L’amaca
MICHELE SERRA
Quando sento qualcuno — soprattutto
se è un ragazzo — chiamare “sbirri” i poliziotti mi inalbero.
Sono legalitario e statalista. Non sopporto l’indifferenza sbracata
che molti italiani oppongono alle regole. Esigo rispetto per persone
malpagate che rischiano la loro vita per difendere la nostra
tranquillità.
Proprio per questo spero che il
sindacato di polizia (Sap) chieda scusa del suo comunicato sulla
sentenza Cucchi: corporativo, vile, indegno di uomini in divisa. Alla
lettera, il Sap imputa la morte di Cucchi alla sua «vita dissoluta».
Che il ragazzo fosse in custodia di uomini dello Stato, e sia morto
nella migliore delle ipotesi per la loro indifferenza, nella peggiore
per la loro brutalità, è un concetto evidentemente troppo difficile
da afferrare per chi ha scritto quella povera nota. Si capisce che
l’assoluzione dei “colleghi” (parola che ha spesso qualcosa di
meschino) possa compiacere il Sap. Non si capisce come questo
compiacimento possa sfociare in una così tronfia e insensibile
esultanza per una sentenza che, da qualunque parte la si osservi, non
trova verità e non trova giustizia. Per colpa di quel comunicato ad
ogni posto di blocco mi sentirò un po’ meno sicuro, e l’uso
della parola “sbirro” mi sembrerà un po’ meno ingiustificato.
Complimenti al Sap.
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