giovedì 27 novembre 2014

Lo spazio (esiguo) a sinistra del Pd 
e il mito del «partito del lavoro».

Corriere della Sera 27/11/14
corriere.it
Le frizioni sempre più evidenti nel Pd, innescate dal Jobs act, sono esplose ieri con evidenza. Punto scatenante è stato il risultato delle elezioni in Emilia-Romagna. La straordinaria astensione è stata letta prevalentemente come un segnale critico rivolto a Renzi. Rosy Bindi, nell’intervista concessa a questo giornale, lo dice esplicitamente e ritiene che non sia lontano il momento della costituzione di una forza di sinistra in competizione con il Pd di Renzi che starebbe progressivamente spostandosi a destra. Una forza che recuperi l’ispirazione dell’Ulivo, saldamente collocata nell’area del riformismo di sinistra.

Che consistenza avrebbe un percorso di questo genere? Quale forza elettorale? È naturalmente difficile da dire. È indubbio che l’aggravarsi delle difficoltà economiche del Paese creino nell’elettorato forti preoccupazioni e un malumore diffuso anche verso il governo e il premier che hanno perso una quota importante di consensi a partire dalla fine dell’estate. E abbiamo visto che il Jobs act non sembra essere particolarmente apprezzato, poiché si pensa che favorisca più le imprese che non i lavoratori né si spera in un suo effetto apprezzabile sulla crescita dell’occupazione.

 Ma questo non basta per individuare una stabile base di consenso. L’orientamento culturale su cui Renzi fonda il suo percorso non è infatti tanto un rifiuto della collocazione a sinistra, quanto un percorso di rinnovamento delle costituencies della sinistra in un mondo trasformato. E, in fondo, è stato Renzi a collocare il Pd nel Partito socialista europeo, cosa che non era riuscita a nessuno dei segretari provenienti dalla tradizione ex-comunista. E l’impostazione retrostante il Jobs act sembra una sorta di riedizione del patto dei produttori, sia pure con modalità negoziali e processi decisionali diversi rispetto al passato. Quindi l’ipotesi della nuova forza può avere una sua consistenza solo se non si chiude nel recupero del passato, nel ritorno all’Ulivo o comunque alle tradizioni precedenti. La richiesta di cambiamento, anche del ceto dirigente, è stata evidente in una parte importante dell’elettorato tradizionale della sinistra e sembra oramai un dato che non si può mettere in discussione. Anche perché il consenso potenziale ad una forza di questo tipo, come abbiamo visto qualche settimana fa, veniva meno dai lavoratori e più da disoccupati e anziani. Recuperare il disagio e la delusione attraverso il classico partito del lavoro è dunque presumibilmente difficile.





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