Uffingtonpost 23/11/14
Dal Jobs Act alla delicatissima grana
del Campidoglio, quando c'è da risolvere un problema dentro il Pd
tocca sempre a lui. Dal Piemonte alla Calabria, passando per la
delicatissima Emilia, quando le situazioni locali cominciano a
scottare, ecco che arriva Lorenzo Guerini. L'alter ego di Renzi, uno
dei pochissimi di cui il premier si fidi davvero, insieme
all'inseparabile Luca Lotti. L'unico, nel cerchio magico, senza
accento toscano (ma ha anche lui tre figli come Renzi). E se Lotti
se ne sta chiuso nel bunker di palazzo Chigi, come numero due del
governo, Guerini gira come una trottola: dalle aule parlamentari
alle riunioni locali del Pd, passando per tutti i summit con Silvio
Berlusconi: Lorenzo c'è. O forse sarebbe meglio dire “Arnaldo”,
il soprannome che da tempo gli ha affidato Renzi, in omaggio al
vecchio leader Dc, per le sue doti di diplomazia e tattica politica.
Certo, per quello che ormai sta
diventando il vero segretario del principale partito della sinistra
italiana il paragone con Forlani, partner di Craxi e Andreotti nel
famigerato Caf, può sembrare un ossimoro. Ma così non è: Guerini
nasce nella Democrazia cristiana, giovanissimo consigliere comunale
nel 1990, poi assessore, presidente della Provincia e sindaco nella
sua Lodi e continua a considerarsi un “politico di provincia”.
Un democristiano di provincia, con tutti i pro e i contro della
definizione. È uno che non ha mai fatto sfoggio di grandi simpatie
a sinistra: ragioniere, laureato in Scienze politiche alla Cattolica
di Milano, assicuratore di professione ma da ormai vent'anni
politico a tempo pieno, Guerini si è sempre distinto per
razionalità, capacità di mediazione, nervi di ghiaccio, abilità
nella trattativa. Come quando Lodi precipitò nell'estate dei
furbetti nel baratro della Banca popolare di Fiorani, e lui (che
come tanti aveva ammirato lo spericolato banchiere) si rimboccò le
maniche per evitare il collasso del sistema economico della città.
Renzi, lontano mille anni luce per
temperamento, lo ha notato ai tempi della battaglia dentro l'Anci
tra Graziano Delrio e Michele Emiliano, 2011: Guerini, dell'Anci
lombarda, si spese per l'allora sindaco di Reggio Emilia e contribuì
a portare a casa il risultato. Da allora Renzi non l'ha mai mollato,
e della sua abilità ha avuto prova quando Lorenzo venne spedito nel
comitato delle regole per le primarie del 2013 contro quel mastino
di Nico Stumpo, comunista calabrese e grande uomo-macchina, con cui
poi è nata anche una simpatia. Cementata nelle ultime settimane,
quando i due, Stumpo e Guerini, hanno dovuto far fronte a una
pattuglia di combattivi senatori dell'Udc calabrese, che
pretendevano di allearsi col Pd alle regionali dopo aver fatto parte
della giunta Scopelliti. Sul tavolo la pistola era carica: erano
abbastanza per far tremare il governo a palazzo Madama. Ma il
candidato governatore del Pd, il bersaniano Mario Olivero, ha detto
no: “Se entrano loro vi trovate un altro candidato”. Ed ecco che
la strana coppia ha dovuto sbrigliare, con successo, la matassa. Tra
i due la simpatia si è cementata. Dice Stumpo: “Veniamo da
culture diverse, ma convididiamo l'idea della centralità del
partito, dei suoi gruppi dirigenti, l'idea che un partito serve, che
invece altri renziani sentono molto meno...”. Più che un
complimento, detto da lui.
Di polemiche non ne fa molte, Guerini.
Ogni tanto Renzi gli intima di mandare qualche sberla alla minoranza
dem, ma lui preferisce tessere: come ha fatto con Cesare Damiano sul
Jobs Act, e alla fine anche un dissidente doc come Francesco Boccia
si è augurato che “nel Pd prevalgano le persone di buona volontà
come Guerini”.
