica. Se la Seconda repubblica non
agonizzasse, dopo il crollo tragico della Prima, se le coalizioni
avessero trovato un loro equilibrio, se la destra non fosse ancora
dominata, dopo vent’anni, da un Berlusconi inesorabilmente al tramonto e
la sinistra si fosse data programmi e leadership convincenti e
riconosciuti, oggi non ci sarebbe un leader con caratteristiche del
tutto nuove.
Il renzismo è la conclusione della crisi di quella che Pietro Scoppola chiamava la «repubblica dei partiti», avendo nel contempo nebulizzato la repubblica senza partiti del berlusconismo. Una conclusione, per fortuna, che non ha nulla di drammatico, non è accompagnata da tumulti né produce dittature. Renzi chiude una fase mediante una inedita personalizzazione del suo stesso partito: ci troviamo dinanzi a un pigliatutto, un “rompi-schemi”, un politico molto laico eppure intriso di cultura cattolica, un inafferrabile, come abbiamo detto.....
Il renzismo è la conclusione della crisi di quella che Pietro Scoppola chiamava la «repubblica dei partiti», avendo nel contempo nebulizzato la repubblica senza partiti del berlusconismo. Una conclusione, per fortuna, che non ha nulla di drammatico, non è accompagnata da tumulti né produce dittature. Renzi chiude una fase mediante una inedita personalizzazione del suo stesso partito: ci troviamo dinanzi a un pigliatutto, un “rompi-schemi”, un politico molto laico eppure intriso di cultura cattolica, un inafferrabile, come abbiamo detto.....
Alla scoperta di Marguerite Duras in un
ristorantino di Parigi
Un saggio di Sandra Petrignani
Un nuovo saggio di Sandra Petrignani, Marguerite, la racconta come una donna strana e geniale. E le testimonianze della scrittrice francese, vitale e intrinsecamente drammatica, si ritrovano sui muri di un locale francese come nel cuore dei suoi lettori.
Sandra Petrignani ha saputo così bene
penetrare l’animo della scrittrice francese e raccontarlo a tutti.
È un libro molto bello, con un po’ di finzione dentro un ritratto
a pennellate forti, sincere: un ritratto di una grande donna, una
strana donna, una geniale donna. Va letto, Marguerite, da chi ama già
l’opera durasiana come da chi quell’opera ignora. E da chi vuole
immergersi negli anni meravigliosi della Parigi intellettuale del
dopoguerra, gauchiste e piena di amore , gli anni di una grande
illusione – politica, esistenziale, artistica –, le nottate, le
riviste, la musica, il cinema, il sesso, il comunismo.
SALVATORE VASSALLO
Liberiamo la politica
Prima che sia troppo tardi
Se il veleno del
proporzionalismo iniettato dai giudici della Corte costituzionale
entrasse in circolo, allora sì che, di fronte alla moltiplicazione dei
partiti e a un Parlamento incapace di decidere, molti comincerebbero a
dire che è meglio liberarsi della politica democratica, invece di
liberarla.
La politica italiana ha bisogno di un nuovo inizio,
dopo essere rimasta bloccata per vent’anni, a destra e a sinistra, a
causa di gruppi dirigenti invecchiati, screditati, più dediti
all’autoconservazione che a salvare il Paese dal declino. Il cambiamento
necessario non verrà dalla somma di speculari debolezze, né
dall’antipolitica che le assedia, ma da una nuova generazione di leader e
attivisti determinati a ridare dignità e forza alle istituzioni
democratiche creando finalmente le premesse di una normale democrazia
dell’alternanza. Con partiti non più drogati dal finanziamento pubblico o
da quello privato di uno solo, aperti alla partecipazione, capaci di
pensare e decidere in maniera plurale. Con un parlamento reso meno
costoso e più forte dal superamento del bicameralismo, con meno
chiacchiere in Transatlantico e più lavoro nelle commissioni, indennità
trasparenti secondo standard europei, un sistema elettorale che consenta
ai cittadini di scegliere i singoli parlamentari e il Primo ministro.
Con leader posti effettivamente nelle condizioni di governare che dopo
due o tre mandati al massimo vengono sostituiti.
Zygmunt Bauman: "Perché abbiamo tutti paura"
Il grande sociologo polacco, autore del nuovo "iLibra" di Repubblica e Laterza "Il demone della paura", spiega cause e conseguenze delle paure che attanagliano il mondo contemporaneo. "Dalle catastrofi naturali alla chiusura improvvisa della fabbrica dove si lavora da 20 anni, da un crollo in borsa che manda in fumo la pensione e risparmi accumulati per anni a un attacco terroristico. Nessuno ha più la situazione sotto controllo. Le paure di oggi sono sparse, sono diffuse e non siamo in grado di individuare con precisione le fonti da cui provengono".C'era una volta un Paese
Nusseibeh Sari
Discendente di una tra le più colte e illustri
famiglie palestinesi, Sari Nusseibeh cresce per le strade di
Gerusalemme, di cui beve avidamente lo spirito multiculturale e
multireligioso. Diventa testimone e protagonista degli eventi più
tragici della sua terra: l'occupazione da parte dei coloni israeliani,
l'esilio forzato di migliaia di famiglie palestinesi, le guerre, la
nascita dei fronti di liberazione armata, il fallimento degli accordi di
pace, le intifade, l'ascesa del fanatismo religioso e il proliferare
dei kamikaze, la costruzione del muro. Nel ripercorrere la sua vita,
Nusseibeh lega indissolubilmente la saga della sua "eccezionale"
famiglia al destino del suo popolo e del suo incompiuto paese, e incarna
con la sua esistenza, pubblica e privata, mezzo secolo di storia
palestinese. "C'era una volta un paese" è l'autobiografia di un uomo che
non ha mai smesso di difendere le ragioni della pace, della democrazia e
della tolleranza, alla ricerca di una soluzione non violenta al
conflitto israelo-palestinese. Da moderno Don Chisciotte, Nusseibeh si
muove con visionaria caparbietà tra battaglie civili, amori letterari,
nostalgie familiari e spietati ritratti di guerra, dando vita così al
più lucido e commovente dei manifesti contro ogni forma di estremismo.
Gli sdraiati
Michele Serra
Forse sono di là, forse sono altrove. In genere dormono quando il resto
del mondo è sveglio, e vegliano quando il resto del mondo sta dormendo.
