domenica 30 novembre 2014

Il lavoro dei detenuti che nessuno sfrutta per risarcire lo Stato.


Corriere della Sera 30/11/14
Virginia Piccolillo
Un detenuto costa tra i 100 e i 200 euro al giorno, più le spese processuali che spesso non è in grado di pagare quando esce. Perché non utilizzarlo gratis per spalare il fango dei fiumi esondati, ridipingere le scuole, o fare i lavori di manutenzione nei penitenziari?

La proposta «provocatoria e forse per qualcuno addirittura sovversiva» la lancerà stasera Milena Gabanelli in una puntata di Report che squarcia il velo dell’ipocrisia. Il sistema penitenziario pesa sul contribuente per 2 miliardi e 800 milioni di euro. Lo scorso anno, solo per il vitto e i prodotti per l’igiene, sono stati spesi 132 milioni. Lo Stato ne ha recuperati poco più di 4,5 dalle spese di mantenimento attribuite ai 54.200 detenuti di quest’anno: 1,69 euro al giorno. La legge dice che l’amministrazione dovrebbe dare un lavoro a ciascun detenuto definitivo, ma quasi nessun istituto ha i soldi per pagarlo e favorire così il suo reinserimento. Anche per questo 7 su 10 tornano a delinquere.

Dunque perché non utilizzare i detenuti non pericolosi per lavori di pubblica utilità e trattenere gran parte della paga come risarcimento per le spese dell’amministrazione penitenziaria? A sorpresa, nella puntata firmata da Claudia Di Pasquale e Giuliano Marucci, i più favorevoli all’idea sono proprio i detenuti, colti nella loro attività quotidiana: «Giochiamo a carte, ci facciamo una chiacchierata, 23 ore su 24 non facciamo nulla», raccontano, abbrutiti e avvolti dal degrado di bagni fetidi, muri cadenti, strutture fatiscenti.

Mentre dalle istituzioni chiamate a risolvere una situazione che ci è costata già la condanna della Corte europea arriva il consueto scaricabarile: «Tocca al Dap», «no al governo», «no al Parlamento». Più un’alzata di sopracciglio, quasi come se si volesse tornare ai lavori forzati: «Incostituzionale: il lavoro va pagato», tuona il garante Angiolo Marroni.

Eppure una legge che prevede il lavoro volontario e gratuito esiste dal 2013. Ma sembra che lo sappiano solo al carcere di Bollate dove il 50% dei detenuti ridipinge le scuole o fa varie attività, pagati o anche gratis. In altri Paesi, come gli Stati Uniti, l’Austria, l’Irlanda, poi, è già così. L’obbligo di lavorare non c’è. Ma con apparente soddisfazione generale, quasi tutti lavorano. «L’amministrazione trattiene le spese e lascia al detenuto circa 50-60 euro in tasca. Noi facciamo l’esatto contrario», evidenzia Milena Gabanelli. In più all’estero lo sconto di pena arriva solo a chi lo merita, lavorando. A Portland, nell’Oregon, squadre di detenuti, più o meno sorvegliati, a seconda della pericolosità, fanno manutenzione di strade e giardini, o fabbricano scarpe.

L’amministrazione penitenziaria non è in rosso e ci sono persino celle De Luxe per chi lavora di più. In Irlanda a tutti, in laboratori interni, si insegna a lavorare il legno o altro. In Austria si producono internamente fabbriche per topi, componenti auto e molto di più. Da noi solo il 4% dei detenuti lavora per i privati Modificare le norme per seguire l’esempio estero? «Compito del governo, per la presidente della commissione giustizia della Camera, Donatella Ferranti. E il sottosegretario Cosimo Ferri concede: «E’ una proposta di buon senso».




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