giovedì 27 novembre 2014

Nella crisi dell’impegno comunitario.


Franco Gheza
All’inizio di quest’anno, precisamente il 23 febbraio 2014, Matteo Renzi ha scritto un “manifesto” con il quale il segretario del PD definisce la "sinistra" come laboratorio in continua trasformazione. Il Partito democratico non è un museo, ma una frontiera che sviluppa il progetto dell’Ulivo. Romano Prodi si era prefisso di abbattere gli steccati che separavano gli eredi del Partito comunista da quelli della Democrazia cristiana, per costruire una forza che raccogliesse le istanze liberal-democratiche, ambientaliste, in una nuova cultura politica "democratica". Erano gli anni dalla "terza via" di Bill Clinton e Tony Blair, una via da percorrere tra scilla e cariddi, tra gli estremismi della sinistra irriducibile e la destra diventata, dopo Reagan e Thatcher, una maschera di durezze. Il manifesto di Renzi è contenuto nella prefazione di "Destra e sinistra", il bestseller di Norberto Bobbio, che l'editore Donzelli ha ripubblicato a venti anni dalla prima uscita. Per il filosofo Norberto Bobbio la scelta cruciale è sempre la stessa, storica, tra eguaglianza e diseguaglianza. Oggi Matteo Renzi si chiede se quella scelta riesca ancora a riassorbire integralmente la distinzione destra/sinistra. “Basti pensare, a livello europeo, all’insorgere dei populismi e dei movimenti xenofobi contro i quali è chiamato a ridefinirsi il progetto dell’Unione europea, così in crisi. Un magma impossibile da ridurre alla vecchia contraddizione eguali/diseguali a lungo così nitida”. Certo, l'eguaglianza - non l’egualitarismo - resta la frontiera per i democratici, in un mondo interdipendente, dilaniato da disparità di diritti, reddito, cittadinanza. Come evitare che, in un paesaggio sociale tanto mutato, la sinistra perda contatto con gli "ultimi", legata alle fruste teorie degli anni sessanta e settanta, mentre papa Francesco con calore riesce a parlare la lingua della solidarietà? “Se la sinistra deve ancora interessarsi degli ultimi, perché è questo interesse specifico che la definisce idealmente come tale, oggi essa deve avere uno sguardo temporale più lungo”. “Nella crisi dell’impegno comunitario – dice papa Francesco al n.223 della Evangelii gaudium – il rischio dell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi”. E’ necessario dunque innescare processi, atteggiamenti, comportamenti nuovi. Le sicurezze ideologiche del Novecento – continua Renzi – elaborate sull’analisi di un mondo organizzato in blocchi sociali definiti e compatti, rendevano più semplice il compito della rappresentanza delle istanze degli ultimi e degli esclusi. Il loro desiderio di riscatto ha coinciso con l’invenzione del welfare che ha liberato dal bisogno materiale e ha fornito occasioni di emancipazione. La sinistra cara a Bobbio, quella socialdemocratica e anticomunista, ha insomma vinto la sua partita. Ma oggi ne stiamo giocando un’altra. Quei blocchi sociali che prima rendevano tutto più semplice non ci sono più. Gli stessi confini nazionali che erano il perimetro entro cui si giocava la partita dell’innovazione del welfare sono ormai messi in discussione. Oggi la nuova partita si svolge con attori e campi da gioco inediti. Di fronte a questo potente mutamento di prospettiva sociale ed economica, culturale e politica, sono chiamati al mutamento gli stessi che più hanno concorso a mutarlo. La sinistra è oggi chiamata a riconoscere il movimento continuo delle nuove dinamiche sociali che interessano gli ultimi e gli esclusi. Saper dare loro rappresentanza e, infine, saper costruire per loro, e per tutti, un paese migliore, è il compito del Partito democratico. È la missione storica della sinistra. Il giornalista Federico Geremicca prevede che i risultati delle ultime elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria aumenteranno la “guerra civile” già iniziata dentro il Partito Democratico. La polarità unità/conflitto – si legge ancora nella Evangelii gaudium – comporta di non aver paura della diversità ma nello stesso tempo di non perseguirla per se stessa, bensì di non cessare di tendere ad una «diversità riconciliata». Il vero dinamismo non consiste nel rimanere come si è, ma nell’essere “di più”.

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