ILVO DIAMANTI
Repubblica 23/11/14
Oggi si vota in due regioni, lontane e
diverse, fra loro. Per economia, società, storia. Territorio. Da un
lato, l’Emilia Romagna. Il Nord. Secondo l’Istat: il Nord Est.
L’economia di piccola impresa, motore dello sviluppo degli ultimi
vent’anni. Dall’altro lato, la Calabria. Il Sud, lo sviluppo
senza autonomia (come ha scritto Carlo Trigilia). Un’area che
fatica a ridurre le distanze – economiche, ma non solo - dalle zone
più dinamiche del Paese. Due regioni lontane e diverse anche dal
punto di vista politico. Eppure, oggi entrambe vanno al voto con
qualche mese di anticipo rispetto ai termini previsti, per ragioni
analoghe. Legate a irregolarità e abusi commessi dagli
amministratori. E questa co-incidenza è un segno del cambiamento
avvenuto, rispetto il passato. Anche se le differenze fra i due
contesti restano profonde.
La Calabria raffigura il Sud, esposto
ai gruppi di pressione locali. Instabile e differenziato, dal punto
di vista elettorale. Come mostrano gli esiti delle elezioni regionali
a partire dal 2000. Quando ha esordito il voto diretto al Presidente.
Tre elezioni, tre presidenti e tre coalizioni differenti. Nel 2000:
Giuseppe Chiaravalloti, di Forza Italia, a capo di una maggioranza di
Centro-destra. Nel 2005: Agazio Loiero, Popolare, alla guida di una
coalizione di Centro-sinistra. Nel 2010: Giuseppe Scopelliti, Pdl,
leader del Centrodestra.
Oggi, il Centrosinistra presenta Mario
Oliverio (Pd, vicino a Bersani). Favorito, secondo i sondaggi. Ma
anche dalla regola dell’alternanza. Che prevede, appunto, il cambio
di maggioranza a ogni voto. Esattamente all’opposto dell’Emilia
Romagna. Il “cuore rosso” dell’Italia (come recita il titolo di
un noto saggio di Francesco Ramella). Una regione, da sempre,
orientata a sinistra. Intorno al Pci, ieri. In seguito, ai
post-comunisti: il Pds e i Ds. E, oggi, il Pd. Insieme alla Toscana,
all’Umbria e alle Marche: delimita la “zona rossa”. Il
perimetro, ma anche il recinto, storico del Centrosinistra. Perché
gli ha permesso di resistere, ma gli ha impedito, allo stesso tempo,
di volare. D’altronde, la storia politica dell’Italia
repubblicana è segnata dall’anticomunismo. Ancora nel 2008, il
Centrodestra appariva tanto più debole – e il Centrosinistra tanto
più forte - dove era più esteso il voto della sinistra social-
comunista. Nel 1948. Nel frattempo era sceso in campo Berlusconi.
Che, ha usato il passato a proprio vantaggio riproponendo
l’anticomunismo senza il comunismo. E senza i comunisti. Così,
l’Emilia Romagna ha continuato ad essere “rossa” e i cittadini
hanno continuato a votare allo stesso modo. Ma per “abitudine”,
più che per “appartenenza” (come ha osservato Arturo Parisi).
Una continuità sostenuta dai governi locali e dalle reti
associative, diffuse nella società e sul territorio. Negli ultimi
anni, tuttavia, la tela rossa della cultura politica e del voto si è
smagliata in diversi punti. (Lo ripete da tempo Mario Caciagli.) Ai
confini, in particolare. Nelle province emiliane del Nord, dove è
penetrata la Lega. Fra il 2006 e il 2010, in particolare. E poi, di
nuovo, nel 2014.
La Lega, d’altronde, è un partito
ideologico, simile al vecchio Pci. E procede per prossimità
territoriale. Nello spazio padano (Piacenza, Parma, Modena e Ferrara,
soprattutto). Ma la tela rossa si è lacerata anche nelle città. A
Bologna, dove Grillo ha organizzato il primo V-Day. E, ancor più, a
Parma, nel 2012, quando è stato eletto sindaco Pizzarotti.
