mercoledì 30 settembre 2015

A sinistra del PD la storia si ripete, sempre identica


Federico Gnech
Devo essere davvero diventato un reazionario col botto come pensa, facendomelo intuire, qualche mio conoscente. Non riesco a spiegarmi altrimenti perché, di fronte agli incontri dei landiniani di Coalizione Sociale e dei civatiani di Possibile, al netto di ogni sarcasmo, mi rimanga soltanto uno sgradevole senso di nausea. Non vorrei essere frainteso: si tratta di quel tipo di nausea che ti prende con quei cibi e quelle bevande che in una certa occasione ti hanno fatto stare malissimo, e che il tuo corpo da quel momento rifiuta.
Sono abbastanza cresciuto da ricordare tutte le scissioni, le costituenti, i cantieri, i laboratori e le coalizioni della sinistra rosso-verde degli ultimi vent’anni. Ho già dato su quel versante, non ho lo stomaco – né, soprattutto, le stesse idee – dei tanti amici e conoscenti che ad esempio qui a Venezia approfitteranno della sconfitta del Senatore Casson per rinforzare le palizzate del loro Fort Apache. Che cosa debba diventare questo fortilizio, non è del tutto chiaro.
Che i frondisti del PD possano (ri)costituirsi in partito appare bizzarro, avendo essi rifiutato l’idea stessa di partito rifiutando la sconfitta alle primarie e il conseguente cambio di segreteria e di linea. All’assemblea di Roma, Civati ha del resto definito Possibile come «un esperimento nuovo [sic] che avrà una formula, delle strutture anche organizzative diverse dal solito», «una ramificazione di comitati molto piccoli, molto versatili, collegati tra loro, che possano discutere, votare delle cose [sic]».
Alleato naturale di Possibile, la “coalizione sociale” di Landini – un sindacalista che non tenta nemmeno di scalare il proprio sindacato, ma punta direttamente a nazionalizzare le industrie – sembra ancor meno destinata alla forma partito. Può forse voler dire qualcosa la presenza di vecchie glorie dell’operaismo quali Piperno e Scalzone – per inciso, rappresentanti di un’area che coi metalmeccanici, qualche decennio fa, comunicava a colpi di Hazet 36.
Infine SEL, l’unico partito tradizionale del lotto, nato con l’intenzione dichiarata di riempire il «drammatico vuoto a sinistra» creatosi dopo la fondazione del PD, ma che in sei anni è riuscito a riempire soltanto un buchino del 3% – «siamo minoranza numericamente, ma minoritari, francamente, no», sostiene Fabio Mussi – del quale tenderà a presidiare gelosamente i confini, almeno sinché converrà a Vendola e ai suoi pretoriani.
I due movimenti e il partitino personale potranno forse dare origine a un cartello elettorale pronto, nella migliore delle ipotesi, a prendersi un 8-10% alle elezioni o, nella peggiore, a ripetere la disfatta della Sinistra Arcobaleno. Tanto più che la Sinistra arcobaleno (per l’esattezza: la Sinistra l’Arcobaleno) appariva politicamente ben più omogenea della “cosa” di sinistra che eventualmente verrà.
All’incontro di Possibile, Pippo Civati ha infatti invitato una rappresentanza dei Radicali, e ha citato i liberali tout court tra le componenti politiche che il nuovo soggetto dovrebbe riuscire ad attrarre. Essendo Civati, come sappiamo, un liberale di sinistra riposizionatosi tatticamente, la cosa non dovrebbe stupire.
Non stupirà nemmeno vedere dei liberali partecipare alle manifestazioni e firmare appelli assieme ai catorci di AutOp, eventualità già presentatasi altre volte nella prima come nella seconda repubblica, in situazioni di “emergenza democratica” vera o immaginaria, dagli anni di piombo sino al ventennio berlusconiano.
Il collante che tiene insieme visioni così diverse è in effetti sempre la presenza di un grande nemico pubblico/nemico del popolo, ruolo che oggi Renzi incarna alla perfezione, meglio di quanto non abbia mai fatto lo stesso Berlusconi.  Com’è noto, la sinistra massimalista ama impiegare tutte le proprie capacità di mobilitazione contro il “nemico interno”, il “socialfascista” o il riformista “subalterno al neoliberismo”.
Soltanto pochi anni fa, anche Prodi veniva etichettato così da qualche attuale alleato di Civati. E non importa che i civatiani abbiano fondato una vera e propria mistica prodiana ai tempi dei “101” e della seguente arlecchinata di #occupyPD, perché per ora il rancore personale verso Renzi, riassumibile nel «nemmeno una telefonata» ascoltato e letto più volte in queste settimane, basta ad eliminare ogni spiacevole contraddizione.
Renzi è il vero fulcro e motore di tutte le iniziative politiche a sinistra del PD, per questo, fossi in Pippo Civati, non mi augurerei una caduta troppo rapida del rottamatore. Capisco che l’eventualità di una vittoria delle destre non rappresenti per gli antirenziani un disincentivo, ma qui si tratta di non scomparire. Perché se finisce Renzi, finisce anche la colla che tiene insieme i pezzi della Sinistra dei Puri.

