Il rischio per il premier non è né il dissenso interno al Pd né lo
scontro con i sindacati. Ma è di perdere l'immagine di leader che
unifica il paese
Quale è, se c’è, la soglia di conflitto oltre la quale
la vittoria di Matteo Renzi su Jobs Act e legge di stabilità può
trasformarsi nel suo opposto? Su cosa si misurerà il prezzo del
successo: sul numero dei parlamentari del Pd che non voteranno come
chiede loro il segretario-premier? Sulla forza delle manifestazioni che
riusciranno a organizzare tra novembre e dicembre Fiom e Cgil? Oppure,
all’opposto, sulle concessioni da fare in parlamento?
Ascoltandolo nel suo tour nelle fabbriche, Renzi non è preoccupato da
nessuno di questi contraccolpi. E probabilmente ha ragione.
Il dissenso parlamentare sarà accuratamente misurato – per entità e
per modalità d’espressione – sul minimo danno possibile, sia per la
maggioranza che per i dissidenti stessi. Le piazze sindacali non
potranno essere più affollate di quella di San Giovanni, e comunque per
il premier sono la contraprova da esibire per dimostrare che non sta
facendo riforme all’acqua di rose. Le modifiche infine non intaccheranno
il quadro complessivo, anzi saranno funzionali a evitare l’unico vero
contraccolpo che Renzi può ricevere da questa sua campagna campale.
A prescindere da ragioni e torti, un leader può essere vissuto
dall’opinione pubblica come divisivo o come unificante. Berlusconi fu
sempre clamorosamente divisivo: è stato il suo grande limite.
Il Renzi d’assalto è stato fin qui ultra-divisivo nello scontro nel
Palazzo e fra i poteri, ma con l’intento dichiarato di voler invece
riunificare il paese dopo un ventennio di conflitto ideologico, sterile e
paralizzante.
In parte c’è riuscito: i flussi elettorali sul Pd dicono questo. Ma
ora, con una società tesa, scossa dalla paura, priva di ancoraggi e
ancora non infusa dell’ottimismo propalato dal premier, un leader che
imponga il conflitto permanente rischia di diventare ansiogeno. E
l’ansia non fa mai bene, né a una nazione né a chi la guida. Ecco,
questo sarebbe un prezzo alto da pagare per la vittoria di Renzi sulla
sinistra conservatrice.
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