GOFFREDO DE MARCHIS
Il retroscena Cuperlo, Fassina e
D’Attorre si vedono tutti i giorni per coordinare le mosse dei
dissidenti “Stavolta Renzi dovrà ascoltare anche noi, in
Parlamento contiamo un po’ più di Fitto”
«Stavolta dovrà ascoltare anche noi.
Contiamo più di Fitto in Parlamento». La minoranza del Pd giocherà
la partita del Quirinale di rimessa, aspettando che sia Matteo Renzi
a fare la prima mossa, a indicare al partito un nome su cui
discutere. Il coordinamento dei dissidenti continua a vedersi
praticamente ogni giorno alle 9 di mattina a Montecitorio. Ne fanno
parte Gianni Cuperlo, Pippo Civati, Stefano Fassina, Francesco Boccia
e Alfredo D’Attorre. Tutte le aree sono rappresentate. Da questo
nucleo è nata la rivolta che ha portato alle 30 uscite dall’aula
durante la votazione del Jobs Act. Ma loro giurano di essere molti di
più e al momento dell’elezione del presidente della Repubblica il
loro peso si farà sentire. Tra Camera, Senato e delegati regionali
contano circa 100 grandi elettori. «Forse 101», scherzano evocando
il voto su Romano Prodi che provocò un terremoto nel centrosinistra,
un anno e mezzo fa.
Prodi è ancora nei discorsi dei
ribelli in questi giorni. Ancora oggi è il nome che mette d’accordo
tutti. Civati in testa. Ma lo appoggiano anche i bersaniani e il
lettiano Boccia. Persino Cuperlo non nega una chance al Professore.
Del resto, lui, nella squadra dalemiana, è sempre stato un tifoso
dell’ex premier, certamente il meno denigratorio, tanto da
immaginare una pace tra D’Alema e Prodi qualche anno fa, attraverso
la nomina di quest’ultimo alla presidenza della Fondazione
Italianieuropei. Il percorso di Prodi appare fin d’ora accidentato,
reso difficile dalla sua sbandierata indisponibilità e dal veto di
Berlusconi. In più adesso la sponda grillina non è molto sicura
vista la tempesta che scuote i 5stelle. Comunque il coordinamento si
prepara anche a un piano B. Sul profilo di Prodi: ossia autorevolezza
assoluta, nome alto, autonomia dai partiti. Perché il timore è che
nel patto del Nazareno si possa realizzare una soluzione al ribasso,
con una candidatura debole. «Il capo dello Stato dev’essere libero
e forte. Libero dai condizionamenti delle forze politiche e forte
nelle istituzioni», spiega Boccia. «Va cercato un garante per il
Paese, non un garante di Renzi, una specie di stampella del governo»,
insiste D’Attorre. Naturalmente, secondo la minoranza, questo
risultato si ottiene solo ribaltando l’intesa del Nazareno e
depotenziando il potere di scelta di Berlusconi.
Per neutralizzare il dissenso interno e
i franchi tiratori Renzi però ha bisogno di patto blindato o con
Berlusconi o con Grillo. Dalla quarta votazione basteranno 500 e
rotti voti per eleggere il presidente. Se sono veri i 100 della
minoranza, è necessario avere la sponda garantita di Forza Italia e
dei centristi oppure del comico. Perché nemmeno i dissidenti
grillini saranno sufficienti. La via d’uscita più semplice è
trovare un nome talmente alto da impedire a chiunque di battere
ciglio. Come avvenne ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi. Questo nome è
unico: Mario Draghi. Berlusconi dovrebbe inchinarsi e la minoranza
dem non avrebbe alternative.
Draghi tuttavia è out almeno per il
momento. Girano le candidature di Roberta Pinotti e Paolo Gentiloni
in cui i dissidenti non riconoscono l’identikit della personalità
autorevole e autonoma che invece corrisponde a Walter Veltroni. Più
insidiosa, per l’intero Pd, sarebbe l’indicazione di Dario
Franceschini. Il ministro della Cultura, nel toto-Quirinale, è ai
margini, «ma non va sottovalutato — dice Boccia — . Può avere i
voti di Berlusconi e di tutti i centristi sparsi».
I dissidenti cercano di autonomizzarsi
dalla vecchia guardia, eppure non negano che Pier Luigi Bersani e
Massimo D’Alema vorranno avere voce in capitolo. «Esiste una
necessità di condivisione, anche con noi. Non cerchiamo una
situazione di stallo e la titolarità della proposta spetta a Renzi.
Poi però si discute», spiega D’Attorre. Non sarà una discussione
semplice, intrecciata com’è con la legge elettorale e la riforma
costituzionale, oggi osteggiate dalla minoranza. Senza contare la
prospettiva del voto anticipato. Renzi e i suoi devono ancora trovare
l’interlocutore giusto nel fronte dei ribelli. Per ora regna la
massima diffidenza e sospetti nemmeno molto celati a Palazzo Chigi di
complotti per far inciampare il premier.
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