Livorno, caos a Cinque stelle: il gruppo boccia il bilancio presentato dal suo sindaco


Stefano Minnucci
L'Unità 30 settembre 2015
Le opposizioni chiedono le dimissioni del sindaco Nogarin
Se il bilancio consolidato di un comune viene bocciato dal proprio consiglio comunale, quasi all’unanimità, anche dalla stessa maggioranza, forse qualche inconveniente politico c’è. Anzi, senza forse.
È accaduto a Livorno, nella città guidata dal sindaco del Movimento 5 Stelle, Filippo Nogarin. Il primo cittadino ha presentato un bilancio consolidato, una tipologia di bilancio che oltre ai conti dell’Ente deve comprendere anche quelli delle sue partecipate. Peccato però che il bilancio sia stato presentato senza includere il budget dell’azienda più importante della città, l’AAMPS, quella addetta alla gestione dei rifiuti.
Una mancanza che ha generato di fatto il caos all’interno della stessa maggioranza, formata esclusivamente dal M5s, che è arrivata addirittura a votare contro il suo sindaco.
Anche se la bocciatura di un bilancio consolidato non prevede le automatiche dimissioni del sindaco, il fatto politico è enorme. Soprattutto si aggrava se si considera che i Cinque Stelle, a Livorno, governano da soli  senza l’appoggio esterno di nessuna lista.
“Quando tutto il gruppo ti vota contro su un atto come questo, sul bilancio, il problema politico è piuttosto rilevante” commenta a Unità.tv il consigliere comunale del Parito democratico Alessio Ciampini.
“Siamo al delirio più totale all’interno del Movimento 5 Stelle. Sono mesi che assistiamo a fibrillazioni fra maggioranza e giunta, e addirittura all’interno della giunta stessa. Ci sono dichiarazioni di alcuni assessori che sconfessano il sindaco -prosegue – consiglieri comunali di maggioranza che si scagliano contro alcuni assessori. C’è uno sfaldamento della compagine”.
La vicenda di oggi è l’ultimo atto di una lista che di fatto certifica lo sfaldamento dell’amministrazione 5 stelle. “Stanno praticamente tenendo ferma la città – accusa Ciampini – e lo fanno sulla base della loro “ideologia”, cioè no a tutto,‘no agli investimenti, e sì invece a progetti che, senza coperture, rimangono soltanto sulla carta”.
Il Pd chiede le dimissioni del sindaco Nogarin, d’altra parte si tratta di un episodio molto serio che getta Livorno in una situazione estremamente confusa sul piano della amministrazione della città.

....buone notizie...


In agosto è calata la disoccupazione in Italia. È il secondo mese consecutivo in cui scende il tasso dei non occupati, che l’Istat ha registrato all’11,9 per cento. Dall’anno scorso la disoccupazione è diminuita del 5 per cento, a cui corrispondono 162mila persone in meno in cerca di lavoro.
Internazionale 30 settembre 2015

Quando la Boschi diventa un’ossessione

Fabrizio Rondolino
L'Unità 30 settembre 2015
Numero praticamente monografico del Fatto sulla ministra delle Riforme (anche quando lei non c’entra niente)
Numero monografico del Fatto, oggi, dedicato a Maria Elena Boschi. Si comincia con una “lettera aperta alla ministra” di Roberta De Monticelli, richiamata in prima pagina con il titolo “Cara Boschi, basta raccontare bugie”. Altro che bugie, qui la cosa è serissima: “Le scrivo per esprimere il dolore e lo sconcerto nel vedere demolito un altro pezzo della nostra Carta”, esordisce De Monticelli. Che, da consumata costituzionalista, abroga l’articolo 138 (quello che disciplina le riforme costituzionali) per sostenere che “i promotori non hanno titolo a questa riforma”.
Più articolata la conclusione: se non risponderà alla “lettera aperta”, “la sua grande bellezza – così italiana – gentile Ministra, sarebbe solo l’ultima, inconsapevole menzogna”. Avete letto bene: Boschi mente perché è bella (o è bella perché mente?). Neanche un camionista ubriaco avrebbe mostrato tanta acutezza.
A pagina 6 un corsivo s’abbatte su Style, il mensile del Corriere, reo di aver intervistato la ministra delle Riforme. “Il privilegio più grande della mia vita è la famiglia”, aveva risposto Boschi. E il Fatto conclude: “Il lettore decida se ridere o piangere”. Battutona, dobbiamo ammetterlo.
A pagina 7 un secondo corsivo prende di mira l’inconsapevole Luciano Pizzetti, che commemorando Ingrao in Senato ha avuto l’ardire di sostenere che il leader scomparso “è stato innovatore anche nelle istituzioni” (per un quindicennio fu il presidente del Centro per la riforma dello Stato: evidentemente a sua insaputa). La conclusione del Fatto è a dir poco geniale: “Ingrao, padre putativo della Boschi. Potenza del renzismo”.
A pagina 17 c’è infine la cronaca di un convegno organizzato dalla Bocconi sulla governance delle società quotate in borsa. Che c’entra Boschi? C’entra, c’entra: “Metti Bazoli, Vegas e il mentore della ministra Boschi” recita il titolo. E l’occhiello: “Nuova Era: alla Bocconi vecchi poteri forti accanto al legale presso cui fece pratica la titolare delle Riforme”. Vabbè, ma allora è proprio un’ossessione.