Sono gli sdraiati. I figli adolescenti, i figli già ragazzi. Michele
Serra si inoltra in quel mondo misterioso. Non risparmia niente ai
figli, niente ai padri. Racconta l'estraneità, i conflitti, le occasioni
perdute, il montare del senso di colpa, il formicolare di un'ostilità
che nessuna saggezza riesce a placare. Quando è successo? Come è
successo? Dove ci siamo persi? E basterà, per ritrovarci, il disperato,
patetico invito che il padre reitera al figlio per una passeggiata in
montagna? Fra burrasche psichiche, satira sociale, orgogliose impennate
di relativismo etico, il racconto affonda nel mondo ignoto dei figli e
in quello almeno altrettanto ignoto dei "dopopadri". "Gli sdraiati" è un
romanzo comico, un romanzo di avventure, una storia di rabbia, amore e
malinconia. Ed è anche il piccolo monumento a una generazione che si è
allungata orizzontalmente nel mondo, e forse da quella posizione riesce a
vedere cose che gli "eretti" non vedono più, non vedono ancora, hanno
smesso di vedere.
La Lega democratica è stata un’associazione di intellettuali cattolici che, a dieci anni dalla conclusione del Concilio, sentirono la necessità di elaborare modalità e contenuti contemporanei di impegno nella società e nella politica. Il poderoso lavoro di Lorenzo Biondi che ne ricostruisce la vicenda (La Lega democratica, Viella ed., da oggi in libreria, di cui Europa pubblica un estratto) è ricchissimo sotto il profilo della documentazione e acuto nell’enucleazione di ciò che vi è di originale in quella che resta la più recente elaborazione del pensiero cattolico-democratico.
Chi ha sbagliato più forte
Le vittorie, le cadute, i duelli dall'Ulivo al Pd
“Chi vincerà? Ci vuole un cambiamento di costume, culturale. Vincerà chi capisce che il gioco è cambiato e che bisogna farne uno completamente nuovo. Ci volevano un altro tipo di persone, un altro modo di fare politica. Un’altra solidità, un altro rigore. Un’altra integrità.” Nanni Moretti
Dal sogno della Canzone popolare di Ivano Fossati, l’inno dell’Ulivo, ai centouno che a volto coperto hanno eliminato Romano Prodi dalla corsa per il Quirinale. Dalla democrazia dei cittadini alla palude delle larghe intese. È il risultato di una guerra civile a sinistra durata vent’anni. Una catena di ambizioni personali, rivalità tra capi, logiche di conservazione degli apparati che ha spezzato la speranza di un partito nuovo e ha condotto a sconfitte disastrose. Una debolezza culturale, istituzionale, perfino etica, che si è conclusa con una catastrofe. Questa è la prima storia del centrosinistra della Seconda Repubblica, in presa diretta. Un diario personale e politico. Con le voci di quattro protagonisti, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Arturo Parisi, e di un testimone d’eccezione, Nanni Moretti. Le vittorie, le cadute, i duelli. I leader e i personaggi minori, le loro debolezze e i voltafaccia, le rivelazioni di un traditore. Ma anche il racconto del popolo dell’Ulivo, che si muove come un fiume carsico e irrompe a sorpresa. I movimenti, i girotondi, le file ai gazebo delle primarie che spesso capovolgono i risultati già scritti: un’incredibile riserva di passione e di militanza nei tempi delle appartenenze liquide e dell’anti-politica crescente. Il ritratto di una, due generazioni che non ci stanno a farsi tradire da chi ha sbagliato più forte.
Gerusalemme senza Dio.
Ritratto di una città crudele
di Paola Caridi
Gerusalemme è una città dilaniata da millenni di guerre, scontri tra
religioni, conflitti tra politiche contrapposte, che ne hanno fatto di
volta in volta un simbolo, un avamposto strategico, un luogo da
conquistare e controllare all'interno di un mercato di territori e
popolazioni. Paola Caridi ha vissuto per dieci anni a Gerusalemme. Le
sue pagine ci restituiscono una città vissuta intimamente,
indimenticabile per la bellezza delle mura antiche, delle pietre
bianchissime, della sua umanità dolente. Ma ci restituiscono anche una
città crudele, dove israeliani e palestinesi fanno talvolta la spesa
negli stessi supermercati, per poi rinchiudersi nei confini dei
rispettivi quartieri, invisibili gli uni agli altri. Una città
costellata di posti di blocco che controllano gli spostamenti di donne e
uomini, merci e idee, nemici e potenziali attentatori. Una città densa
di segni e memorie antiche e recenti, in cui ogni stagione politica
porta con sé nuovi vincitori, nuove versioni della storia passata, nuove
ripartizioni degli spazi urbani, nuove abitudini di vita. Gerusalemme
si è aperta per un breve periodo alla modernità, per poi rinchiudersi
dentro i propri muri. Rimane comunque un laboratorio, in cui si
scontrano politica e vivere quotidiano. Sopravvive la speranza: che
Gerusalemme, una e condivisa da tutti, torni a essere una città per gli
uomini e le donne che lì vivono.
Cellophane
Cinzia Leone
ed Bompiani
Aurora non doveva nascere. È venuta al mondo per rimpiazzare la
sorella inghiottita da un’onda: una vita da sostituta. Da rifiuto. Ha
una mania: setaccia i sacchetti della spazzatura per ricostruire vite di
sconosciuti. Non raccoglie i rifiuti, li ispeziona e basta. Fino a
quando un dito mozzato, un grumo di sangue e segatura trovato in un
sacchetto la trascina in una caccia all’uomo. Un dito non si abbandona
in un cassonetto: si sotterra, si distrugge, si cancella.
Cercando il bandolo della matassa, scopre un traffico di rifiuti. Una
storia pericolosa nella quale ruotano, strozzini, imprenditori senza
scrupoli, un greco affascinante e un pianista disperato. Fino alla
grande discarica dove sono nascoste scorie radioattive. Intorno una
Sicilia degli anni ’80 invasa dalle televisioni a colori, dai soldi
inspiegabili e dalle cambiali: un’Italia che corre verso brulicante di
immagini fasulle.
Aurora è una ragazza speciale, dominante. Ha ereditato un’azienda:
caccia topi, blatte e parassiti, tutto quello che il genere umano odia.
Il suo mestiere con lo sporco c’entra, e soprattutto con le paure. Il
gioco lo conduce lei: in ditta e con i sacchetti. E anche con gli
uomini. Molti uomini. Le braccia di Stavros la eccitano nei vapori di
una piscina termale: ha quarant’anni più di lei, è l’amico-nemico di suo
padre. Legata a una benna da Sebastiano o in un pick up con Salvatore,
Aurora domina i suoi maschi, forte della sua solitudine e del suo
singolare mestiere.
Cellophane ruota intorno a una domanda: è più
importante quello che conserviamo o quello che gettiamo? Per Aurora
tutto sarebbe stato più semplice se i sacchetti della spazzatura fossero
stati trasparenti come il cellophane. Se non avesse avuto bisogno di
frugare nei rifiuti delle vite degli altri per reinventarsi la sua. A
salvarla, a insegnarle ad amare, saranno Tito, un cagnolino preso
controvoglia e un mazzo di rose gialle avvolto nel cellophane.
