Corriere della Sera 23/11/14
Gian Antonio Stella
Ha ragione papa Francesco: gli
immigrati sono una ricchezza. Lo dicono i numeri. Fatti i conti
costi-benefici, spiega un dossier della fondazione Moressa, noi
italiani ci guadagniamo 3,9 miliardi l’anno. E la crisi, senza i
nuovi arrivati che hanno fondato quasi mezzo milione di aziende,
sarebbe ancora più dura.
Certo, è facile in questi tempi di
pesanti difficoltà titillare i rancori, le paure, le angosce di
tanti disoccupati, esodati, sfrattati ormai allo stremo. Soprattutto
in certe periferie urbane abbruttite dal degrado e da troppo tempo
vergognosamente abbandonate dalle pubbliche istituzioni. Ma può
passar l’idea che il problema siano «gli altri»?
Non c’è
massacro contro i nostri nonni emigrati, da Tandil in Argentina a
Kalgoorlie in Australia, da Aigues Mortes in Francia a Tallulah negli
Stati Uniti, che non sia nato dallo scoppio di odio dei «padroni di
casa» contro gli italiani che «rubavano il lavoro». Basti
ricordare il linciaggio di New Orleans del 15 marzo 1891, dove tra i
più assatanati nella caccia ai nostri nonni c’erano migliaia di
neri, rimpiazzati nei campi di cotone da immigrati siciliani,
campani, lucani.
Eppure quei nostri nonni contribuirono ad
arricchire le loro nuove patrie («la patria è là dove si
prospera», dice Aristofane) proprio come ricorda Francesco: «I
Paesi che accolgono traggono vantaggi dall’impiego di immigrati per
le necessità della produzione e del benessere nazionale».
Creano
anche un mucchio di problemi? Sì. Portano a volte malattie che da
noi erano ormai sconfitte? Sì. Affollano le nostre carceri
soprattutto per alcuni tipi di reati? Sì. Vanno ad arroccarsi in
fortini etnici facendo esplodere vere e proprie guerre di quartiere?
Sì. E questi problemi vanno presi di petto. Con fermezza. C’è
dell’altro, però . E non possiamo ignorarlo.
Due rapporti
della Fondazione Leone Moressa e Andrea Stuppini, collaboratore de
«lavoce.info», spiegano che non solo le imprese create da immigrati
sono 497 mila (l’8,2% del totale: a dispetto della crisi) per un
valore aggiunto di 85 miliardi di euro, ma che nei calcoli dare-avere
chi ci guadagna siamo anche noi. Nel 2012 i contribuenti nati
all’estero sono stati poco più di 3,5 milioni e «hanno dichiarato
redditi per 44,7 miliardi di euro (mediamente 12.930 euro a persona)
su un totale di 800 miliardi di euro, incidendo per il 5,6%
sull’intera ricchezza prodotta». L’imposta netta versata
«ammonta in media a 2.099 euro, per un totale complessivo pari a 4,9
miliardi». Con disparità enorme: 4.918 euro pro capite di Irpef
pagata nel 2013 in provincia di Milano, 1.499 in quella di Ragusa.
A
questa voce, però, ne vanno aggiunte altre. Ad esempio l’Iva: «Una
recente indagine della Banca d’Italia ha evidenziato come la
propensione al consumo delle famiglie straniere (ovvero il rapporto
tra consumo e reddito) sia pari al 105,8%: vale a dire che le
famiglie straniere tendono a non risparmiare nulla, anzi ad
indebitarsi o ad attingere a vecchi risparmi. Ipotizzando che il
reddito delle famiglie straniere sia speso in consumi soggetti ad Iva
per il 90% (escludendo rimesse, affitti, mutui e altre voci non
soggette a Iva), il valore complessivo dell’imposta indiretta sui
consumi arriva a 1,4 miliardi di euro». Più il gettito dalle
imposte sui carburanti (840 milioni circa), i soldi per lotto e
lotterie (210 milioni) e rinnovi dei permessi di soggiorno (1.741.501
nel 2012 per 340 milioni) e così via: «Sommando le diverse voci, si
ottiene un gettito fiscale di 7,6 miliardi». Poi c’è il
contributo previdenziale: «Considerando che secondo l’ultimo dato
ufficiale Inps (2009) i contributi versati dagli stranieri
rappresentano il 4,2% del totale, si può stimare un gettito
contributivo di 8,9 miliardi». Cosicché «sommando gettito fiscale
e contributivo, le entrate riconducibili alla presenza straniera
raggiungono i 16,6 miliardi».
Ma se questo è quanto danno,
quanto ricevono poi gli immigrati? «Considerando che dopo le
pensioni la sanità è la voce di gran lunga più importante e che
all’interno di questa circa l’80% della spesa è assorbita dalle
persone ultrasessantacinquenni», risponde lo studio, l’impatto dei
nati all’estero (nettamente più giovani e meno acciaccati degli
italiani) è decisamente minore sul peso sia delle pensioni sia della
sanità, dai ricoveri all’uso di farmaci. Certo, è maggiore nella
scuola «dove l’incidenza degli alunni con cittadinanza non
italiana ha raggiunto l’8,4%», ma qui «la parte preponderante
della spesa è fissa».
E i costi per la giustizia? «Una stima
dei costi si aggira su 1,75 miliardi di euro annui». E le altre
spese? Contate tutte, rispondono Stuppini e la Fondazione. Anche
quelle per i Centri di Identificazione ed Espulsione: «Per il 2012
il costo complessivo si può calcolare in 170 milioni».
In ogni
caso, prosegue il dossier, «si è considerata la spesa pubblica
utilizzando il metodo dei costi standard, stimando la spesa pubblica
complessiva per l’immigrazione in 12,6 miliardi di euro, pari
all’1,57% della spesa pubblica nazionale. Ripartendo il volume di
spesa per la popolazione straniera nel 2012 (4,39 milioni), si
ottiene un valore pro capite di 2.870 euro». Risultato: confrontando
entrate e uscite, «emerge come il saldo finale sia in attivo di 3,9
miliardi». Per capirci: quasi quanto il peso dell’Imu sulla prima
casa. Poi, per carità, restano tutti i problemi, i disagi e le
emergenze che abbiamo detto. Che vanno affrontati, quando serve,
anche con estrema durezza. Ma si può sostenere, davanti a questi
dati, che mantenere l’estensione della social card ai cittadini
nati all’estero ma col permesso di soggiorno è «un’istigazione
al razzismo»?
Per non dire dell’apporto dei «nuovi italiani»
su altri fronti. Dice uno studio dell’Istituto Ricerca Sociale che
ci sono in Italia 830 mila badanti, quasi tutte straniere, che
accudiscono circa un milione di non autosufficienti. Il quadruplo dei
ricoverati nelle strutture pubbliche. Se dovesse occuparsene lo
Stato, ciao: un posto letto, dall’acquisto del terreno alla
costruzione della struttura, dai mobili alle lenzuola, costa 150 mila
euro. Per un milione di degenti dovremmo scucire 150 miliardi. E poi
assumere (otto persone ogni dieci posti letto) 800 mila addetti per
una spesa complessiva annuale (26mila euro l’uno) di quasi 21
miliardi l’anno. Più spese varie. Con un investimento complessivo
nei primi cinque anni di oltre 250 miliardi.
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