Filippo Landi
Mercoledì 19 novembre 2014
Nella tragedia che colpisce la gente di
Gerusalemme, sentire attribuire le violenze di oggi al leader di
Fatah in carcere dal 2002, Marwan Bargouthi, appare ridicolo. Un
leader ancor oggi popolare, ma nessun appello alla resistenza
contro gli israeliani, nessun appello ad una terza Intifada, potrebbe
smuovere qualcosa che non sia già precario.
Dieci anni fa si impediva, il venerdì,
agli uomini musulmani con meno di 35 anni di salire alla Spianata
delle Moschee. In questi ultimi due anni il limite è divenuto di 50
anni ed ha riguardato, nelle ultime settimane, anche le donne. La
polizia israeliana ripete che è una misura preventiva per
allontanare dalla Spianata delle Moschee e dal sottostante Muro del
Pianto persone potenzialmente, per l'età, più disponibili a
scontrarsi con la polizia. Un'affermazione che dimostra,
drammaticamente, il fallimento nell'ultimo decennio di un controllo
della situazione a Gerusalemme solo sul piano "poliziesco".
Come accade spesso, per militari e
poliziotti scaraventati in prima linea, adesso sono proprio "fonti
della polizia israeliana" a raccontare ai giornalisti (affinché
i politici israeliani intendano) che la situazione a
Gerusalemme non si può risolvere con l'uso della polizia.
Una conferma che la situazione sia
oltre il limite di rottura la si ricava dalle parole del ministro
degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, da sempre un "falco",
che in questi giorni ha definito "stupidi" i deputati della
Knesset che si affollano a passeggiare sulla Spianata delle Moschee-
Monte del Tempio, obbligando la polizia a proteggerli con grande
dispiegamento di forze. Passeggiate-preghiere che vengono
giornalmente ripetute da gruppi di ebrei dell'estrema destra.
L'obiettivo "buono" è chiedere libertà di preghiera per
gli ebrei sulla Spianata delle Moschee-Monte del Tempio. Il risultato
"cattivo" è esasperare la comunità palestinese e
musulmana di Gerusalemme, che ha nei gruppi della destra israeliana e
nella polizia gli unici interlocutori. Il governo Netanyahu per molti
mesi ha taciuto su questo evidente tentativo di cambiare anche lo
status quo della città vecchia di Gerusalemme. Per poi affermare,
quando le proteste palestinesi sono scoppiate, che non è suo
obiettivo cambiare gli attuali assetti.
La storia di Gerusalemme, comunque, è
ricca anche di altri capitoli. Ad esempio, gli sfratti di centinaia
di abitanti palestinesi dall'area di Silwan, a ridosso della zona
archeologica ebraica, in espansione, della città di Davide, sotto le
mura che delimitano la Spianata delle Moschee. Anche di questo si è
parlato nei tanti rapporti dei Consoli generali europei, presenti a
Gerusalemme.
C'è poi l'espansione dei quartieri e
degli insediamenti ebraici. Ormai siamo vicini a 250mila coloni ebrei
all'interno della Gerusalemme araba, su una popolazione complessiva
di tutta la città di 800mila persone.
C'è inoltre un clima umano,
ulteriormente impaurito ed incattivito. Molti genitori palestinesi
ora vietano ai propri figli adolescenti di percorrere molte
strade della città, dopo il rapimento e l'uccisione questa estate
del ragazzo palestinese di 16 anni il cui corpo fu bruciato da una
gang di giovanissimi ebrei.
Infine, anche i morti e i feriti
dell'ultima guerra a Gaza si sono visti sui televisori e sui computer
dei palestinesi di Gerusalemme. A dispetto di coloro (israeliani in
primo luogo, ma anche europei ed americani) che vogliono dividere
Gaza dalla Cisgiordania, e la Cisgiordania da Gerusalemme, tutto
invece si tiene, nella storia e ancor più nella nostra era
mediatica.
Quello che tragicamente accade nel nord
dell'Iraq ed in Siria, può ripetersi, in piccolo, anche a
Gerusalemme. Più del fanatismo degli islamisti radicali, sarà
responsabilità della spregiudicatezza e degli errori politici di
coloro che si troveranno a combatterlo. Esistono anche documenti che
raccontano questa spregiudicatezza sul terreno e questa ignavia
politica. Ne ricordo uno, ma importante.
Erano gli anni di Gianfranco Fini
ministro degli Esteri. Un tempo ormai lontano: dal novembre 2004 al
maggio 2006. L'allora ministro degli Esteri aveva nei confronti del
Medio Oriente e di Israele, in particolare, un'attenzione speciale.
Da poco, infatti, si era consumata la riabilitazione di Fini, uomo
politico della destra, nel consessi internazionali, anche grazie al
suo viaggio in Israele, alla condanna delle leggi razziali fasciste,
alla sua accoglienza in terra di Gerusalemme anche da parte della
comunità ebraica italiana emigrata in quella città.
Dopo qualche tempo dall'inizio del suo
incarico arrivò sul suo tavolo di lavoro alla Farnesina un allarmato
rapporto sulla situazione a Gerusalemme. Era redatto e sottoscritto
da otto Consoli generali a Gerusalemme, tra questi c'era anche il
Console generale italiano. Quel rapporto, inviato ai ministri degli
Esteri dell'Unione Europea, descriveva con minuzia di particolari la
politica israeliana a Gerusalemme e l'obiettivo israeliano di rendere
impossibile, nei fatti, che quella città divenisse anche la capitale
del futuro stato palestinese. Un obiettivo perseguito, si diceva,
anche a costo di conseguenze dirompenti nel rapporto tra la comunità
palestinese e quella ebraica, attraverso l'espansione degli
insediamenti ebraici intorno e all'interno dei quartieri arabi.
Il ministro Fini prese atto di quel
rapporto, ma chiese ed ottenne che a Bruxelles, in sede
comunitaria, non si svolgesse un esame politico e pubblico di quanto
scritto dai diplomatici europei presenti a Gerusalemme. Da allora
quel rapporto giace nei cassetti della Farnesina e delle altre sedi
diplomatiche europee. A quel rapporto altri ne sono seguiti,
descrivendo una situazione sempre più instabile a Gerusalemme.
Nessuna di quelle accurate analisi ha prodotto conseguenze politiche
a livello europeo.
La diplomazia italiana e quella
europea, che pur hanno non poche manchevolezze nell'analisi dei
problemi in Medio Oriente, nel caso di Gerusalemme invece hanno
mostrato una capacità di denuncia, indubbia e di lunga data.
Sono stati invece i politici, non solo
quelli italiani, a nascondere il macerarsi del problema Gerusalemme.
Mettiamo da parte gli interessi legati alla politica interna
italiana; più in generale ha dominato tra i politici europei, su
Gerusalemme, il principio che israeliani e palestinesi dovessero
decidere l'assetto futuro della città in sede di trattative di pace.
Non era opportuno interferire in questa delicata questione: questa la
considerazione politica che è divenuta nel tempo un vero e proprio
alibi, di fronte al mutare, imposto dagli israeliani, della realtà
di fatto a Gerusalemme.
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