Confesso che ho vissuto
Pablo Neruda
Neruda racconta la sua vita, i suoi pensieri, i suoi anni e tutte le lotte combattute per il Cile, la sua terra di nascita, e per l’umanità, il suo terreno di ispirazione. Attraverso incarichi diplomatici, impegno civile, conflitti come quello mondiale o la guerra di Spagna, amori, amicizie, incontri e ritorni impariamo
a conoscere un uomo e un poeta che ha disegnato la storia con le sue
parole, regalando a tutti noi un’opera non solo poetica ma anche e
soprattutto umana, capace di essere sintesi e superamento di ciò che gli occhi hanno visto, le orecchie hanno udito e la mente ha elaborato.
Confesso che ho Vissuto è un libro d’amore, come d’amore sono tutte le cose scritte da Neruda, un poeta che amava perché amava l’amore e senza di quello non avrebbe nemmeno potuto respirare, vivere, creare.
La moglie
di Jhumpa Lahiri
Nati a quindici mesi di distanza in un sobborgo di Calcutta negli anni tormentati dell'indipendenza indiana, i fratelli Subhash e Udayan si somigliano al punto che perfino i parenti li confondono tra loro, ma sono anche l'uno l'opposto dell'altro. Subhash, silenzioso e riflessivo, cerca di compiacere i genitori esaudendo ogni loro richiesta; Udayan, ribelle ed esuberante, non fa che mettere alla prova il loro affetto. Così, quando sul finire degli anni Sessanta nelle università bengalesi si diffonde la rivolta di un gruppo maoista contro le millenarie ingiustizie subite dai contadini, Udayan vi si getta anima e corpo, pur consapevole dei rischi; Subhash invece se ne tiene alla larga e preferisce partire per gli Stati Uniti. I loro percorsi sembrano divergere inesorabilmente: Subhash intraprende una tranquilla carriera di studioso in una cittadina sulle coste del Rhode Island, mentre Udayan, contravvenendo alle tradizioni, sceglie di sposarsi per amore con Gauri, una giovane studentessa di filosofia, affascinata dal suo carisma e dalla sua passione. Poi la tragedia irrompe, improvvisa e distruttiva. Quando Subhash scopre cosa è accaduto a Udayan nella spianata dove da bambini trascorrevano intere giornate a giocare, si sente in dovere di tornare a Calcutta per farsi carico della sua famiglia e curare le ferite causate dal fratello, a partire da quelle che segnano il cuore di Gauri.
Gerusalemme senza Dio
Paola Caridi
Il titolo potrebbe sembrare a prima vista provocatorio. Gerusalemme senza Dio: in fondo, è l’ossimoro per eccellenza. Togliere Dio alla santità della città. Così non è. Non è né un titolo provocatorio né un libro irriverente. Togliere l’aura di santità da Gerusalemme vuol dire semplicemente alzare il velo e guardare la città e i suoi abitanti (cittadini, purtroppo, è un termine che è difficile usare, per una realtà urbana e politica come quella). È una ragione semplice, dunque, quella che mi ha spinto a rimuovere (ma solo nel titolo) Dio da Gerusalemme. È che in questo modo appaiono gli uomini e le donne della città, gli stessi uomini e donne in cui – per la visione cristiana – Dio si è incarnato e si è fatto uomo. Eppure, nonostante la scelta di una visione a prima vista solo evangelica, dunque cristiana, ho voluto scrivere un libro laico e libero. Laico nell’approccio, libero dai condizionamenti fideistici e politici, e in ogni caso preciso nel punto di vista. Non è un libro, infatti, che vuole compiacere tutti. In questo, è simile agli altri due che ho dedicato alla regione mediorientale. Ho scelto un punto di vista, il mio, forzando stavolta l’analista a indossare anche l’abito di una donna che ha vissuto quotidianamente dieci anni della sua vita a Gerusalemme. Perché non avrei potuto scrivere su Gerusalemme senza partire da una esperienza che ora, distante dalla città, considero rara, importante, unica per la mia esistenza e la mia dimensione intellettuale. Dico sempre che un pezzo del mio cuore è rimasto al Cairo. Ora, ma con molta fatica, posso dire che un altro pezzo del mio cuore è rimasto a Gerusalemme. E chi ha frequentato la città considerata santa sa che a Gerusalemme si lascia un cuore ferito: ferito dall’incompiutezza della Città. L’archetipo, il modello della Città Celeste contiene, nella sua vita quotidiana, tutti gli ingredienti del conflitto, delle umiliazioni, dei peccati e della crudeltà. La città che dovrebbe essere modello per le altre non è, nella sua vita quotidiana, una città, bensì una realtà urbana divisa, rinchiusa nei suoi ghetti che talvolta si sovrappongono e altre volte di frammentano ancora di più. Il resto – chi vorrà e ne avrà piacere – lo potrete leggere nel libro. Il blog, invece, ospiterà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane tutte quelle riflessioni, quegli episodi, quei frammenti che nel libro non ci sono. E ospiterà le foto e le illustrazioni che troverete nel libro, firmate dai miei amici fotografi, da un autore di fumetti (che scoprirete cammin facendo), da studiosi che mi hanno messo a disposizione le loro immagini. Il primo appuntamento, per parlare di Gerusalemme, è un appuntamento a cui tengo molto. Anzitutto perché è al Festival della Letteratura di Mantova, che mi ha già ospitato molte volte. E poi perché è una conversazione tra due donne che hanno amato di un amore sofferto la città di cui hanno scritto, e che conoscono molto bene l’una la città dell’altra. La conversazione è tra Ahdaf Soueif e me, sulla sua Cairo e la mia Gerusalemme, il 5 settembre alle 20 e 45. Un orario siciliano, a dire il vero. Anzi, mediterraneo.
Il velo della diversità
Alessandro Pizzorno
Sociologo e cultore degli studi politici,
Alessandro Pizzorno ha acquisito una posizione chiara nel panorama
degli intellettuali che cercano di accoppiare agli approfondimenti
sociali s psicologici su temi di grande rilievo razionale una
riflessione attenta allo scorrimento delle vicende collettive. Adesso in
Il velo della diversità (Feltrinelli, 2007) egli raccoglie una
serie di saggi nei quali muove proprio dal rapporto tra svolgimento di
eventi e ripercussioni nell’ordine teorico. La funzione sociale della
produzione di spiegazioni si è rivelata sempre più essenziale, in
un’epoca nella quale le “insidie” dall’individualismo e del relativismo
rendono arduo individuare identità precise attorno alle quali porre le
basi per il superamento dell’ “io”.La stessa “azione” rischia di perdere una propria collocazione culturale: è difficile infatti appellarsi alla “verità”, quando l’ “incertezza” caratterizza lo stesso mondo scientifico. Cita al riguardo il caso della lettura dei giornali pubblicati nei giorni successivi alla “presa della Pastiglia”: c’è in quei documenti la identità della “nazione francese”.
