domenica 30 novembre 2014

“Siamo almeno cento Prodi è la prima scelta” Il piano per il Quirinale delle minoranze Pd


GOFFREDO DE MARCHIS

Il retroscena Cuperlo, Fassina e D’Attorre si vedono tutti i giorni per coordinare le mosse dei dissidenti “Stavolta Renzi dovrà ascoltare anche noi, in Parlamento contiamo un po’ più di Fitto”

«Stavolta dovrà ascoltare anche noi. Contiamo più di Fitto in Parlamento». La minoranza del Pd giocherà la partita del Quirinale di rimessa, aspettando che sia Matteo Renzi a fare la prima mossa, a indicare al partito un nome su cui discutere. Il coordinamento dei dissidenti continua a vedersi praticamente ogni giorno alle 9 di mattina a Montecitorio. Ne fanno parte Gianni Cuperlo, Pippo Civati, Stefano Fassina, Francesco Boccia e Alfredo D’Attorre. Tutte le aree sono rappresentate. Da questo nucleo è nata la rivolta che ha portato alle 30 uscite dall’aula durante la votazione del Jobs Act. Ma loro giurano di essere molti di più e al momento dell’elezione del presidente della Repubblica il loro peso si farà sentire. Tra Camera, Senato e delegati regionali contano circa 100 grandi elettori. «Forse 101», scherzano evocando il voto su Romano Prodi che provocò un terremoto nel centrosinistra, un anno e mezzo fa.
Prodi è ancora nei discorsi dei ribelli in questi giorni. Ancora oggi è il nome che mette d’accordo tutti. Civati in testa. Ma lo appoggiano anche i bersaniani e il lettiano Boccia. Persino Cuperlo non nega una chance al Professore. Del resto, lui, nella squadra dalemiana, è sempre stato un tifoso dell’ex premier, certamente il meno denigratorio, tanto da immaginare una pace tra D’Alema e Prodi qualche anno fa, attraverso la nomina di quest’ultimo alla presidenza della Fondazione Italianieuropei. Il percorso di Prodi appare fin d’ora accidentato, reso difficile dalla sua sbandierata indisponibilità e dal veto di Berlusconi. In più adesso la sponda grillina non è molto sicura vista la tempesta che scuote i 5stelle. Comunque il coordinamento si prepara anche a un piano B. Sul profilo di Prodi: ossia autorevolezza assoluta, nome alto, autonomia dai partiti. Perché il timore è che nel patto del Nazareno si possa realizzare una soluzione al ribasso, con una candidatura debole. «Il capo dello Stato dev’essere libero e forte. Libero dai condizionamenti delle forze politiche e forte nelle istituzioni», spiega Boccia. «Va cercato un garante per il Paese, non un garante di Renzi, una specie di stampella del governo», insiste D’Attorre. Naturalmente, secondo la minoranza, questo risultato si ottiene solo ribaltando l’intesa del Nazareno e depotenziando il potere di scelta di Berlusconi.
Per neutralizzare il dissenso interno e i franchi tiratori Renzi però ha bisogno di patto blindato o con Berlusconi o con Grillo. Dalla quarta votazione basteranno 500 e rotti voti per eleggere il presidente. Se sono veri i 100 della minoranza, è necessario avere la sponda garantita di Forza Italia e dei centristi oppure del comico. Perché nemmeno i dissidenti grillini saranno sufficienti. La via d’uscita più semplice è trovare un nome talmente alto da impedire a chiunque di battere ciglio. Come avvenne ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi. Questo nome è unico: Mario Draghi. Berlusconi dovrebbe inchinarsi e la minoranza dem non avrebbe alternative.
Draghi tuttavia è out almeno per il momento. Girano le candidature di Roberta Pinotti e Paolo Gentiloni in cui i dissidenti non riconoscono l’identikit della personalità autorevole e autonoma che invece corrisponde a Walter Veltroni. Più insidiosa, per l’intero Pd, sarebbe l’indicazione di Dario Franceschini. Il ministro della Cultura, nel toto-Quirinale, è ai margini, «ma non va sottovalutato — dice Boccia — . Può avere i voti di Berlusconi e di tutti i centristi sparsi».
I dissidenti cercano di autonomizzarsi dalla vecchia guardia, eppure non negano che Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema vorranno avere voce in capitolo. «Esiste una necessità di condivisione, anche con noi. Non cerchiamo una situazione di stallo e la titolarità della proposta spetta a Renzi. Poi però si discute», spiega D’Attorre. Non sarà una discussione semplice, intrecciata com’è con la legge elettorale e la riforma costituzionale, oggi osteggiate dalla minoranza. Senza contare la prospettiva del voto anticipato. Renzi e i suoi devono ancora trovare l’interlocutore giusto nel fronte dei ribelli. Per ora regna la massima diffidenza e sospetti nemmeno molto celati a Palazzo Chigi di complotti per far inciampare il premier.

Nessun commento:

Posta un commento