MOISÉS NAÍM
Traduzione di Fabio Galimberti
Negli Stati Uniti il consenso politico
è una merce in via di estinzione. Non c’è accordo su quasi nulla,
tranne su una cosa: la colpa è di Barack Obama. Il presidente è
percepito come il responsabile del cattivo stato dell’economia,
dell’acutizzarsi della disuguaglianza economica, della nuova
spavalderia dei vari Vladimir Putin e Bashar al-Assad del pianeta,
che hanno scoperto che possono fare quasi tutto quello che vogliono
senza rischiare che gli Stati Uniti gli impartiscano una lezione che
mostri a loro e al resto del mondo che con una superpotenza non c’è
da scherzare.
L’elenco delle colpe imputate a Obama
è lungo e variegato. Il presidente è riuscito perfino in un’impresa
che sembrava impossibile, mettere d’accordo Democratici e
Repubblicani. Entrambi gli schieramenti infatti lo considerano il
responsabile dei risultati delle recenti elezioni legislative di metà
mandato. I Repubblicani hanno conseguito una vittoria di proporzioni
tali che non si vedevano dal 1931. Alcuni leader del Partito
democratico e molti dei candidati sconfitti in queste elezioni hanno
detto pubblicamente che gran parte della responsabilità della
batosta che hanno subito è della Casa Bianca. I Repubblicani non
potrebbero essere più d’accordo.
Che cosa è successo a Obama? Com’è
possibile che un leader che arrivò alla presidenza generando così
tante speranze e sorretto da un così ampio sostegno, dentro e fuori
il Paese, oggi sia penalizzato da un’immagine tanto negativa?
Secondo dei sondaggi effettuati
all’uscita dei seggi, il 60 per cento di quelli che sono andati a
votare negli Stati Uniti nutrono sentimenti negativi verso il suo
governo. Perché la presidenza di Barack Obama non è andata come si
sperava? Le spiegazioni degli errori e dei limiti di Obama avanzate
più spesso da critici ed editorialisti si possono suddividere in
quattro categorie.
L’inesperienza. «La carriera
fulminea che ha avuto non gli ha dato l’opportunità di prepararsi
per la presidenza. Obama è passato da essere un giovane leader di
quartiere nelle zone povere di Chicago alla politica locale, e da lì
rapidamente al Senato degli Stati Uniti, per arrivare appena tre anni
dopo alla candidatura alla presidenza e infine alla Casa Bianca ». I
suoi detrattori lo accusano di non essere un bravo politico, di non
riuscire a creare alleanze e raggiungere i necessari compromessi con
i suoi avversari. Lo accusano anche di non saper amministrare e di
gestire la presidenza con modalità perniciosamente accentratrici.
La personalità. «Obama è un
intellettuale, un introverso, ha un temperamento distante che gli
rende difficile stabilire un contatto efficace con i suoi
collaboratori, con i politici del suo partito e altri leader
internazionali con cui deve lavorare, e tanto più con i suoi
avversari, che disdegna». Una versione estrema di questa critica
sostiene che Obama soffre di problemi psicologici che lo demotivano e
minano la sua efficacia.
L’ideologia. Il presidente è un
ideologo determinato a imporre al Paese un programma politico che si
scontra con le preferenze della maggioranza della popolazione. Obama
è statalista, isolazionista e scialacquatore. Preferisce il settore
pubblico a quello privato e le sue politiche tendono a espandere
l’ambito di intervento dello Stato. A livello internazionale è
timido e reticente: ritiene che le forze armate debbano intervenire
nei conflitti internazionali solo quando vengono toccati direttamente
gli interessi degli Stati Uniti. Inoltre, dicono i suoi detrattori,
«sotto la sua presidenza la spesa pubblica è schizzata alle stelle
».
L’antiamericanismo. «Barack Obama in
realtà è nato in Kenya, è segretamente di fede musulmana e la sua
ascesa alla Casa Bianca fa parte di un complotto dei nemici degli
Stati Uniti per indebolire il paese». Questa variante delle critiche
al presidente può apparire stravagante, esagerata e perfino
delirante. Ma è sorprendente quanto sia radicata negli ambienti più
estremisti dell’opposizione, spesso e volentieri carica di velate
(o non tanto velate) sfumature razziste. Secondo quest’ottica, i
presunti errori, difetti, omissioni o limiti della performance di
Obama alla Casa Bianca sono frutto di scelte ben precise.
Io non condivido nessuna di queste
critiche. È evidente che il presidente Obama e i suoi collaboratori
hanno commesso errori, ma sono del parere che molte delle critiche
sincere (vale a dire quelle che non ubbidiscono a interessi di
partito, economici o ideologici, o a reazioni irrazionali) si basano
sul presupposto che il potere che possiede oggi un presidente degli
Stati Uniti, chiunque esso sia, sia molto maggiore di quello che è
in realtà. Mi sembra più che evidente che chi governa a Washington
mai come adesso ha incontrato così tante difficoltà per modellare
la realtà all’interno e all’esterno delle sue frontiere. E
questo vale probabilmente anche per tutti gli altri governi del
pianeta. Il problema non è Obama.
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