Pizzorno si misura quindi con il tema della “scelta razionale” e sottolinea la distinzione tra il soggetto d’azione studiato dagli economisti rispetto al soggetto studiato dai sociologi. Giocano forze impersonali, come si osserva quando si pone mente alla teoria economica della democrazia di Downs, secondo la quale “votare” non può considerarsi un comportamento razionale, data la scarsa probabilità che un singolo voto possa avere effetti apprezzabili sul risultato elettorale, oppure alla teoria dell’azione collettiva di Olson, secondo il quale la formazione dei gruppi, dei movimenti non può essere spiegata in termini di costi e benefici in quanto lo svantaggio della partecipazione allo sforzo collettivo è superiore ai benefici ottenuti.
Abbiamo citato queste due tesi perché da esse si potrebbe dedurre l’inutilità dell’impegno politico. Ma l’A. osserva altresì gli effetti della produzione di norme che possano interiorizzare i valori, secondo una logica che egli stesso aveva già esposto (socializzazione, incentivazione, disciplina) e si sofferma quindi sui limiti dell’uso della nozione di razionalità nelle scienze sociali. Come si vede, scorrendo da Weber ai sociologi più recenti, il problema dei riconoscimento sociale si pone come centrale per la comprensione razionale dei fenomeni.
Bisogno di libertà
Björn Larsson
“Non
si nasce liberi, lo si diventa”, e non basta né desiderarlo, né
sognarlo, né avere la sensazione di esserlo, per diventarlo realmente:
essere liberi è una conquista continua, e precaria, che dura tutta una
vita. Ed è la sua vita che Björn Larsson sceglie questa volta di
raccontarci ad exemplum, il suo apprendistato di quella libertà
che è poi il tema di fondo di tutti i suoi romanzi e il filo rosso che
unisce i suoi multiformi personaggi, che siano il pirata Long John
Silver, MacDuff, Inga o il capitano Marcel. Se già nella Saggezza del mare
ci ha rivelato quanto un’esistenza nomade e vagabonda a bordo di una
barca, lontana dalle convenzioni e dal superfluo, possa essere un
antidoto alla schiavitù della routine e dei condizionamenti, qui Larsson
si spinge ancora più in là e più a fondo nella sua riflessione. Dal
bambino che non piange la morte del padre, al ragazzo che marina la
scuola per seguire un suo percorso di studi, al giovane che preferisce
la prigione alla cieca disciplina del servizio militare, allo scrittore
combattuto tra il vivere e lo scrivere, attraverso i continui viaggi tra
terra e mare, amicizie vere e amori che mettono a repentaglio la sua
viscerale indipendenza, ci offre il suo vissuto, non per darci di sé un
ritratto ideale, anzi con un’onestà e un rigore che sono già di per sé
una lezione di libertà intellettuale, ma per passarci quanto la vita gli
ha insegnato sul cammino. Che la libertà esige parità e reciprocità,
che non è raggiungibile senza immaginazione e sogni, ma anche senza
realismo e disciplina, che è di natura solitaria e deve fare compromessi
con l’amore, che la dote principale di cui ha bisogno è il coraggio: di
non fare come gli altri, non seguire mode, uniformi, ipocrisie e di
saper anche, in un’epoca di proclamato individualismo e di reale
conformismo, levare la propria voce contro per ricordare il bisogno di
amicizia, di tolleranza e di solidarietà.
Vivere a spreco zero
Una rivoluzione alla portata di tuttiGeorge Orwell spiega “1984″
Internazionale 13 agosto 2013In una lettera del 1944 contenuta nel volume George Orwell: a life in letters, appena ripubblicato in inglese (Liveright 2013), George Orwell spiega la teoria alla base di 1984, il romanzo che avrebbe cominciato a scrivere tre anni dopo e che sarebbe stato pubblicato nel 1949.
Nel testo Orwell mette in guardia contro la nascita di stati di polizia totalitari che secondo lui stavano maturando.
Orwell si dice anche preoccupato per l’indifferenza mostrata dai cittadini verso la decadenza della democrazia, ma anche per le posizioni assunte dagli intellettuali, spesso più vicine al totalitarismo di quanto sembri.Tutti i movimenti nazionali, dappertutto, […] sembrano assumere forme non democratiche, raccogliersi intorno a dei führer superumani […] e adottare la teoria che il fine giustifichi i mezzi. Ovunque, la direzione che il mondo sembra seguire è verso economie centralizzate che possono essere fatte “funzionare” in senso economico ma che non sono organizzate in modo democratico e tendono a stabilire un sistema di caste. Accanto a questo si sviluppa […] la tendenza a non credere all’esistenza di una verità oggettiva, perché tutti i fatti devono adattarsi alle parole e alle profezie di qualche führer infallibile.
“Penso, e l’ho fatto da quando è scoppiata la
guerra, nel 1936 o giù di lì, che la nostra causa sia migliore, ma
dobbiamo continuare a renderla tale, e questo comprende anche un
atteggiamento critico costante”.
La rivoluzione egiziana
Paola Caridi
Il Cairo è una città percorsa dalla linfa della rivolta. Una città che nella sua piazza più grande si è radunata, tornando ad essere il centro dell’Egitto, e catalizzando l'attenzione di tutto il mondo arabo, e non solo. La scrittrice e fondatrice del Palfest Ahdaf Soueif (Il Cairo) la vive oggi con trasporto, felice dei giovani che hanno raccolto il testimone dell’impegno civile in un tempo incerto. Gerusalemme, agli occhi della giornalista Paola Caridi (Gerusalemme senza Dio), è invece una città crudele, messa alla prova da eventi terribili che l’hanno costretta sempre a mutare il suo aspetto urbanistico, a ridefinire la propria identità, cancellando i ricordi più vicini.
