GAD LERNER
Nel pamphlet “Senza il vento della
storia”, Franco Cassano spiega i motivi per cui i progressisti
hanno bisogno di lasciarsi alle spalle la nostalgia
Bei ricordi, quando il vento della
storia fischiava nella giusta direzione... La sinistra poteva
inebriarsi, perfino nelle sconfitte, della gratificante sensazione di
rappresentare il progresso mondiale, l’innovazione sociale,
l’orizzonte cosmopolita nel quale i diversi si riunificavano
superando le barriere geografiche, nazionali, religiose. Vero è che
l’aspirazione internazionalista («il proletariato non ha nazione»)
già si infrange nelle trincee insanguinate del 1914. Ma la sconfitta
del nazifascismo dà luogo in occidente a un compromesso fra
capitalismo e democrazia contraddistinto da alti tassi di sviluppo e
espansione dello Stato sociale: sono i “trenta gloriosi” anni
della nostra gioventù, con i quali Franco Cassano sollecita la
sinistra a smetterla di crogiolarsi. Finiti, superati, e se a noi
della sinistra occidentale questa sembra una marcia indietro della
storia, non è detto che la pensino così le masse dei paesi
emergenti che iniziano a usufruire dello spostamento di quote di
ricchezza orchestrato dall’alto. La globalizzazione, cioè, non può
essere liquidata come mero progetto di dominio del capitale
finanziario e delle multinazionali. La sinistra occidentale deve
scendere dalla cattedra e cessare di sentirsi ospite innocente di un
mondo cattivo, adesso che non rappresenta più gli ultimi e deve
agire controvento. Muovendosi nella scomoda realtà di un pianeta
pervaso da conflitti non riconducibili alla sola dimensione
economica.
L’ultimo agile saggio di Franco
Cassano, Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del
cambiamento ( Laterza), ha il pregio di affrontare con respiro
storico i dilemmi attualissimi del Partito democratico e del governo
Renzi. Suppongo che a questa preziosa concretezza lo solleciti anche
la sua recente esperienza di parlamentare. Già nel suo precedente
libro, L’umiltà del male, di taglio più filosofico, Cassano
manifestava la preoccupazione di evitare l’isolamento dei migliori,
per non regalare a chi nega il valore della fraternità quella
confidenza con le debolezze dell’uomo grazie a cui l’egoismo e il
populismo sono diventati senso comune maggioritario.
Di fronte alla nuova dimensione
mondiale del capitalismo, abile e veloce nell’incrociare i suoi
piani con la spinta dei paesi emergenti, i partiti della sinistra in
occidente si ritrovano sulla difensiva. L’istinto li sospinge a
ripiegarsi nella mera tutela di diritti e tutele di fasce sociali
sempre più ristrette. Minoritarie. Per non venire meno ai propri
valori di giustizia sociale e di uguaglianza, rischiano di incappare
in una boriosa autosufficienza.
È la ricerca politico-sociale a
tornare prioritaria, riconoscendo l’inadeguatezza delle risposte
fin qui elaborate per fronteggiare la globalizzazione. Chi s’illude
di replicare meccanicamente nel tempo contemporaneo lo schema
marxiano della lotta di classe — come fa Toni Negri delineando un
conflitto mondiale fra l’Impero e le “moltitudini” degli
oppressi — non riuscirà a comprendervi la natura delle guerre
militari e commerciali che lacerano il pianeta. Chi delinea una
resistenza incentrata su reti Lilliput di comunità locali in difesa
dei “beni comuni”, resterà isolato dalle grandi masse alle prese
con la scarsità delle risorse.
Cassano ripropone l’insegnamento
gramsciano, ovvero la necessità di affidare alla politica, pur in
condizioni avverse, l’impresa di costruire un blocco sociale più
largo, capace di opporsi all’egemonia del capitale. Non potrà
essere più una rete tradizionale di alleanze sociali, dovrà
comprendere la nuova dimensione individuale del lavoro autonomo,
dell’imprenditorialità, del precariato, dei diritti legati
all’ambiente e alla cittadinanza.
E le categorie già tutelate dalla
sinistra? Qui il discorso si fa scivoloso ma affascinante.
Rimanere aggrappata alla rappresentanza
(decrescente) dei garantiti equivale a una rinuncia perché sinistra
vuol dire “molti” e la politica è il luogo dei molti.
Ma allora bisogna anche riconoscere
l’impossibilità di una difesa efficace dei diritti che prescinda
dalle ragioni della competitività. Cassano chiede alla sinistra di
archiviare il patrimonio dei “trenta gloriosi” anni in cui si
estese quello Stato sociale le cui garanzie oggi rimangono
appannaggio di minoranze organizzate.
Non sarebbe corretto forzare il suo
ragionamento dentro alle lacerazioni odierne della sinistra italiana
alle prese con la riforma del mercato del lavoro. Eppure riesce
difficile ignorarle di fronte a questa sua affermazione: «I diritti
accumulati nel corso dei “trenta gloriosi” devono essere
rinegoziati e resi compatibili con le risorse che un paese produce e
di cui dispone nonché con la sua posizione all’interno del mondo
globale».
Poco m’interessa stabilire se gli
stimoli di Cassano alla ricerca di un nuovo blocco sociale suonino
renziani o antirenziani. Ma certo, come per la Chiesa di Francesco,
egli sembra suggerirci che anche per la sinistra del Ventunesimo
secolo non possano esistere “valori non negoziabili”.
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