domenica 23 novembre 2014

“La storia si ripete da troppi anni Cl va all’assalto del patrimonio”

LAURA ASNAGHI
«Bisogna dire le cose come stanno: Cl vuole mettere le mani sul patrimonio, molto allettante, del Policlinico. E per farlo con eleganza, camuffa questa operazione dichiarando di voler puntare a una gestione privata, più agile e snella, delle proprietà del Policlinico, che valgono complessivamente più di un miliardo e mezzo. Ma la storia dell’efficienza è solo un alibi. La verità è che i manager di Cl vogliono fare gli affari loro, mettere le mani su un bottino molto ghiotto. Fermiamoli finché siamo in tempo». L’economista Marco Vitale va dritto al cuore del problema: il Policlinico al centro dell’ennesima bagarre sulle sue grandi proprietà agricole, con terreni e case, affidate a un ente privato. Per Marco Vitale il Policlinico non è un ospedale qualsiasi. È una realtà che conosce molto bene perché per quattro anni, dal luglio del ‘94 all’aprile del ‘98, è stato ai vertici di via Francesco Sforza, con la qualifica di commissario straordinario.
Professor Vitale, cosa pensa di quel che sta succedendo in questi giorni?
«Che la storia si ripete ormai da troppi anni, i ciellini non demordono mai. È da quando ero al Policlinico che vanno all’assalto del patrimonio dell’ospedale. E ieri come oggi si nascondono dietro la storia della creazione di una fondazione privata per saccheggiare i beni pubblici».
Ci spieghi meglio questo meccanismo.
«Per non destare sospetti di tipo affaristico, i ciellini del Policlinico dicono che per una migliore gestione di terreni e case coloniche è necessario ricorrere a una fondazione privata. E per tranquillizzare tutti assicurano che il cda del Policlinico farà parte anche della fondazione. Ma se sono la stessa cosa perché separarli? Una contraddizione che non sta in piedi».
Però anche i privati ricorrono a queste fondazioni per valorizzare il loro patrimonio.
«Vero, ma con un’altra strategia. E mi spiego. I privati si rivolgono a società super specializzate, con grandi competenze sul fronte immobiliare, per migliorare la resa di quel che hanno, ma non si privano mai della proprietà dei loro beni. E qui sta la grande differenza».
Però Giancarlo Cesana, il presidente ciellino del Policlinico, ha ribadito più volte che all’interno dell’o- spedale mancano le competenze per la gestione del patrimonio ed è per questo che è costretto a fare ricorso alla fondazione privata, guidata da un suo uomo di fiducia.
«Sarà, ma ai miei tempi l’Ufficio tecnico che gestiva gli immobili era più che adeguato. Il patrimonio del Policlinico non è così complicato da gestire, basta avere la voglia di farlo con i mezzi propri. Ma se si fa di tutto per svuotare le competenze interne, spostando dirigenti capaci in altri settori, allora le cose cambiano. E si creano le condizioni per dire che senza una fondazione privata non si va avanti».
Quindi la fondazione è un paravento per altri scopi?
«Le ragioni che muovono Cl su questo fronte non hanno nulla a che vedere con l’efficienza e la rendicontazione trasparente. I motivi sono altri. Si vuole acquisire un patrimonio enorme, mettere le mani sulla “torta pubblica” circondandosi di uomini di fiducia».
Però intanto l’assessore regionale alla Sanità Mantovani è sceso in campo contro Cesana.
«Ma non c’è nessuna disputa reale, è solo una guerra per bande perché il bel patrimonio del Policlinico fa gola a tanti. Certe mire non le ha solo Cl».
Professore, ma qual è il “male oscuro” che affligge il Policlinico?
«I suoi beni, le sue ricchezze, le sue case, le sue terre. Se fosse solo un semplice ospedale non sarebbe così ambito. Invece il Policlinico è ricco, e in più vanta una tradizione medica di alto livello, anche se oggi si è un po’ appannata. Ma dire “io lavoro al Policlinico” resta ancora un titolo d’onore».
Qual è la sua ricetta?
«Sottrarre le nomine in sanità alla lottizzazione politica. O si cambia o si andrà sempre peggio. Io mi domando come si può affidare grandi ospedali come il Policlinico ai ciellini, ben sapendo che il loro modo di fare è sempre quello: mettere le mani su beni pubblici. E non tanto per renderli più efficienti ma per scopi ben diversi da quelli dichiarati».

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