Patria senza padri
La crisi dei partiti, la sfiducia verso le istituzioni e l'ascesa dei nuovi populismi; una precarietà sempre più opprimente; il malessere diffuso che dà luogo ad apatia o a violenza incontrollata; le dimissioni di un pontefice e l'attardarsi al potere di una classe dirigente incapace di crearsi degli eredi: questi sono i fenomeni che si intrecciano nell'Italia degli ultimi anni, creando una situazione di instabilità profonda, difficile da interpretare e quindi da risolvere. In questo libro-intervista, uno dei più stimati psicoanalisti italiani di oggi propone una lettura della nostra vita politica e più in generale collettiva attraverso le categorie su cui basa da sempre il suo lavoro di ricerca e la sua pratica clinica: il desiderio e la Legge, il rapporto con l'Altro, il narcisismo, la dinamica del conflitto, la relazione fra padri e figli. È un percorso che ci porta - superando le facili interpretazioni di giornalisti, politologi, sociologi- a capire non solo cosa accade davvero nella mente degli italiani (e di chi dovrebbe governarli), ma anche da dove possono ripartire un dibattito e un'attività pubblica psicologicamente sani, liberi da logoranti perversioni e fatti di responsabilità, testimonianza, coraggio.
La casa tonda
Louise Erdrich
La madre di Joe è vittima di uno stupro in un luogo sacro. Nella sua riserva in North Dakota, la casa tonda era il luogo in cui gli ojibwe praticavano la loro religione tradizionale in segreto, nascondendo le piume di aquila e i rotoli di corteccia di betulla ai preti cattolici che li avevano convertiti. Ma la capanna di legno esagonale sorge su un terreno che appartiene sia alla tribù sia allo stato. Senza sapere esattamente dove la violenza ha avuto luogo, è impossibile determinare chi dovrebbe processare lo stupratore, che così rimane a piede libero. Il romanzo è ambientato nel 1988 ma Erdrich ci assicura che questa assurda impasse legale esiste ancora in molte riserve. E il numero di stupri di cui sono vittime le donne native americane rimane impressionante. Ma La casa tonda non è un romanzo polemico. È la storia del passaggio di Joe, il protagonista, all’età adulta.
VIAGGIO IN SICILIA
Don Primo Mazzolari
Don Primo Mazzolari fu in Sicilia nel 1952, a qualche anno di distanza
dall'epoca contadina per la terra, e subito dopo gli inizi di quella
riforma agraria che avrebbe dovuto incamerane le grandi istanze. Venne
in Sicilia da prete, da cattolico popolare impegnato nella questione
sociale, e soprattutto da parroco contadino della Val Padana. Ed è il
contadino padano che osserva, si pone domande, avanza proposte, in
questo libretto, Viaggio in Sicilia, reportage di denuncia e
proposta di governo della modernizzazione, al suo apparire rientrò,
spiccando per autorevolezza morale, tra le molte voci (allora un vero
coro, diremmo oggi, "trasversale", perché raggruppava le diverse forze, e
i migliori in queste) che animavano il meridionalismo incentrato sulla
promozione civile e sociale del mondo contadino. Oggi documenta di una
tra tante buone volontà frustrate, di una ragionevolezza presto confusa,
di un sogno realizzabile sprecato. E alimenta la domanda, prima morale
storica, del perché le cose dovettero andare come sono andate.
Pascale Antonio
Pane e pace. Il cibo, il progresso, il sapere nostalgico
Un agronomo e scrittore racconta la storia di tre generazioni. No, non è un romanzo, è un excursus veloce sul rapporto che l'uomo intrattiene con la terra e con quello che mangia attraverso l'evoluzione in agricoltura e la ricerca scientifica. Un modo tutto particolare e nuovo per parlare di noi, dei nostri nonni e del nostro futuro. I pomodori dei primi del secolo sono molto diversi da quelli di oggi, così pure i frumenti, le barbabietole, e oggi chi lavora la terra non sta più piegato a togliere insetti e a concimare. Ogm, contaminazioni a vari livelli hanno migliorato molto la nostra capacità di produzione. Pensate che tra il Medioevo e i primi anni del secolo scorso non c'era differenza nella produzione di grano. Era sempre la stessa: una tonnellata, e non era abbastanza. La gente aveva fame, il cibo era un'ossessione. Così i ricordi familiari si uniscono alle conoscenze di uno scrittore che da anni porta avanti una sua battaglia personale in favore della conoscenza scientifica e della consapevolezza critica. La storia delle piante, gli incroci che nel tempo sono stati provati definiscono un modo di stare a tavola, la storia di un paese e di un territorio.
"Vicolo del Mortaio", Una Cairo lontana ma non troppo
E' un capolavoro della letteratura araba. Un romanzo di Mahfuz del 1947
sull'Egitto, il suo popolo, la sua cultura che tanto assomiglia
all'Egitto di oggi. Tutta la vita di Nagib Mahfuz è
stata spesa a raccontare l'Egitto nelle sue molteplici sfaccettature e
da attento osservatore ha saputo trasferire la realtà di settant'anni di
storia egiziana nella finzione dei suoi romanzi e nei vari racconti.
In "Vicolo del Mortaio", pubblicato nel 1947, il lettore si trova nell'Egitto ancora sotto il dominio britannico, e in particolare in un popolare vicolo del Cairo, dove i vizi più che le virtù dei vari personaggi rendono il racconto vivace e strampalato a dispetto della miseria e dell'oppressione.
C'è lo sfruttatore di mendicanti, cinico e spietato, c'è il proprietario omosessuale e drogato di un caffè, il giovane barbiere innamorato della bella Hamida, simbolo di ribellione contro l'immobilità e l'oscurantismo. Ma in questo microcosmo la vera protagonista è la vita stessa, nella sua drammatica nudità.
Mahfuz che usa la lingua araba classica preferisce uno stile ricco ma anche scorrevole e alla portata di tutti. La sua narrativa è impregnata dei vicoli cairoti, attinge alla tradizione orale dell'Egitto, ma anche al vasto spazio del nord del Sahara, dall' Oceano Atlantico all' Eufrate. Nei suoi testi sono ben descritti con chiarezza i temi contemporanei: le difficoltà dell'Egitto post-coloniale, la corruzione, i pregiudizi sociali, l'integralismo religioso.
Roma, 6 luglio 2013, Nena News In "Vicolo del Mortaio", pubblicato nel 1947, il lettore si trova nell'Egitto ancora sotto il dominio britannico, e in particolare in un popolare vicolo del Cairo, dove i vizi più che le virtù dei vari personaggi rendono il racconto vivace e strampalato a dispetto della miseria e dell'oppressione.
C'è lo sfruttatore di mendicanti, cinico e spietato, c'è il proprietario omosessuale e drogato di un caffè, il giovane barbiere innamorato della bella Hamida, simbolo di ribellione contro l'immobilità e l'oscurantismo. Ma in questo microcosmo la vera protagonista è la vita stessa, nella sua drammatica nudità.