Pippo, il traffico milanese e la ripresa


Attilio Caso
30 settembre 2015
"Una martellante propaganda dei media, che vede in Bianca Berlinguer la direttrice d'orchestra, sostiene che le politiche del Premier - il vostro Affezionatissimo ama definirlo così, sebbene in Italia ci sia il Presidente del Consiglio dei Ministri - avrebbero favorito la crescita economica del Paese nell'ultimo anno. Oggi, un mio conoscente ha preso a raccontarmi che da gennaio le bisarche sarebbero tornate in tangenziale a Milano, che ormai si faticherebbe a circolare rispetto a due o tre anni fa, che le code sarebbero nuovamente il paesaggio abituale delle 7,30 del mattino. Capite dove può spingersi la deriva autoritaria e questa ansia di confermare le parole del leader? L'ISTAT con i suoi dati sale sul carro del vincitore, l'OCSE pedala confermandoli e la Banca d'Italia si affanna a correre, per produrne e pubblicarne altri a supporto. In attesa di raggiungere Nichi per il fine settimana, il vostro Affezionatissimo se ne sta seduto in cima ad un paracarro a pensare, in un silenzio che descrivere non saprebbe.
E poi, alle 7,30 del mattino, io dormo.

Come trasformare un fallimento in un successo


"La raccolta firme è stata un'esperienza straordinaria, con un coinvolgimento clamoroso. Abbiamo raccolto le firme da soli e ora c'è una rete in tutta italia che sta crescendo. Stiamo ancora contando, arrivano moduli da tutte le parti d'italia. Ma non riusciremo ad andare in cassazione soprattutto perché le spedizioni continuano e perché non abbiamo i certificati sufficienti". "Questa- aggiunge- è la dimostrazione che è possibile. Secondo me l'anno prossimo era l'anno in cui fare un'elezione politica vera e cioè confrontarsi sulle cose coi referendum. C'è un pò di rammarico come dimostra il fatto che nelle ultime settimane, con un pò di copertura mediatica in più sono arrivate tantissime firme. Ma la battaglia politica continua".
Pippo Civati 

ndr
"Sono stato picchiato, ma mi sono difeso bene. A uno di loro gli ho rotto la mano; mi ci e’ voluta tutta la faccia, ma ce l’ho fatta!".
Woody Allen 

Nichi esprime il suo giudizio sul viaggio di Ignazio Marino negli Stati Uniti


Attilio Caso
30 settembre 2015
Sono sinceramente sconcertato e dispiaciuto riguardo le ingiuste critiche ad Ignazio Marino, segno di un'infamante deriva del neoliberismo e del produttivismo di matrice competitivista.
Mentre il grido di dolore del Santo Padre lacerava il cielo della patria del turbocapitalismo finanziarista, che spazza via ogni luce di umanità e riduce le nostre esistenze ad un apolide errare, deprivato dei più alti aneliti al gusto per la bellezza e per la trascendenza, Ignazio aveva voluto far testimonianza di una resistenza migliore. Oggi, Ignazio è criticato: cosa avrebbe dovuto fare? Sottomettersi ad un'idea tutta produttivista, secondo cui un sindaco deve restare nella sua città per compiere il volgare atto dell'amministrare quotidiano? Ignazio è un uomo del popolo della sinistra e un accademico, così di Senato in Senato, di Consiglio in Consiglio, di Convegno in Convegno sviluppa la sua prassi: non si lascia invischiare dal volgare procedere di un atto amministrativo, dalla necessità di assumere una posizione e mantenerla con la bieca coerenza di un basso atto lavorativo giornaliero. Rifiuti, viabilità ed inquinamento cosa sono davanti alla struggente bellezza di Philadelphia e di una vetrina, che supera anche quella di un convegno faraonico e di una comparsata da Floris o Lucia Annunziata. A proposito, Lucia arriverà venerdì per un fine settimana con Lilli, Norma, Luciano, Stefano, Corradino e Pippo. Discuteremo della sconfitta di Podemos in Catalogna, per coglierne l'estrema coerenza con il nostro agire. Pippo porta la polenta, Corradino gli arancini, io le sgagliozze e Luciano il vino. Tutto sarà preparato per gratuita disponibilità dai dottorandi che collaborano con Luciano. Del resto, il Santo Padre non ci invita forse alla generosità misericordiosa? Miguel non ci sarà: si è messo a fare il renzista.

