Corriere della Sera 01/11/14
corriere.it
Il futuro di Renzi sembra già
scritto, perché tutti oggi prevedono che succederà a se stesso
quando si tornerà alle urne. Tutti tranne Renzi, che quando non ha
una telecamera o un microfono puntati davanti dice che «avrò un
futuro solo se vincerò la battaglia in Europa».
La confidenza,
che sa di confessione, il premier l’aveva consegnata ad alcuni
colleghi di governo prima che iniziasse il Consiglio dei ministri per
la variazione alla nota di bilancio, mentre ancora trattava con
Bruxelles sui decimali da limare alla legge di Stabilità. Privo
della maschera che indossa quando appare in pubblico, Renzi era parso
insolitamente severo con se stesso: «La vera sfida è in Europa,
altro che nelle piazze», aveva aggiunto, sebbene qualche giorno dopo
proprio lo scontro di piazza a Roma tra la polizia e i lavoratori
dell’Ast di Terni lo avrebbe costretto a cambiare l’agenda.
Ma
in quella confidenza, che sa di confessione, c’era un
presentimento, perché sciorinando gli obiettivi da raggiungere per
«fare la nostra parte fino in fondo» agli occhi dei mercati e di
Bruxelles, il premier non aveva solo parlato di riforme
costituzionali, di legge elettorale e di Jobs act: «Bisogna
affrontare il nodo della politica industriale. A partire dal comparto
siderurgico». Così dicendo, «per Terni e Taranto», aveva gettato
lì l’idea di usare all’occorrenza — come rete di protezione —
la Cassa depositi e prestiti, per salvaguardare un asset strategico
con un «intervento pubblico transitorio».
È un concetto che
nei giorni seguenti si sarebbe ritrovato nel discorso al Senato
dell’ncd Sacconi e nelle conferenze stampa del leader della Fiom
Landini. È un’operazione che servirebbe a Renzi per saldare un
rapporto a sinistra con un approccio riformista, in attesa di
«vincere la battaglia in Europa». Perché il timore del premier e
dei suoi fedelissimi è che se in primavera non partisse la ripresa
economica, «il futuro» sarebbe ipotecato. Attorno a questa
scommessa ruota tutto il suo gioco politico nazionale: la sfida
interna al Pd e l’intesa esterna con Berlusconi, le intemperanze
con i compagni della minoranza di partito e la paziente attesa per
chiudere l’accordo con il Cavaliere.
Perciò la riforma del
Senato e della legge elettorale valgono bene l’ennesima telefonata
con il leader di Forza Italia, il cui disegno a Renzi è chiaro: non
vuole uscire dal gioco ma vuole allungare i tempi, nell’attesa di
una «rivincita» se la Consulta dichiarasse incostituzionale la
legge Severino, o — in caso avverso — di un «esito ordinato e
serio della sua parabola gloriosa», come ha scritto l’Elefantino
sul Foglio lunedì scorso. E dunque le riforme bipartisan non
verranno varate entro la fine dell’anno come sperava il premier,
che tuttavia oltre l’inizio dell’anno prossimo non vuole nè può
andare.
Quindi, se per quella data Berlusconi proverà ancora a
temporeggiare, Renzi si acconcerà a un altro schema: chiusi i conti
nel Pd sul Jobs act, per la riforma del Senato e per l’Italicum si
acconcerà a un’intesa con la minoranza della «ditta» e con la
maggioranza di governo, dove il rapporto con Alfano è confermato
dall’avallo offerto al titolare dell’Interno per la chiusura di
Mare nostrum, nonostante le resistenze esplicite di un pezzo del suo
partito e di alcuni suoi autorevoli ministri. Il Cavaliere è
consapevole della deadline, e pare acconciarsi al compromesso che gli
viene offerto, anche per evitare che il «patto di non belligeranza»
su cui si regge l’asse del Nazareno incida sui propri e personali
asset strategici.
E poco importa se intanto il sistema finisce
nel frullatore, se nelle riunioni riservate Fitto evidenzia le
contraddizioni del capo di Forza Italia: «Per esempio, quando alle
Europee — che si svolgevano con il proporzionale — logica
politica avrebbe imposto di schiacciare Ncd, Berlusconi non l’ha
fatto. Mentre ora, con le Regionali — dove dovremmo privilegiare le
alleanze — ha preso ad attaccarli. Allora lo dica che vuole
regalare tutte le regioni a Renzi». Ma a Renzi tutte le regioni
d’Italia potrebbero non bastare: «Avrò un futuro solo se vincerò
la battaglia in Europa».
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