Mahfuz che usa la lingua araba classica preferisce uno stile ricco ma anche scorrevole e alla portata di tutti. La sua narrativa è impregnata dei vicoli cairoti, attinge alla tradizione orale dell'Egitto, ma anche al vasto spazio del nord del Sahara, dall' Oceano Atlantico all' Eufrate. Nei suoi testi sono ben descritti con chiarezza i temi contemporanei: le difficoltà dell'Egitto post-coloniale, la corruzione, i pregiudizi sociali, l'integralismo religioso.
Novecento
un monologo
Il
libro racchiude la storia, raccontata dall'amico suonatore di tromba,
sotto forma di monologo, di Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento,
pianista sul transatlantico Virginian. Abbandonato sulla nave da
emigranti, viene allevato da uno dei componenti dell'orchestra. I suoi
elementi naturali divengono il transatlantico, il mare e la musica. Non è
mai sceso a terra e vive ed esiste solo sul Virginian dove presto
diventa un pianista di successo. Anche se non ha mai visto che mare e
porti, viaggia moltissimo, con la fantasia, carpendo le notizie. Novecento è un monologo teatrale. Baricco lo scrisse perché fosse interpretato da Eugenio Allegri e con la regia di Gabriele Vacis. Questi ne fecero uno spettacolo nel luglio dello stesso anno, che debuttò al festival di Asti.
Secondo l'autore il testo può essere definito come una via di mezzo tra
«una vera messa in scena e un racconto da leggere ad alta voce».
La democrazia italiana è oggetto costante di aspre critiche da parte dei cittadini, dei media e degli stessi politici. Perché? Partendo dal presupposto che non esiste un modello di democrazia ottimale, gli autori di questo volume hanno analizzato il cambiamento della democrazia italiana dal 1992 al 2012, un ventennio cruciale per la nostra storia. Partecipazione, competizione politica e degli interessi, media, accountability elettorale e inter-istituzionale, magistratura, corruzione, sicurezza e ordine pubblico, responsiveness, libertà, eguaglianza e solidarietà emergono come comportamenti di un sistema che si è mostrato flessibile ed adattivo, in grado, nonostante il deterioramento di alcune sue funzioni, di conservarsi nel tempo come repubblica democratica.
Leonardo Morlino è professore ordinario di Scienza politica presso la School of Government della LUISS Guido Carli di Roma e past president della International Political Science Association. Daniela Piana è professore associato di Scienza politica presso l’Università di Bologna, dove insegna Scienza politica e Istituzioni e politiche dell’integrazione. Francesco Raniolo è professore ordinario di Scienza politica nell’Università della Calabria, dove è anche presidente del corso di laurea in Scienze dell’amministrazione.
Benvenuti a Chernobyl
di Andrew Blackwell
La meta di Andrew Blackwell sono i
luoghi più inquinati della Terra: da Cernobyl a Kanpur, nell’India
disastrata delle discariche industriali illegali e delle concerie
tossiche, dall’Amazzonia sfigurata dalle coltivazioni di soia alle
miniere di carbone in Cina. Una traccia del futuro, e anche del
presente. Ecco un diario di viaggio, un saggio sull’ambiente e una
parodia delle guide turistiche.
....Arriviamo silenziosi, scivolando per inerzia tra distese di canne
palustri, con l’acqua che lambisce le fiancate di metallo della barca a
remi. Ci danza attorno uno sciame di libellule. Si posano sui bordi
ammaccati della barca, sulle impugnature dei remi, sulle mani; una,
piccola, anche sul mio naso. I remi emergono dall’acqua ricca e verde,
impigliandosi nel fitto tappeto di ninfee. Scintillano un attimo al sole
di mezzogiorno prima di tornare a immergersi....
Giuseppe Rizzo, classe ’83, ha scritto un libro ambientato in Sicilia
perché, dice, la Sicilia non esiste e lui lo sa perché c’è nato. Piccola Guerra lampo per radere al suolo la Sicilia (Feltrinelli,
pp 270; 14 euro) è una lunga corsa senza fiato, dal nord Europa giù a
capofitto fino a Lortica, il paesino dove è ambientata questa storia, e
dove i personaggi (dai nomi piuttosto improbabili) sono nati, e hanno
deciso di tornare; una corsa con il desiderio di evitare tutti gli
stereotipi sull’isola, le frasi fatte, i giudizi tagliati grosso, le
facili morali, i tanti luoghi comuni incrostati e stratificati nei
decenni; e quando qualcuno si avventura a parlare di Sicilia, loro
sentono squillare fortissimo il rilevatore di minchiate.“Pirandello fa cacare, Tomasi di Lampedusa fa cacare, (…) e Camilleri è il male assoluto, dovrebbero imprigionarlo e rileggergli tutti i romanzi di Montalbano fino a che non implori pietà”, dice Gaga, uno dei protagonisti. Quella che Giuseppe Rizzo ci racconta, in questo suo secondo romanzo, è la storia di una banda di quasi trentenni sconclusionati e visionari, che conducono una battaglia serrata contro il signor sindaco, contro i pidocchi, contro i mal di pancia, contro la paura di tornare, di sbagliare, di morire, forse anche di scoprire che le cose sono più complicate di come le vedevano da lassù, dalle città del continente dove si sono rifugiati. Un libro da cui traspare un grande amore per la Sicilia, nonostante le arrabbiature, le critiche, e la voglia di andare via; e in cui la lingua usata da Rizzo, come già ne L’Invenzione di Palermo (Giulio Perrone editore, 2010), gioca un ruolo niente affatto secondario nell’immaginario costruito dallo scrittore siciliano.
Il Potere Fragile - I 55 giorni del sequestro Moro
«
Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è
stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il “teorico” e lo
“stratega” indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni
opprime il popolo italiano [...] la controrivoluzione imperialista [...]
ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l’esecutore più fedele
delle direttive impartite dalle centrali imperialiste. »
Con questo primo comunicato, le Brigate Rosse annunciavano l’inizio
del loro processo ad Aldo Moro durato 55 lunghi giorni, che segnarono
per sempre la storia della Repubblica. E viene ancora da chiedersi, come
sarebbe cambiato il corso della storia se al posto del presidente della
Dc, avessero rapito l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
Il clima politico e sociale in cui si consumava il sequestro Moro,
era quello del cosiddetto compromesso storico, un accordo di solidarietà
nazionale che il presidente della Dc e quello del Pci, Enrico
Berlinguer, avevano raggiunto nel tentativo di portare l’Italia fuori
dalla crisi economica, politica e di forte tensione sociale del tempo.
Era il 16 marzo 1978 e il governo al quale il Pci diede la fiducia fu
totalmente monocolore, composto da soli democristiani.
Oggi che il compromesso storico è più che realizzato, Berlusconi
appena condannato in appello a 4 anni di reclusione e a 5 di
interdizione dai pubblici uffici nel processo Mediaset, di fatto governa
con i voti del Pd.