Perché Renzi vuole per l’Italia un seggio al consiglio di sicurezza Onu


Rudy Francesco Calvo
L'Unità
Il premier vede come “una priorità assoluta” riportare il nostro paese al palazzo di Vetro. Un passo importante per acquisire rilievo internazionale
“Vorrei che tutti voi sentiste questa come una priorità assoluta. Questa non è la battaglia di un singolo governo, ma di un intero paese”. Matteo Renzi si è rivolto in maniera perentoria agli ambasciatori italiani in chiusura della loro assemblea, ponendo loro un obiettivo ambizioso quanto complicato: ottenere per l’Italia un seggio non permanente al consiglio di sicurezza dell’Onu.
L’elezione è prevista per il prossimo anno e riguarderà il biennio 2017-2018. Sono cinque i seggi non permanenti a disposizione (attualmente sono occupati da Angola, Malesia, Nuova Zelanda, Spagna e Venezuela), che si aggiungono ai cinque paesi rappresentati di diritto (Usa, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) e a quelli che saranno rinnovati invece a partire dal 2018 (Ciad, Cile, Giordania, Lituania e Nigeria sono gli uscenti). L’Italia ha già occupato quella posizione per sei volte, l’ultima nel 2007-2008.
Nella corsa per il prossimo biennio, il nostro paese dovrà vedersela con Svezia e Olanda, “paesi – ha spiegato Renzi – che per motivi diversi hanno una propria solidità, ma devono avere anche la consapevolezza di avere a che fare con un grande paese, che vuole tornare a sedere nel palazzo di Vetro nei posti importanti”.
Ma perché il premier italiano punta a quel seggio? A muoverlo è certamente il desiderio di riportare il nostro paese in una posizione da protagonista nel panorama internazionale, un obiettivo che ha posto sin dall’inizio al centro della propria azione. Ma entrare nel Consiglio di sicurezza significa anche conoscere di prima mano tutti i più importanti dossier internazionali (da questo punto di vista, fa il paio con la nomina di Federica Mogherini a Lady Pesc), poter partecipare alla scrittura delle risoluzioni e acquisire quindi potere negoziale anche con gli altri paesi non rappresentati al palazzo di Vetro.
La corsa è appena all’inizio e l’obiettivo, se raggiunto, potrà aiutare l’Italia ad aprire una nuova fase nelle relazioni internazionali, con un ruolo da protagonista.


Ingraismi tardivi

L'Unità 30/09/2015
C’è un tratto comune che ritorna in gran parte dei commenti che hanno accompagnato sulla stampa la notizia della scomparsa di Pietro Ingrao, al di là del loro scontato (e più che condivisibile) carattere elogiativo. Quello che colpisce è piuttosto il merito degli elogi. Eretico, idealista, romantico, persino poeta: ecco le parole-chiave che ricorrono, quasi ossessivamente, negli articoli dedicati a Ingrao. Con il rischio di stabilire implicitamente, tra questi termini, un improprio nesso causale: come se gli eretici non potessero essere anche cinici calcolatori, come se gli ortodossi non potessero essere anche ingenui idealisti, come se la stessa persona non potesse ritrovarsi, nel corso della sua vita e persino dello stesso istante, a essere eretico per gli uni e ortodosso per gli altri, a difendere aspramente alcuni principi consolidati di una determinata tradizione e a metterne radicalmente in discussione altri.
In questo ritratto a una dimensione, l’editoriale non firmato con cui nel ’56 Ingrao schierava l’Unità da lui diretta non già con gli eretici ungheresi in rivolta, ma con i carri armati sovietici («Da una parte della barricata a difesa del socialismo»), rappresenterebbe l’eccezione che conferma la regola, il peccato di gioventù inevitabilmente seguito dal pentimento e da una spietata autocritica. Ma se oggi davvero non c’è bisogno di spiegare perché quella difesa dell’ortodossia sovietica fosse certamente sbagliata, forse qualche parola in più servirebbe per spiegare il comportamento di Ingrao (e non solo lui) allora. Fosse anche solo per ricordare che quando il direttore dell’Unità, sbagliando, esortava a stare da una parte della barricata, a separarlo dalla Seconda guerra mondiale, da Hitler, dai campi di sterminio e dalla lotta partigiana era la stessa distanza temporale che oggi separa noi dal secondo governo Berlusconi. Quello che vogliamo dire è che nel suo errore, comune a molti e non per questo meno tragico, si mescolavano realismo e idealismo, senso di responsabilità e volontarismo, principi morali e fedeltà politiche, in un modo molto più complicato di quanto oggi possa apparire a noi, e forse persino più di quanto potesse apparire allo stesso Ingrao nei decenni successivi. Un discorso che ovviamente non vale solo per il ’56, ma per l’intera storia del comunismo italiano. E forse uno dei segnali di maggiore fragilità di quell’esperienza, almeno nella sua ultima fase, sta proprio nel suo essersi lasciata troppo facilmente incasellare dentro una schematizzazione in cui da una parte stavano gli eretici idealisti, per definizione destinati a un’eroica disfatta, dall’altra i cinici guardiani dell’ortodossia, campioni della realpolitik, per definizione disponibili, pur di vincere, a qualsiasi compromesso.
Buona parte della storia della sinistra viene raccontata oggi attraverso una simile chiave interpretativa. Una chiave che del resto si presta benissimo al gioco di entrambe le squadre, sia che si voglia sottolineare la tensione etica degli uni e il cinico opportunismo degli altri, sia che, al contrario, si voglia mettere in risalto il radicalismo inconcludente dei primi e il grande senso di responsabilità dei secondi. Una lettura che in entrambi i casi non rende giustizia alla storia del comunismo italiano e dei suoi protagonisti, a cominciare da Pietro Ingrao (che non era semplicemente un acchiappanuvole, né un estremista). E che soprattutto può rivelarsi molto dannosa oggi, alimentando tra i militanti della sinistra, da un lato, l’idea che sotto sotto l’unica politica buona sia quella che si rivela perdente, e l’unico politico degno di stima lo sconfitto, e dall’altro l’idea, persino peggiore, che qualsiasi richiamo a principi ideali e morali sia sinonimo di dilettantismo, e ogni tentativo di alzare lo sguardo dalla pura e semplice lotta per il potere una dannosa perdita di tempo.
Una simile divisione dei ruoli tra eroi delle nobili sconfitte e campioni delle ignobili vittorie, prima che distorta e manichea, sarebbe infantile. Qui sta non per niente la vera prova di maturità che attende le nuove classi dirigenti della sinistra: nel dimostrarsi capaci di resistere alla duplice tentazione della favola consolatoria e del cinismo autoassolutorio, per cambiare la sinistra e l’Italia non solo nei fatti, com’è compito di ogni buon politico, ma anche nelle parole, che non è sforzo meno arduo. Un compito che richiederebbe persino, ci si perdoni l’ingenuità, una certa ambizione poetica.

