lunedì 24 novembre 2014

Lorenzo Guerini: ritratto di un politico di provincia diventato l'alter ego di Matteo Renzi


Uffingtonpost 23/11/14
Dal Jobs Act alla delicatissima grana del Campidoglio, quando c'è da risolvere un problema dentro il Pd tocca sempre a lui. Dal Piemonte alla Calabria, passando per la delicatissima Emilia, quando le situazioni locali cominciano a scottare, ecco che arriva Lorenzo Guerini. L'alter ego di Renzi, uno dei pochissimi di cui il premier si fidi davvero, insieme all'inseparabile Luca Lotti. L'unico, nel cerchio magico, senza accento toscano (ma ha anche lui tre figli come Renzi). E se Lotti se ne sta chiuso nel bunker di palazzo Chigi, come numero due del governo, Guerini gira come una trottola: dalle aule parlamentari alle riunioni locali del Pd, passando per tutti i summit con Silvio Berlusconi: Lorenzo c'è. O forse sarebbe meglio dire “Arnaldo”, il soprannome che da tempo gli ha affidato Renzi, in omaggio al vecchio leader Dc, per le sue doti di diplomazia e tattica politica.
Certo, per quello che ormai sta diventando il vero segretario del principale partito della sinistra italiana il paragone con Forlani, partner di Craxi e Andreotti nel famigerato Caf, può sembrare un ossimoro. Ma così non è: Guerini nasce nella Democrazia cristiana, giovanissimo consigliere comunale nel 1990, poi assessore, presidente della Provincia e sindaco nella sua Lodi e continua a considerarsi un “politico di provincia”. Un democristiano di provincia, con tutti i pro e i contro della definizione. È uno che non ha mai fatto sfoggio di grandi simpatie a sinistra: ragioniere, laureato in Scienze politiche alla Cattolica di Milano, assicuratore di professione ma da ormai vent'anni politico a tempo pieno, Guerini si è sempre distinto per razionalità, capacità di mediazione, nervi di ghiaccio, abilità nella trattativa. Come quando Lodi precipitò nell'estate dei furbetti nel baratro della Banca popolare di Fiorani, e lui (che come tanti aveva ammirato lo spericolato banchiere) si rimboccò le maniche per evitare il collasso del sistema economico della città.
Renzi, lontano mille anni luce per temperamento, lo ha notato ai tempi della battaglia dentro l'Anci tra Graziano Delrio e Michele Emiliano, 2011: Guerini, dell'Anci lombarda, si spese per l'allora sindaco di Reggio Emilia e contribuì a portare a casa il risultato. Da allora Renzi non l'ha mai mollato, e della sua abilità ha avuto prova quando Lorenzo venne spedito nel comitato delle regole per le primarie del 2013 contro quel mastino di Nico Stumpo, comunista calabrese e grande uomo-macchina, con cui poi è nata anche una simpatia. Cementata nelle ultime settimane, quando i due, Stumpo e Guerini, hanno dovuto far fronte a una pattuglia di combattivi senatori dell'Udc calabrese, che pretendevano di allearsi col Pd alle regionali dopo aver fatto parte della giunta Scopelliti. Sul tavolo la pistola era carica: erano abbastanza per far tremare il governo a palazzo Madama. Ma il candidato governatore del Pd, il bersaniano Mario Olivero, ha detto no: “Se entrano loro vi trovate un altro candidato”. Ed ecco che la strana coppia ha dovuto sbrigliare, con successo, la matassa. Tra i due la simpatia si è cementata. Dice Stumpo: “Veniamo da culture diverse, ma convididiamo l'idea della centralità del partito, dei suoi gruppi dirigenti, l'idea che un partito serve, che invece altri renziani sentono molto meno...”. Più che un complimento, detto da lui.
Di polemiche non ne fa molte, Guerini. Ogni tanto Renzi gli intima di mandare qualche sberla alla minoranza dem, ma lui preferisce tessere: come ha fatto con Cesare Damiano sul Jobs Act, e alla fine anche un dissidente doc come Francesco Boccia si è augurato che “nel Pd prevalgano le persone di buona volontà come Guerini”.
In questi giorni è alle prese con il dossier Ignazio Marino, forse più complicato ancora dei senatori calabresi. Guerini l'ha affrontato col suo stile, quello di chi, come racconta un suo amico, “ti fa decidere quello che vuole lui facendoti credere che l'hai deciso tu”. E' la strategia che sta usando con il sindaco di Roma, che dovrebbe convincersi a cambiare nel profondo la sua giunta, e di averlo deciso lui. Di certo Guerini, che il sindaco l'ha fatto per oltre 7 anni, sa perfettamente cos'è l'autonomia di un primo cittadino, anche di fronte al suo partito. E si è ben guardato dal dirgli “ubbidisca”, come ha fatto invece il capo dei senatori Pd Luigi Zanda.
Dentro il Pd, senza nessun passaggio formale, l'Arnaldo si sta guadagnando sul campo i gradi di segretario, almeno nella pratica, oscurando l'altra metà del ticket Debora Serracchiani, assai presa dal ruolo di governatore del Friuli e più incline ai toni da battaglia, anche dentro il partito. Nei conversari privati, Renzi lo imita, fa l'accento lombardo e ripete più volte le frasi “bisogna trovare una sintesi”, “lavoreremo per un'intesa...”. Concetti che al rottamatore poco si confanno, e tuttavia sono necessari, talvolta. Guerini da bravo lombardo lavora molto, corre, va in bici perchè non ha la patente. Il look da assicuratore di provincia si è arricchito negli ultimi mesi con scarpe firmate e cravatte di sartoria, abiti con taglio alla moda molto spesso sui toni del blu. Ma non sembra essersi montato la testa. Dopo il 40% alle europee l'hanno sentito dire, “mi importa di più che abbiamo ripreso Casalpusterlengo”, paese della lodigiana famoso più che altro per il casello autostradale. Dopo il primo incontro al Nazareno, interpellato dai cronisti sulla sua improvvisa scalata nella stanza dei bottoni, ironizzò: “Mi sento come uno di quei testimoni presi a caso ai matrimoni a Las Vegas...”.
Più che di Forlani, pare che in gioventù sia stato affascinato dall'abilità politica di Andreotti e dal “ragionamento” di De Mita, finendo poi in pratica assai più vicino agli andreottiani lombardi. Nelle trasformazioni successive alla Dc, fino al Partito democratico, è stato vicino all'ala popolare di Giuseppe Fioroni. Nel 2010 firmò il cosiddetto “Manifesto dei 75”, promosso da Veltroni, Gentiloni e da Fioroni, “per un partito aperto e a vocazione maggioritaria” e in aperto contrasto con le tesi della Ditta di Bersani. I tempi erano maturi per l'incontro che gli ha cambiato la vita, quello con l'allora collega sindaco di Firenze. E ora, visto il crescente peso nazionale, talvolta gli tocca persino di rinunciare alla festa del patrono di Lodi, San Bassiano, e alla trippa con amici e concittadini sotto i portici del Broletto.


Nessun commento:

Posta un commento