Corriere della Sera 6/11/14
Maria Serena Natale
«Andiamo a fare un giro?», lo ripete
spesso nell’ostinata litania dei suoi giorni in gabbia. Fotis ha
vent’anni e la sindrome di Down, vive in un rettangolo di sbarre di
legno con la porta chiusa a chiave. Un letto singolo, niente oggetti
personali. Ce ne sono tante di «celle di sicurezza» nel centro per
disabili di Lechaina, Peloponneso occidentale, poco meno di settanta
pazienti, in maggioranza bambini e adolescenti abbandonati dalle
famiglie. Jenny guarda il mondo dalla sua gabbia da quando le fu
diagnosticato l’autismo. Aveva due anni, oggi ne ha nove. Bambini,
ammalati, vittime collaterali di una guerra economica nel cuore
d’Europa. Da venerdì scorso la Grecia è ufficialmente fuori dalla
grande recessione dopo sei anni di tagli, misure d’austerità,
monitoraggio della trojka e salvataggi internazionali. Il Pil torna a
crescere ma il Paese è lacerato, il sistema sociale dissolto, i più
vulnerabili lasciati alla carità dei volontari.
Nell’istituto
di Lechaina, oggetto nel 2010 di un durissimo rapporto del difensore
civico per i diritti dei minori rimasto inascoltato, non c’è un
medico in servizio stabile, solo un’infermiera e un assistente per
piano. Nel 2006 un ragazzo di quindici anni rimasto senza
supervisione morì per soffocamento dopo aver ingerito un oggetto.
Dieci mesi dopo la stessa sorte toccò a un sedicenne nel cui stomaco
furono trovati frammenti di stoffa e bendaggi.
La direttrice
Gina Tsoukala non riceve stipendio da un anno. «Certo che non
dovremmo usare le gabbie — dice alla Bbc — ma alcuni pazienti
hanno tendenze autodistruttive o aggressive verso gli altri, per noi
è impossibile seguirli tutti con forze così ridotte». All’ora
dei pasti i bambini in gabbia ricevono il cibo attraverso le sbarre.
Strumenti coercitivi e restrizioni alle libertà fondamentali che
ricordano i tempi bui nei quali la disabilità era oscurata, relegata
ai margini, rimossa dal corpo sociale.
La regressione culturale
e materiale diretta conseguenza della recessione penalizza l’infanzia
in molti modi. La generazione perduta. Secondo un rapporto Unicef
pubblicato lo scorso ottobre la Grecia è con l’Islanda il Paese
che più ha visto crescere la povertà infantile dal 2008,
raggiungendo un tasso d’indigenza dei minori del 40,5% (contro il
23% di sei anni fa). Più che raddoppiata la percentuale di nuclei
familiari incapaci di garantire ai bambini un pasto con carne o pesce
ogni due giorni. Lo studio dell’Unicef ha analizzato 41 Stati
tenendo conto di indicatori come possibilità economiche, livelli di
stress, grado generale di soddisfazione, accesso all’istruzione. E
ha fotografato una spirale nella quale «sempre più famiglie in
Grecia faticano a soddisfare le più elementari necessità materiali
ed educative».
Gli effetti sulla crescita e la formazione dei
bambini, prevede il rapporto, si faranno sentire a lungo. «C’è
una fondamentale sfasatura tra la durata della crisi e le sue
conseguenze sociali» avverte il sociologo Alexander Kentikelenis. In
un Paese dove nei momenti di massima depressione economica si stimava
una perdita di circa mille posti di lavoro al giorno e oggi la
disoccupazione si aggira intorno al 25% (quella giovanile sfiora il
50%), le nuove generazioni si vedono negare gli strumenti formativi
di base, quelle stesse risorse sulle quali sarebbe urgente investire
per rilanciare l’intero sistema produttivo. Il piano di aiuti Ue
scade a fine dicembre, quello del Fondo monetario internazionale nel
2016. «La speranza è tornata, la Grecia è tornata» ha dichiarato
il primo ministro conservatore Antonis Samaras subito dopo la
pubblicazione dei dati di venerdì. Per motivare il Paese, e forse
anche se stesso.
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