“Pronti a un ruolo guida in Libia”


29 settembre 2015
L’intervento del presidente del consiglio all’Assemblea generale delle Nazioni Unite: “L’Europa è nata per battere la paura, non per costruire muri”

Signor Presidente, distinti colleghi, Signore e Signori.
Parlo a nome di un popolo generoso e responsabile che si impegna nel salvataggio di migliaia di fratelli e sorelle nel cuore del Mediterraneo. Sento su di me la responsabilità di prendere la parola in quest’aula che è stata testimone di tanti momenti cruciali nella storia degli ultimi 70 anni. In ogni parte del mondo, la vita pubblica è sempre più appiattita sul presente, il ciclo delle notizie accelera. Discutiamo di temi fondamentali con l’occhio sempre rivolto ad uno dei mille schermi che ci circondano: le tv dell’informazione continua, internet e i social network. Appartengo alla generazione per la quale la rete è un orizzonte di libertà. Ma il rischio è ridurre l’orizzonte della discussione al prossimo sondaggio o al prossimo tweet. Per questo è un privilegio immenso entrare in questa sala. Ed è un privilegio che ci impone di compiere un gesto molto semplice: spegnere il cellulare. Rifiutare la dittatura dell’istante. Staccarci dalla contingenza per entrare insieme in un tempo più lungo: quello dell’epoca che stiamo vivendo e delle grandi sfide davanti a noi.
Se osservate l’Italia su una carta geografica, vi renderete conto che ha la forma di un ponte. Un ponte tra il Nord e il Sud, tra l’Europa e l’Africa; tra Est e Ovest, proteso verso i Balcani e il Medio Oriente. E’ la ragione per la quale l’Italia è, da sempre, uno straordinario laboratorio culturale, attraversato da influenze di ogni genere. Per questo siamo stati i primi, in Europa, a cogliere la dimensione epocale di quanto accade nel Mediterraneo. Fin dall’inizio abbiamo detto: la questione dei rifugiati non è una questione di numeri. Il problema oggi non sono i numeri ma la paura. La paura che attraversa le nostre società e che dobbiamo prendere sul serio, se davvero vogliamo sconfiggerla. L’Europa è nata per sconfiggere la paura, per sostituirla con l’ideale della pace, della cooperazione e della civiltà. E per moltissimo tempo ha assolto a questa missione con straordinario successo.
Per chi, come me, ha assistito da giovane al crollo del muro di Berlino e ha trovato in quell’evento una delle ragioni per impegnarsi in politica, l’idea di veder sorgere nuovi muri è intollerabile. L’Europa è nata per abbattere muri, non per costruirli. Per questa ragione l’Italia è in prima linea nel salvataggio migliaia di migranti che fuggono dalla guerra e dalla disperazione.
Per questo ho avuto il privilegio di accompagnare il Segretario Generale Ban Ki-moon su una delle nostre unità navali che partecipano alle operazioni di soccorso di cui l’Italia è leader nel Mediterraneo centrale, salvando migliaia di vite umane. Affrontare i flussi migratori richiede capacità di rispondere all’emergenza immediata, ma anche approccio strategico di lungo termine, guardando le cause profonde e – allo stesso tempo – le opportunità in termini di sviluppo umano e cooperazione economica. Non si risolvono problemi cosi’ grandi con una dichiarazione ad effetto, ma con un lavoro di settimane e mesi. L’Italia è consapevole che le migrazioni non possono essere affrontate a livello nazionale dai Paesi di origine, transito e destinazione dei migranti. Lo ribadiamo da mesi. Sono rassicurato dal fatto che tale consapevolezza è ora condivisa da molti colleghi, soprattutto all’interno dell’Unione Europea. Dobbiamo contrastare organizzazioni di trafficanti, promuovere lo sviluppo nei Paesi di origine e sostenere società inclusive e democratiche.
Lo scenario internazionale ci mostra una crescente domanda di Nazioni Unite e dei principi che le guidano. La mia opinione è che lo scopo vero della Carta sia quello di assicurare un futuro migliore ai nostri figli; un futuro di pace e prosperità. Sono convinto che sia questa la migliore via per liberarci dalla paura e dare una risposta al radicalismo ed all’estremismo. Questa è la sfida che come leader politici dobbiamo esser pronti ad accettare. Ma la mia domanda è: siamo capaci di offrire una visione strategica per rispondere? L’Italia non si tira indietro. E’ questa è la motivazione di fondo che ci spinge a candidarci ad un seggio non permanente in Consiglio di Sicurezza nel biennio 2017/18. Il nostro motto è: “l’Italia con le Nazioni Unite. Costruire la pace di domani”. L’Italia non si stancherà di lavorare per la moratoria sulla pena di morte, come chiesto dal Papa proprio qui.