Il M5s ha messo “in rete” comitati
e movimenti locali di rivendicazione su temi specifici. Ma si è
affermato, soprattutto, canalizzando l’insoddisfazione politica,
nei confronti dei partiti dominanti. In Emilia Romagna: la stanchezza
verso le amministrazioni e il sistema di governo locale. Ha, dunque,
enfatizzato l’usura del modello emiliano, sottolineata, di recente,
dalle dimissioni del governatore Vasco Errani, in seguito a una lunga
serie di scandali che hanno coinvolto la giunta e i consiglieri.
Il M5s non ha una geografia politica.
Alle elezioni del 2013 si è, infatti, diffuso in modo omogeneo in
tutto il territorio nazionale. Dalla Calabria all’Emilia Romagna.
Questa in-differenza geo-politica,
peraltro, costituisce una seria minaccia per il “modello emiliano”.
Erede di una tradizione che afferma la politica “nel” territorio.
Mentre il M5s pratica una politica “senza” il territorio. Un
progetto annunciato da Berlusconi e riproposto, oggi, da Matteo
Renzi. Il quale ha de-ideologizzato e personalizzato il Pd. L’ha
trasformato nel Pdr. Il Partito Democratico di Renzi. Alternativo
alla “ditta” di Bersani. Che è emiliano, di Bettola.
Alle europee del 2014, il Pdr, sfidato
dal M5s, ne ha riprodotto l’impianto a-territoriale. Ha vinto
ovunque. È divenuto Partito della Nazione. Senza confini. Specchio
di una geografia elettorale senza “zone rosse”. Ma neppure
bianche né verdi. Per questo, le elezioni regionali che si svolgono
oggi sono importanti. Perché riguardano due casi esemplari: del
passato e, al tempo stesso, del futuro politico in Italia. I
sondaggi, per quel che contano, stimano il Centrosinistra in
vantaggio non solo in Emilia Romagna (nettamente), ma anche in
Calabria. Comunque vada, sarà interessante verificare l’esito e la
geografia del voto. In queste due regioni tanto lontane, eppure
avvicinate dalle trasformazioni degli ultimi anni.
In particolare, mi pare utile
interrogare la geografia elettorale, soprattutto nel “cuore rosso”
d’Italia. Per verificare: a) la distribuzione territoriale, oltre
che l’ampiezza, del voto a Stefano Bonaccini. Vincitore delle
Primarie del Pd. Per capire, anzitutto, se, davvero, (come ha scritto
Gianfranco Pasquino) “la via Emilia è al capolinea”. b) La
penetrazione della Lega di Salvini. Proiettata “oltre” la
Padania. Alla guida di tutto il Centrodestra. Meglio: della Destra.
c) La diffusione del M5s, che, alle Europee, ha mantenuto una
presenza estesa e omogenea nel Paese. Ma non riesce più a sfondare,
in ambito locale. Neppure nelle zone d’origine. Ed è sempre più
diviso, scosso da tensioni ed espulsioni. d) Ma, prima di tutto,
occorrerà verificare la coerenza – e l’ampiezza del risultato
del Pd rispetto alle Europee. Per capire se il Pd, erede del Partito
della Sinistra, guidato da un candidato (neo)renziano, accetterà - o
almeno sopporterà - il PdR. Il partito di Renzi. Colui che ha il
merito e la colpa di aver spezzato il legame del Pd con il passato
comunista. E, forse, anche con la (tradizione di) Sinistra.
Ora che la “fede” (politica) si è
perduta, infatti, è possibile che si perda anche l’abitudine. A
votare per la Sinistra. O, semplicemente, a votare. E si scelga il
non-voto come voto. Come alternativa al Pdr.
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