TOMMASO CIRIACO
ANNALISA CUZZOCREA
La Repubblica 29 novembre 2014
È stata la moglie Parvin, a insistere
più di tutti: «Non puoi andare avanti così». Che fosse stanco,
esausto, svuotato da questi ultimi due anni di piazze e giornalisti
sotto casa, comizi ed espulsioni da decidere, Beppe Grillo lo aveva
confessato a tutti quelli che gli sono più vicini. E lo aveva
dimostrato nell’ultima campagna elettorale, quando il massimo che
aveva voluto fare per la Calabria era stato un video poco riuscito.
Mentre in Emilia si era deciso ad andare solo all’ultimo momento,
ritrovandosi con 100 persone al circolo Mazzini di Bologna a dire ai
suoi: «Dovete camminare con le vostre gambe».
Anche per questo, a un direttorio di
persone che possano prendere la guida dei gruppi parlamentari e fare
da interfaccia nei territori, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio
pensavano da tempo. Ed erano mesi che i cinque prescelti andavano
periodicamente a Milano, suscitando l’invidia degli esclusi. Di chi
si considerava più adatto al ruolo di referente interno vinto,
invece, dal fedelissimo Roberto Fico, dal tessitore Luigi Di Maio,
insieme ai falchi - spesso gaffeur - Carlo Sibilia e Alessandro Di
Battista, e all’unica donna Carla Ruocco. I tempi decisi, però,
erano altri. Si sarebbe dovuto procedere prima alle espulsioni di chi
negli ultimi mesi ha messo in discussione la linea (in quella saletta
di Bologna Grillo si era lasciato sfuggire la frase: «È il momento
di fare pulizia»), e poi alla nomina dei cinque piccoli leader (che
potrebbero essere seguiti da figure analoghe per il Senato).
Non arriva a sorpresa, quindi, il passo
indietro. Ma c’è stato qualcosa che lo ha affrettato. L’assedio
degli attivisti toscani alla villa di Marina di Bibbona è stato il
punto di rottura. Ritrovarsi a chiamare la polizia non per paura di
troppi taccuini e telecamere, ma dei suoi stessi militanti, delle
loro proteste e delle loro domande, è stato il momento che ha
portato Beppe Grillo a dire «basta». Era nella sua casa al mare a
cercare tranquillità, l’altro ieri, e si è ri- trovato 50
attivisti a protestare fuori dal cancello. I suoi attivisti. Quelli
che nelle tappe toscane lo portavano a cena. Quelli che - dopo i
comizi del mattatore che gridava, a Siena, contro lo scandalo Mps -
al mattino passavano presto a pagargli l’albergo. Non aveva nessuna
voglia di parlare, il capo, ma ha dovuto farlo. Prima con il deputato
Samuele Segoni. Poi con Federica Daga, Silvia Benedetti, Massimo
Artini. Non voleva, li ha fatti aspettare a lungo, sono stati al
telefono 10 minuti: «È assurdo Beppe, siamo qui, aprici ». Lui è
uscito, ha fatto varcare ai tre il cancello, ma li ha tenuti un’ora
e mezzo lì fuori, al buio, ben lontani dalla porta di casa. E
intanto, furibondo, pensava: «Basta».
«Ha fatto una parte indegna - racconta
Artini - parlava dei clic sul sito, diceva che ci sono milioni di
visualizzazioni e che i voti non contano. Poi mi ha detto di non
preoccuparmi, che tanto rimango deputato. Allora gli ho detto
vaffanculo, Beppe. Vai a cagare». Avevate un rapporto? «Sì,
avevamo un rapporto, ma di questa giornata terribile quell’ora e
mezza è stata la peggiore». È stato un vaffa, a far scattare la
decisione. Il vaffa di un suo deputato, e le domande della giovane
Silvia Benedetti che chiedeva: «Perché ora?». E che ha fatto in
modo che all’attore consumato sfuggisse la verità: «Perché se
avessimo aspettato l’assemblea non eravamo certi di poterli
cacciare». Resta duro a ogni richiesta di ascolto, Grillo. «Non vi
fidate più di me?», continuava a chiedere, incredulo. Poi, una
volta andati via, chiama Gianroberto Casaleggio - che le cronache del
quartier generale raccontano sempre più irritato - e insieme
decidono che è il momento. Era stato Casaleggio a chiedere ai falchi
in Parlamento di mandar via «le mele marce». Loro gli hanno detto
che poteva non essere facile, e allora ogni regola è saltata: quella
di far votare prima l’assemblea, e quella (prevista dal
non-statuto, la Bibbia del Movimento) di non creare organismi
direttivi. Così, con il post in cui Grillo si dice «stanchino come
Forrest Gump», e scegliendo i nomi di coloro che dall’inizio sono
stati i più coccolati dal blog, i due creano le condizioni per il
plebiscito del 91,7 per cento arrivato poco dopo le sette di sera.
«Da noi le prime, le seconde e le terze file si decidono in base ai
like ottenuti su Facebook », diceva qualche tempo fa il deputato
Tancredi Turco. In qualche modo, è stato profetico.
Chi racconta della crisi di Grillo,
però, dice che in realtà è cominciata prima di quel brutto giovedì
notte. Precisamente, il 14 ottobre scorso, quando - il giorno dopo la
riuscita tre giorni del Circo Massimo - era andato a fare un giro
nella sua Genova ferita dall’alluvione per sentirsi gridare da un
angelo del fango: «Vieni qui, ti sporchi un po’, ti fai fare le
foto. Vai via!». Si era infuriato, Grillo. Era fuggito in motorino
sulla collina di Sant’Ilario. Dov’è tornato ieri mattina, dopo
l’assedio di Bibbona. Tocca ai «ragazzi», come li chiama lui,
vedersela con le altre espulsioni. Tocca a loro, ascoltare proteste e
lamentele. Il capo è stanco, e - per ora - resta a guardare.
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