In questi giorni è alle prese con il dossier Ignazio Marino, forse più complicato ancora dei senatori calabresi. Guerini l'ha affrontato col suo stile, quello di chi, come racconta un suo amico, “ti fa decidere quello che vuole lui facendoti credere che l'hai deciso tu”. E' la strategia che sta usando con il sindaco di Roma, che dovrebbe convincersi a cambiare nel profondo la sua giunta, e di averlo deciso lui. Di certo Guerini, che il sindaco l'ha fatto per oltre 7 anni, sa perfettamente cos'è l'autonomia di un primo cittadino, anche di fronte al suo partito. E si è ben guardato dal dirgli “ubbidisca”, come ha fatto invece il capo dei senatori Pd Luigi Zanda.
In questi giorni è alle prese con il dossier Ignazio Marino, forse più complicato ancora dei senatori calabresi. Guerini l'ha affrontato col suo stile, quello di chi, come racconta un suo amico, “ti fa decidere quello che vuole lui facendoti credere che l'hai deciso tu”. E' la strategia che sta usando con il sindaco di Roma, che dovrebbe convincersi a cambiare nel profondo la sua giunta, e di averlo deciso lui. Di certo Guerini, che il sindaco l'ha fatto per oltre 7 anni, sa perfettamente cos'è l'autonomia di un primo cittadino, anche di fronte al suo partito. E si è ben guardato dal dirgli “ubbidisca”, come ha fatto invece il capo dei senatori Pd Luigi Zanda.
Dentro il Pd, senza nessun passaggio
formale, l'Arnaldo si sta guadagnando sul campo i gradi di
segretario, almeno nella pratica, oscurando l'altra metà del ticket
Debora Serracchiani, assai presa dal ruolo di governatore del Friuli
e più incline ai toni da battaglia, anche dentro il partito. Nei
conversari privati, Renzi lo imita, fa l'accento lombardo e ripete
più volte le frasi “bisogna trovare una sintesi”, “lavoreremo
per un'intesa...”. Concetti che al rottamatore poco si confanno, e
tuttavia sono necessari, talvolta. Guerini da bravo lombardo lavora
molto, corre, va in bici perchè non ha la patente. Il look da
assicuratore di provincia si è arricchito negli ultimi mesi con
scarpe firmate e cravatte di sartoria, abiti con taglio alla moda
molto spesso sui toni del blu. Ma non sembra essersi montato la
testa. Dopo il 40% alle europee l'hanno sentito dire, “mi importa
di più che abbiamo ripreso Casalpusterlengo”, paese della
lodigiana famoso più che altro per il casello autostradale. Dopo il
primo incontro al Nazareno, interpellato dai cronisti sulla sua
improvvisa scalata nella stanza dei bottoni, ironizzò: “Mi sento
come uno di quei testimoni presi a caso ai matrimoni a Las
Vegas...”.
Più che di Forlani, pare che in
gioventù sia stato affascinato dall'abilità politica di Andreotti
e dal “ragionamento” di De Mita, finendo poi in pratica assai
più vicino agli andreottiani lombardi. Nelle trasformazioni
successive alla Dc, fino al Partito democratico, è stato vicino
all'ala popolare di Giuseppe Fioroni. Nel 2010 firmò il cosiddetto
“Manifesto dei 75”, promosso da Veltroni, Gentiloni e da
Fioroni, “per un partito aperto e a vocazione maggioritaria” e
in aperto contrasto con le tesi della Ditta di Bersani. I tempi
erano maturi per l'incontro che gli ha cambiato la vita, quello con
l'allora collega sindaco di Firenze. E ora, visto il crescente peso
nazionale, talvolta gli tocca persino di rinunciare alla festa del
patrono di Lodi, San Bassiano, e alla trippa con amici e
concittadini sotto i portici del Broletto.
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