lunedì 17 novembre 2014

LA DIAGNOSI DEL MAL D’OBAMA


MOISÉS NAÍM
Traduzione di Fabio Galimberti
Negli Stati Uniti il consenso politico è una merce in via di estinzione. Non c’è accordo su quasi nulla, tranne su una cosa: la colpa è di Barack Obama. Il presidente è percepito come il responsabile del cattivo stato dell’economia, dell’acutizzarsi della disuguaglianza economica, della nuova spavalderia dei vari Vladimir Putin e Bashar al-Assad del pianeta, che hanno scoperto che possono fare quasi tutto quello che vogliono senza rischiare che gli Stati Uniti gli impartiscano una lezione che mostri a loro e al resto del mondo che con una superpotenza non c’è da scherzare.
L’elenco delle colpe imputate a Obama è lungo e variegato. Il presidente è riuscito perfino in un’impresa che sembrava impossibile, mettere d’accordo Democratici e Repubblicani. Entrambi gli schieramenti infatti lo considerano il responsabile dei risultati delle recenti elezioni legislative di metà mandato. I Repubblicani hanno conseguito una vittoria di proporzioni tali che non si vedevano dal 1931. Alcuni leader del Partito democratico e molti dei candidati sconfitti in queste elezioni hanno detto pubblicamente che gran parte della responsabilità della batosta che hanno subito è della Casa Bianca. I Repubblicani non potrebbero essere più d’accordo.
Che cosa è successo a Obama? Com’è possibile che un leader che arrivò alla presidenza generando così tante speranze e sorretto da un così ampio sostegno, dentro e fuori il Paese, oggi sia penalizzato da un’immagine tanto negativa?
Secondo dei sondaggi effettuati all’uscita dei seggi, il 60 per cento di quelli che sono andati a votare negli Stati Uniti nutrono sentimenti negativi verso il suo governo. Perché la presidenza di Barack Obama non è andata come si sperava? Le spiegazioni degli errori e dei limiti di Obama avanzate più spesso da critici ed editorialisti si possono suddividere in quattro categorie.
L’inesperienza. «La carriera fulminea che ha avuto non gli ha dato l’opportunità di prepararsi per la presidenza. Obama è passato da essere un giovane leader di quartiere nelle zone povere di Chicago alla politica locale, e da lì rapidamente al Senato degli Stati Uniti, per arrivare appena tre anni dopo alla candidatura alla presidenza e infine alla Casa Bianca ». I suoi detrattori lo accusano di non essere un bravo politico, di non riuscire a creare alleanze e raggiungere i necessari compromessi con i suoi avversari. Lo accusano anche di non saper amministrare e di gestire la presidenza con modalità perniciosamente accentratrici.
La personalità. «Obama è un intellettuale, un introverso, ha un temperamento distante che gli rende difficile stabilire un contatto efficace con i suoi collaboratori, con i politici del suo partito e altri leader internazionali con cui deve lavorare, e tanto più con i suoi avversari, che disdegna». Una versione estrema di questa critica sostiene che Obama soffre di problemi psicologici che lo demotivano e minano la sua efficacia.
L’ideologia. Il presidente è un ideologo determinato a imporre al Paese un programma politico che si scontra con le preferenze della maggioranza della popolazione. Obama è statalista, isolazionista e scialacquatore. Preferisce il settore pubblico a quello privato e le sue politiche tendono a espandere l’ambito di intervento dello Stato. A livello internazionale è timido e reticente: ritiene che le forze armate debbano intervenire nei conflitti internazionali solo quando vengono toccati direttamente gli interessi degli Stati Uniti. Inoltre, dicono i suoi detrattori, «sotto la sua presidenza la spesa pubblica è schizzata alle stelle ».
L’antiamericanismo. «Barack Obama in realtà è nato in Kenya, è segretamente di fede musulmana e la sua ascesa alla Casa Bianca fa parte di un complotto dei nemici degli Stati Uniti per indebolire il paese». Questa variante delle critiche al presidente può apparire stravagante, esagerata e perfino delirante. Ma è sorprendente quanto sia radicata negli ambienti più estremisti dell’opposizione, spesso e volentieri carica di velate (o non tanto velate) sfumature razziste. Secondo quest’ottica, i presunti errori, difetti, omissioni o limiti della performance di Obama alla Casa Bianca sono frutto di scelte ben precise.
Io non condivido nessuna di queste critiche. È evidente che il presidente Obama e i suoi collaboratori hanno commesso errori, ma sono del parere che molte delle critiche sincere (vale a dire quelle che non ubbidiscono a interessi di partito, economici o ideologici, o a reazioni irrazionali) si basano sul presupposto che il potere che possiede oggi un presidente degli Stati Uniti, chiunque esso sia, sia molto maggiore di quello che è in realtà. Mi sembra più che evidente che chi governa a Washington mai come adesso ha incontrato così tante difficoltà per modellare la realtà all’interno e all’esterno delle sue frontiere. E questo vale probabilmente anche per tutti gli altri governi del pianeta. Il problema non è Obama.

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