Il potere fragile
di Davide Sassòli e Francesco Saverio Garofani, edito da Fandango,
racconta quei terribili 55 giorni, dal punto di vista delle istituzioni,
ripercorrendo i drammatici fatti che si susseguirono durante il giorni
del sequestro, con uno occhio rivolto ai verbali delle otto riunioni del
Consiglio dei Ministri. Materiale declassificato, come viene definito,
ingiallito negli archivi storici di Stato, che racconta bene l’assurda
debolezza e la paura di uno Stato quasi annichilito di fronte agli
eventi. La mattina in cui Moro fu rapito, nella strage di via Fani
persero la vita cinque persone, due carabinieri e tre poliziotti,
qualche ora dopo il governo Andreotti nascerà sotto l’infausto auspicio
ottenendo la fiducia di Pci, Dc, Psi, Pri, Dn e Sinistra indipendente.
In quel verbale che sancì l’atto di nascita del governo, si sottolineava
«l’esigenza di assumere qualsiasi iniziativa ed organizzare la più
efficiente azione possibile per salvare la vita di Aldo Moro, iniziando
con il perquisire tutti gli appartamenti delle zone limitrofe a via
Fani.».
Casa per Casa, Strada per Strada
Casa per Casa, Strada per Strada
(Enrico Berlinguer)
Sono passati trent’anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer, eppure il
suo esempio e la sua tensione ideale e morale restano. Com’è possibile
che in un mondo completamente diverso la sua figura e le sue idee
continuino a essere dibattute? Perché il segretario del partito contro
cui si sono erette alleanze granitiche e si sono scavate trincee
politiche conserva intatto il fascino che sprigionava da vivo?
In
questo libro sono raccolte e sistematizzate le idee del leader comunista
attraverso interviste, discorsi e scritti. Dalla questione morale
all’austerità, dal compromesso storico allo strappo con Mosca, dalla
questione giovanile a quella femminile, le parole protagoniste della
vicenda politica di Berlinguer finiscono col disegnare quello che Indro
Montanelli, uno dei suoi più grandi avversari in vita, definì “un
programma sociale, politico, economico, etico e morale non scritto
basilare per il futuro democratico e di progresso del nostro Paese”. In
una nazione che sta progressivamente perdendo punti di riferimento e in
cui la politica si è fatta barbara e senza respiro, le idee di Enrico
Berlinguer mostrano ancora l’anima e la forza di un progetto di società
diversa.
La manomissione delle parole
di Gianrico Carofiglio
Le parole servono a comunicare e raccontare storie. Ma anche a produrre trasformazioni e cambiare la realtà. Quando se ne fa un uso sciatto e inconsapevole o se ne manipolano deliberatamente i significati, l'effetto è il logoramento e la perdita di senso. Se questo accade, è necessario sottoporre le parole a una manutenzione attenta, ripristinare la loro forza originaria, renderle di nuovo aderenti alle cose. In questo libro, atipico e sorprendente, Gianrico Carofiglio riflette sulle lingue del potere e della sopraffazione, e si dedica al recupero di cinque parole chiave del lessico civile: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta, legate fra loro in un itinerario concettuale ricco di suggestioni. Il rigore dell'indagine - letteraria, politica ed etica - si combina con il gusto anarchico degli sconfinamenti e degli accostamenti inattesi: Aristotele e don Milani, Cicerone e Primo Levi, Dante e Bob Marley, fino alle pagine esemplari della nostra Costituzione. Ne derivano una lettura emozionante, una prospettiva nuova per osservare il nostro mondo. Chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario, dichiarava Rosa Luxemburg ormai un secolo fa. Ripensare il linguaggio, oggi, significa immaginare una nuova forma di vita.
Le mie stelle nere
di Lilian Thuram
Lilian Thuram, uno dei più amati giocatori francesi mai arrivati in Italia, si è sempre distinto anche fuori dal campo per la sua classe, la sua intellilgenza e il suo impegno per il sociale. Lontano dal cliché del calciatore, Thuram è un uomo che usa la sua popolarità per una causa importante. Dopo il suo ritiro dalla vita sportiva, nel 2008 nasce la fondazione che porta il suo nome il cui impegno è quello di combattere il razzismo e di educare le nuove generazioni a una società multietnica. Questo libro è parte fondante del suo impegno e parte da queste premesse: “I muri della mia aula erano bianchi, le pagine del mio libro di storia erano bianche. Non sapevo nulla dei miei antenati. Si parlava solo di schiavitù, la storia dei neri, presentata in quel modo, era solo una valle di lacrime e guerre. Sapete dirmi il nome di uno scienziato nero? Di un esploratore nero? Di un filosofo nero? Di un faraone nero?” Nascono così questi ritratti di personaggi che hanno segnato la Storia e che spesso però vengono dalla Storia trascurati. Thuram li racconta, dà loro quello spazio che secoli di razzismo strisciante ha spesso negato. Da Lucy a Barack Obama, passando per Esopo, Dona Beatrice, Puskin, Aimé Cesaire, Martin Luther King, Rosa Parks, Muhammad Ali, Tupac Amaru e molti altri. Queste stelle, come dice Thuram “aiutano a evitare il vittimismo e a credere negli uomini e in se stessi”.
Le ho mai raccontato del vento del Nord
Glattauer Daniel
Un'email all'indirizzo sbagliato e tra due
perfetti sconosciuti scatta la scintilla. Come in una favola moderna,
dopo aver superato l'impaccio iniziale, tra Emmi Rothner - 34 anni,
sposa e madre irreprensibile dei due figli del marito - e Leo Leike -
psicolinguista reduce dall'ennesimo fallimento sentimentale - si
instaura un'amicizia giocosa, segnata dalla complicità e da stoccate di
ironia reciproca, e destinata ben presto a evolvere in un sentimento ben
più potente, che rischia di travolgere entrambi. Romanzo d'amore
epistolare dell'era Internet, "Le ho mai raccontato del vento del Nord"
descrive la nascita di un legame intenso, di una relazione che coppia
non è, ma lo diventa virtualmente. Un rapporto di questo tipo potrà mai
sopravvivere a un vero incontro?
La storia è maestra di vita.
La storia è maestra di vita.