Nuove crisi continuano a colpire il Mediterraneo, il Medio Oriente e il continente africano. Linee divisorie, muri attraversano il cuore dell’Europa, in un momento in cui le forze devono essere unite. Il mio augurio va a un consolidamento del cessate-il-fuoco in Ucraina, affinché i negoziati politici possano avere successo. Sosteniamo gli sforzi del gruppo “Normandia”, così come dell’OSCE. Di recente abbiamo assistito alla forza che può avere il dialogo e l’impegno politico. L’accordo tra gli Stati Uniti e Cuba ha una portata storica. E l’accordo con l’Iran sul programma nucleare ha le potenzialità per aprire una fase di speranza in tutta la regione. Mentre ci sentiamo impegnati per l’implementazione dell’accordo, ribadiamo con forza il diritto all’esistenza del popolo e dello Stato di Israele. Solo nel dialogo e nel negoziato possiamo trovare la strada per il futuro delle nostre generazioni. Non c’è alternativa. Lo dico a entrambi i nostri amici israeliani e palestinesi. E’ essenziale tornare al negoziato, con l’obiettivo di giungere alla soluzione dei due Stati, che vivano fianco a fianco, in pace e sicurezza.
Questa assemblea è stata caratterizzata da grandi discussioni sulla Siria. La prolungata assenza di soluzioni politiche alla crisi ha prodotto violenza inenarrabile e provocato una tragedia umana senza precedenti, come dimostra il grande numero di rifugiati. Mai come ora c’è un nemico pericoloso: Daesh, cioè l’Isis. Ma non è limitato a quella regione. Può espandersi in Africa. I fratelli libici devono sapere che non ci siamo dimenticati di loro. L’Italia è pronta ad assumere un ruolo guida in Libia, se ci verrà richiesto, per il meccanismo di assistenza e stabilizzazione. E’ pronta a collaborare con un governo di unità nazionale nei settori chiave. E’ una battaglia di valori e contro la paura. Il terrorismo ci vuole far morire o non riuscendoci, ci vuole far vivere come piace a loro. Attaccando Palmira, loro non attaccano il passato ma prendono di mira il futuro. L’Italia ha la più alta concentrazione al mondo di siti Unesco. Ci candidamo a portare avanti azioni concrete attraverso i Caschi Blu della cultura. Proponiamo una task force internazionale per tutelare i siti storici e artistici, a disposizione dell’Unesco. L’Europa corre il rischio, senza un progetto educativo, di veder crescere il seme malvagio del terrorismo. Negli eventi in Belgio, Danimarca, erano coinvolte persone cresciute ed educate in Paesi europei e trasformate in terroristi contro i diritti dell’uomo.
Signor Presidente, con l’adozione dell’Agenda 2030, abbiamo posto le basi per un percorso strategico verso lo sviluppo sostenibile. L’Italia è particolarmente soddisfatta che l’interconnessione tra le 5 P – People, Prosperity, Partnership, Planet and Peace – sia riconosciuta e ispiri la nostra azione per il futuro. Il mio Paese si è impegnato per l’attuazione dell’Agenda 2030 ed è pronto a fare la propria parte. Confermando l’impegno preso alla conferenza di Addis Abeba, l’Italia si è impegnata ad aumentare i fondi per la cooperazione. Il nostro obiettivo è rafforzare il nostro contributo finanziario nella cooperazione allo sviluppo, superando il rapporto aiuti/Pil di altri donatori G7. Intanto, daremo il benvenuto a Milano ai nostri partner Stati insulari in via di sviluppo per l’evento sulla sicurezza alimentare e l’adattamento climatico che si terrà a metà ottobre a Expo Milano. Un messaggio che incrocia le istanze dell’agricoltura sostenibile. Mi impegno con i Paesi africani a lavorare sul cambiamento dei modelli di consumo, sulla prevenzione dei conflitti dovuti al degrado di terre coltivabili e alla siccità. Non sono temi di serie B. L’Italia è al fianco dello sforzo del Segretario Generale Ban Ki Moon e di tutta la comunità internazionale per affrontare il cambiamento climatico con ambizione e risolutezza, mobilitando le risorse necessarie per rendere le conferenze di Lima e Parigi passi in avanti fondamentali.
Signore e signori, ho finito. Nelle scuole italiane, i nostri bambini imparano a conoscere il forte legame che esisteva tra antiche civiltà del Mediterraneo, Africa, Medio Oriente e Nord. Quei bambini non sono comparse ma la ragione per cui ci impegniamo. Il primo valore da tutelare è la vita. In tanti ci siamo commossi per l’immagine di Aylan, bambino che si è addormentato con il fratellino senza poter vedere il futuro. Non possiamo limitarci alla commozione. Sono tanti i bambini morti nel Mediterraneo, sulle navi dei trafficanti, i nuovi schiavisti. Ma voglio ricordare anche nomi di cui non parla nessuno: Diabam, Salvatore, Ibris Ibrahim, Francesca Marina. Sono alcuni dei nati a bordo delle unità della Guardia Costiera grazie al lavoro dei miei connazionali. L’Europa non ceda alla paura e l’Italia farà orgogliosamente la propria parte. Grazie.

