Corriere della Sera 22/11/14
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«Il 99,9 per cento degli arabi
israeliani è fedele al Paese», calcola Naftali Bennett. «La
discriminazione contro di loro è inaccettabile», ammonisce Benjamin
Netanyahu. Il premier e il suo ministro più oltranzista hanno dovuto
rimproverare il sindaco di Ashkelon, città sulla costa verso sud e
la Striscia di Gaza, perché ha impedito ai muratori arabi di venire
a lavorare nei cantieri che costruiscono rifugi negli asili contro i
razzi sparati da Hamas. «Dopo gli attentati a Gerusalemme, i
genitori hanno paura, non avrebbero mandato i bambini a scuola»,
spiega.
Netanyahu e Bennett redarguiscono la decisione razzista
del sindaco, eppure domani alla riunione di governo sosterranno e
voteranno una norma che l’opposizione di sinistra (assieme ai
ministri moderati nella coalizione) considera ben più discriminante
della messa al bando imposta ad Ashkelon.
Quella che è chiamata
«legge della nazionalità» sancisce il carattere ebraico dello
Stato israeliano (e questo punto non è contestato) ma non garantisce
— accusano i critici — l’uguaglianza al 20 per cento di
cittadini arabi. «Il documento ignora l’esistenza di una comunità
con la sua lingua, la sua cultura e i suoi diritti — scrive il
quotidiano Haaretz in un editoriale —. Invece di cercare di ridurre
la discriminazione Netanyahu le sta dando la forza di una legge». La
costituzionalista Ruth Gavison sostiene che il provvedimento guasti
l’equilibrio cercato dai padri fondatori: il testo voluto da David
Ben-Gurion nel 1948 dichiara l’indipendenza ebraica e i diritti
degli ebrei con l’impegno di integrare gli arabi (a differenza dei
palestinesi che vivono in Cisgiordania o a Gerusalemme Est, sono
cittadini a tutti gli effetti e votano per il parlamento).
Come
fa notare Nahum Barnea, prima firma del quotidiano Yedioth Ahronoth ,
la norma viene approvata nel mezzo di un’ondata di attacchi
palestinesi: la violenza produce paura e la paura produce razzismo.
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