Antonio Fappani, Franco Gheza, Giovanni Capra
Michele
Capra, un partigiano intransigente,
è il titolo del libro che ne racconta la vita. Edito dalla
Fondazione Civiltà Bresciana nella collana Cattolici e Società,
contiene le memorie e la narrazione di una personalità che ha
rispecchiato nella pratica la teoria di un sindacalista, di un
politico, di un cittadino intransigente che tuttora può essere
considerato un esempio da imitare. La biografia di Michele Capra
costituisce infatti un simbolo concreto della faticosa marcia che dal
1943 ad oggi le forze popolari di Brescia hanno intrapreso per
assegnare un volto più civile e più umano alla nostra società. Spinto dagli
stessi ideali di giustizia e di libertà che ne avevano fatto un
“ribelle per amore” Michele Capra dopo il 1945 continua su altre
trincee e con altri mezzi l’opera della resistenza contro le forze
che tentano di impadronirsi del nuovo Stato democratico e di rendere
inoperante la Costituzione repubblicana.
Mi sarebbe piaciuto leggere il
profilo di Michele – dice Cesare Trebeschi – sullo sfondo della
città e non soltanto di via Volturno. E si riferisce al tema dei
condizionamenti e dei limiti che la cultura e la politica bresciana
hanno dimostrato nella traduzione concreta degli ideali indicati
dalla Costituzione, compresi quelli del “mondo cattolico” che
andrebbero letti sulla linea di due diversi e degnissimi vescovi come
Tredici e Almici.
Michele
Capra - ha affermato l’on. Guido Bodrato in ricordo di Michele
- sentiva profondamente la responsabilità di rappresentare in
parlamento le esigenze e i problemi del mondo da cui proveniva,
quello della fabbrica, degli operai cattolico-democratici bresciani.
Per questo, prima di ogni votazione, di ogni provvedimento di legge,
egli si chiedeva quale effetto avrebbe apportato alla vita dei
lavoratori. Capra fu tra i democratici cristiani quello che meno di
tutti richiamava nei suoi discorsi la matrice ideale, i principi
cristiani: non occorreva che lo dicesse perché in ogni momento li
praticava. Egli ha incarnato luminosamente l’idea di una militanza
politica come servizio ai fratelli, un imperativo etico di cui molti
parlano ma che pochi sono disposti a vivere fino in fondo.
Oltre la rottamazione
Matteo Renzi
Con il suo stile veloce, la battuta pronta, e ironico come solo un fiorentino sa essere, Matteo Renzi traccia i confini di un'Italia possibile e futura. Perché adesso basta rottamare. È il momento di andare "oltre". Oltre la rottamazione di una classe politica che ha sprecato la propria opportunità di cambiare le cose. Questo libro è il manifesto politico di una bella Italia, che parla di lavoro, di politica e di futuro. Con il ritratto dell'Italia di Gregorio, che avrà vent'anni tra vent'anni. Un neonato di oggi. Perché l'Italia ha un'anima. Ed è decisa a non perderla, se vuole offrire un futuro ai giovani.
Una certa idea di mondo
di Alessandro Baricco
Baricco decide di parlare dei libri che più lo hanno toccato, non
durante la vita tutta, ma tra gli ultimi 50 libri che ha letto. Ne
deriva un percorso variegato, curioso, filosofico, storico, poetico che
invoglia alla lettura di quei libri lì. Parole sagge, citazioni di
grandi scrittori come briciole che vengono lasciate sul tavolo e spetta
al lettore decidere se raccogliere quelle briciole per buttarle e
dimenticarle oppure per ricercare a quale tipo di pane, a quale tipo di
cibo appartengono. La scelta dei libri che leggiamo influenza il nostro
modo di vedere le cose. Più leggiamo più saremo ricchi di cogliere ciò
che ci circonda.
Gerusalemme Una storia
Gerusalemme Una storia
Il gabbiano Jonathan Livingston
Il libro di Bach è una favola, che, senza troppe pretese, ha colpito i cuori dei romantici e di qualche critico, diventando così un cult dai meriti Ma qual è il suo pubblico di riferimento? Difficile spiegare a un bambino il significato di una battuta del genere: “Ricordati, Jonathan, il paradiso non si trova nello spazio né nel tempo, poiché lo spazio e il tempo sono privi di senso e di valore”. Difficile convincere un adolescente del perché lo Stormo Buonappetito decida all’unanimità di esiliare un suo membro per aver violato, volando, “la dignità della Grande Famiglia de’ Gabbiani”…
L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI
Racconta la storia di un uomo, un pastore solitario e tranquillo, di poche parole, che provava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il suo cane e che un giorno decide di riforestare da solo un’arida vallata ai piedi delle Alpi, vicino alla Provenza, nella prima metà del XX secolo.
La sua arma più forte è la passione e la convinzione di fare “la cosa giusta”, attraverso un’azione semplice quale quella di piantare un albero ma che avrebbe cambiato la faccia della sua terra e la vita delle generazioni future.
Nella sua poetica semplice ma indimenticabile il libro richiama un bellissimo film-documentario “Terra Madre” (2009) di Ermanno Olmi che porta sul grande schermo la vita contadina e offre un momento di intensa poesia e anche di riflessione e speranza
* Jean Giono nato il 30 marzo 1895 a Manosque, nella Haute Provence. Il padre, d’origine italiana, era calzolaio e sua madre stiratrice. Leggerà da solo la Bibbia e Omero, tra l’officina del padre e l’atelier della madre. La sua cultura, immensa, è quella di un autodidatta con una curiosità universale. Ha pubblicato oltre trenta opere. È morto nel 1970
Prigionieri delle vecchie identità
Il pamphlet di Walter Veltroni “E se noi domani-La sinistra che vorrei”: un’analisi impietosa di ciò che non sta andando nel Pd
C'era una volta un paese. Una vita in Palestina
Nusseibeh Sari
Discendente di una tra le più colte e illustri famiglie palestinesi, Sari Nusseibeh cresce per le strade di Gerusalemme, di cui beve avidamente lo spirito multiculturale e multireligioso. Diventa testimone e protagonista degli eventi più tragici della sua terra: l'occupazione da parte dei coloni israeliani, l'esilio forzato di migliaia di famiglie palestinesi, le guerre, la nascita dei fronti di liberazione armata, il fallimento degli accordi di pace, le intifade, l'ascesa del fanatismo religioso e il proliferare dei kamikaze, la costruzione del muro. Nel ripercorrere la sua vita, Nusseibeh lega indissolubilmente la saga della sua "eccezionale" famiglia al destino del suo popolo e del suo incompiuto paese, e incarna con la sua esistenza, pubblica e privata, mezzo secolo di storia palestinese. "C'era una volta un paese" è l'autobiografia di un uomo che non ha mai smesso di difendere le ragioni della pace, della democrazia e della tolleranza, alla ricerca di una soluzione non violenta al conflitto israelo-palestinese. Da moderno Don Chisciotte, Nusseibeh si muove con visionaria caparbietà tra battaglie civili, amori letterari, nostalgie familiari e spietati ritratti di guerra, dando vita così al più lucido e commovente dei manifesti contro ogni forma di estremismo.
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