martedì 29 settembre 2015

Pietro Ingrao


Pierluigi Castagnetti
Pietro Ingrao è stato sicuramente un grande protagonista della storia della Repubblica. Comunista convinto, sempre coerente con la sua filosofia di vita: il dubbio, la ricerca, i poveri. Di lui abbiamo letto in questi giorni ricordi ammirati e affettuosi dei compagni della sua generazione e delle sue lotte. Mi permetto aggiungere solo alcune suggestioni meno ricordate. Era uomo intrigato da chi aveva la fede e da chi era capace di fare della povertà un luogo teologico. Il discorso delle Beatitudini lo aveva conquistato, in particolare l'idea che il povero non fosse una sconfitto o solo uno svantaggiato in attesa di ascesa sociale, ma uomo più ricco in sè. Vedere la ricchezza nella povertà era cosa che il comunismo non era riuscito a concepire. Di lui ricordo la partecipazione agli incontri organizzati da padre Benedetto Calati nei monasteri di Camaldoli e Fonte Avellana (insieme alla Rossana e a Tronti). Ricordo il dialogo epistolare con Giuseppe Dossetti su tematiche esistenzialie e culturali oltrechè il suo bellissimo ricordo alla morte del monaco bolognese. Ricordo soprattutto la commemorazione che abbiamo fatto insieme di don Milani alla Camera nel quarantesimo. Ricordo il fascino del silenzio e del monastero che ha confessato di subire più volte. Sia chiaro, Ingrao era non credente, ma - per evocare un immagine del Card.Martini - un pensante, profondamente pensante.

Ops, Travaglio si è arrabbiato: ora la contraerea è puntata su di noi


Fabrizio Rondolino
L'Unità 29 settembre 2015
Manipolazione e falsificazione delle fonti, il solito metodo del giornalismo come lo intendono al Fatto
Eh sì, doveva succedere ed è successo: è bastata una settimana di Fattone e il Fatto ha attivato la contraerea con un editoriale significativamente intitolato “Rondolingua”. Signori si nasce e Travaglio, modestamente, lo nacque. Se ne parlo qui non è per litigare – Travaglio mi fa tenerezza, come quei bambini caratteriali che richiamano l’attenzione degli adulti buttandosi per terra, quando basterebbe una carezza per mandarli a letto felici – ma perché l’articolo di oggi è un esempio perfetto di manipolazione e falsificazione delle fonti e, in quanto tale, illumina alla perfezione il giornalismo (absit injuria verbis) praticato dal Fatto.
Per dimostrare che cambio continuamente idea – anzi, precisa Travaglio, che sono “sempre a favore del padrone di turno” – il Nostro cita un gran numero di articoli. Vediamoli.
“Nel 2006 – scrive Travaglio – lavora a Canale5 e dunque si lancia sul Foglio in un peana al ‘gruppo dirigente Mediaset’ che tutti ‘dovrebbero ringraziare’”. Non lavoravo affatto a Canale5 e avevo invece scritto questo: “Se non si vuole ringraziare il gruppo dirigente di Mediaset, si potrà almeno ringraziare il libero mercato. Adesso però, e in modo paradossalmente convergente, sia Prodi sia Berlusconi sembrano voler schiantare quell’azienda, e non importa se piegandola ai propri voleri o delegittimandone la funzione. Insomma, e non suoni troppo paradossale: bisogna difendere Mediaset. Da Prodi e da Berlusconi”.
“Nel 2011 – scrive Travaglio – scrive sul Giornale e si bagna tutto: ‘Più volte Berlusconi ha ricordato la gioia che suo padre portava in casa come se avesse il sole in tasca’”. Ma il pezzo proseguiva così: “Quando Berlusconi racconta barzellette che non fanno ridere nessuno, è perché ha tirato il sole fuori dalla tasca. Quando si fa riprendere in mezzo ad una piccola folla urlante, davanti a quel Palazzo di Giustizia che gli italiani hanno conosciuto grazie ai tg Mediaset, cessa di essere il leader dei moderati e dei radicali (il suo capolavoro politico) e diventa un qualunque moderato radicale. Quando si autointervista a reti unificate con il simbolo di un partito dietro le spalle – e che importa se è il suo – tradisce simbolicamente i suoi elettori per confondersi con un qualunque capopartito”.
“Lui intanto – scrive Travaglio – fonda con Velardi il blog TheFrontPage, che insulta D’Alema (‘fanatismo del tono, approssimazione nell’analisi, balbuzie strategica’)”. Il pezzo però non è mio, ma di Antonio Funiciello: a FrontPage usavamo pubblicare libere opinioni di uomini liberi.
“Poi però – scrive Travaglio – Matteo perde le prime primarie e a Rondo piace un po’ meno: ‘Renzi fa peggio della Prima repubblica: partito per rottamare un’intera classe dirigente, si appresta a condividere con essa una quota di potere’”. Il pezzo, peraltro scritto prima dei risultati delle primarie, continuava però con queste parole: “Ma è davvero così? È Renzi ad aver scelto l’accordo più o meno sottobanco, o è il corpaccione del Pd che l’ha obbligato ad un oggettivo passo indietro? […] Lo scopo è quello di rassicurare l’opinione pubblica più vicina al Pd, bombardata ogni giorno dalle accuse che i bersaniani di ogni rito scagliano contro Renzi, fino a dipingerlo come un corpo estraneo, o persino come la quinta colonna dell’intramontabile diavolo Berlusconi. […] È questo ventre molle del partito, stratificatosi negli anni e abituato alla cooptazione e al compromesso, che ha frenato la corsa di Renzi fino ad imporgli il cambio di passo. Domenica conosceremo il risultato. Il sindaco di Firenze, però, sembra essersi già preparato alla sconfitta: ‘Cercherò di avere un po’ di spazio – ha detto ieri nel famoso fuorionda radiofonico – ma io non mi faccio comprare’”.
Capito come lavora Travaglio?

