sabato 22 novembre 2014

Un brutto clima


Riccardo Imberti
La situazione italiana si fa sempre più preoccupante. Da un lato il maltempo ha messo a dura prova intere aree del Paese, dall'altro, il manifestarsi di un sentimento di rabbia che rischia di trasformare le nostre città e le loro periferie un luogo di scontro e di guerriglia che non promette nulla di buono.
Il clima economico generale non migliora, e il sentimento che sta montando è un mix di nervosimo incertezza rassegnazione, un impasto che si solidifica e si frappone fra la società e la politica, soffiando nelle vele della vecchia-nuova destra, dell’antipolitica, ma ormai anche in qualcosa di potenzialmente pericoloso per la credibilità delle istituzioni.
L'Italia è un paese che fatica a uscire dalla crisi, e la politica, nonostante lo sforzo di Matteo Renzi, ha tempi troppo lunghi per far fronte ai tanti problemi accumulati in anni di inadempienza e inconcludenza.
I sintomi di un conflitto diffuso sono tremendamente concreti, tipico dei momenti di crisi economica, alimentati ad arte dalla destra e dalla lega, per mettere in difficoltà il governo nazionale e locale, altri dovuti a problemi annosi trascurati per anni che oggi emergono in tutta la loro drammaticità.
Si stanno mischiando problemi di una difficile convivenza. Succede a Roma, Tor Sapienza è un quartiere in degrado, è indubbio. Ma siamo sicuri che la colpa sia degli stranieri o dei rom? La paura degli extracomunitari, indicati a torto (ma con indubbia efficacia psicologica) come causa della disoccupazione e della criminalità urbana, ha lo stesso sapore della paura che i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato nutrono nei confronti della flessibilità dilagante.
Così come a Milano a Corvetto e al Giambellino, gli sgomberi dall'abusivismo abitativo, stanno causando tafferugli e contestazioni sempre più diffusi.
Si stanno sommando problemi di esasperazione, dovute a gravi crisi aziendali come a Terni, con la disperazione di persone colpite da devastazioni ambientali come a Genova e le fasce deboli delle periferie e dei quartieri delle tante povertà.
Nell'immediato la soluzione è affidata alla determinazione del governo tutto impegnato a far fronte alla grande congiuntura economica, con provvedimenti che tentano di rilanciare l'economia e l'occupazione, dall'altra le forze dell'ordine si oppongono al diffondersi di contestazioni sempre più egemonizzate dagli antagonisti di turno.
Ma tutto questo non basta. Accanto ai provvedimenti redistributivi che il governo sta introducendo, serve una riflessione seria sugli strumenti necessari per ricreare le condizioni per la convivenza tra le aree delle città e tra i cittadini e le istituzioni. Va ripensato in profondità l'assetto urbanistico delle città, indirizzandolo verso un orizzonte di equilibrio, se non vogliamo, come ha affermato giustamente qualcuno, che la disperazione delle periferie si riversi nel cuore dei centri.
Così come, se è giusto contestare il sindacato quando si pone solo a difesa dei lavoratori tutelati e garantiti, al tempo stesso è necessario ricercare un dialogo serio e libero da pregiudizi e ideologie per una profonda condivisione sull'introduzione e adozione dei nuovi ammortizzatori sociali rivolti in particolare alle fasce delle nuove povertà e alla questione del lavoro ai giovani.
Accanto alle urgenze serve un pensiero lungo che ridisegni, accanto alle riforme istituzionali, i luoghi del confronto, fuori dal quale c'è il rischio di rendere irreversibile la crisi profonda in cui siamo immersi.

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