EMENDAMENTI E DEFICIENTI

Sandro Albini
I primi sono gli 80 milioni di modifiche fasulle presentati al d.d.l. Boschi da quel buontempone di Calderoli (uno dei più inutili personaggi che abbia calcato le scene della politica italiana); i secondi sono coloro che hanno criticato l'unica cosa che il Presidente Grasso poteva fare: non ammetterli. Probabilmente Calderoli avrà reagito con una sghignazzata, non così Volpi della Lega e Crimi dei 5 stelle i quali hanno denunciato il pericoloso (sic!) precedente. Pericoloso per la democrazia (il poveretto non sa nemmeno di cosa sta parlando) dice Crimi presentando la decisione di Grasso come il prodromo di una deriva autoritaria. Accettare gli emendamenti di Calderoli avrebbe significato una sola cosa: bloccare il Senato per chissà quanti anni (o costringere il governo a ritirare la riforma costituzionale per evitarlo) e quindi la sostanziale abolizione della funzione legislativa del Parlamento. Se non è eversione delle istituzioni repubblicane cos'altro può essere? Nel senso etimologico del termine questi due sono deficienti: manca loro un minimo di senso dello Stato mentre abbondano di spudoratezza. E si candidano a volerci governare!

Cosa sta succedendo in Afghanistan, dove la pace non è mai arrivata


Rudy Francesco Calvo
L'Unità 29 settembre 2015
Un raid aereo degli Usa sostiene la controffensiva del governo locale, dopo la conquista da parte dei Talebani della città di Kunduz. Mentre l’Isis avanza anche qui
La missione compiuta in Afghanistan era solo una finta. Dopo l’Iraq, dopo la Libia, ancora una volta la comunità internazionale si trova a fare i conti con una polveriera rimasta tale anche dopo la fine dei bombardamenti, dopo che le truppe hanno lasciato quelle valli infernali, dopo che i media hanno ritirato gli inviati e staccato le telecamere.
Il rientro in patria dei militari occidentali, salutato con gioia dall’oltranzismo pacifista, ha lasciato infatti un Paese tutt’altro che pacificato, con il governo del presidente Ghani ancora non in grado di gestire la situazione e forze di polizia che faticano non poco a mantenere la sicurezza. Il tentativo di intavolare una trattativa ufficiale con i Talebani, se possibile, ha esacerbato ancora di più la situazione: se da una parte il mullah Mansour (successore di Bin Laden alla guida dei fondamentalisti) ha accettato di sedersi al tavolo, dall’altra i suoi uomini hanno aumentato e reso più cruenti i loro attacchi, per acquisire più forza diplomatica.
La conquista ieri della città di Kunduz, in una delle province afghane in cui è più radicata la presenza talebana, ha segnato l’apice della loro offensiva, la prima vera e più grande vittoria sul campo da quando gli Usa e gli alleati hanno iniziato la guerra, come reazione all’attentato dell’11 settembre. La controffensiva delle forze governative è già partita, per provare a riconquistare la città, con il supporto di un raid compiuto in mattinata dalla forze aeree statunitensi.
Un intervento che arriva a pochi giorni dall’appuntamento già fissato per la prossima settimana al Senato di Washington per decidere cosa fare dei 10mila soldati Usa ancora presenti sul territorio. Nell’ambito della missione Isaf della Nato, rimangono ancora in Afghanistan anche 750 militari italiani, con tanto di mezzi di manovra, di supporto, di aerei da trasporto e di alcuni elicotteri.​ Il loro compito è quello di assistere le istituzioni politiche provvisorie afghane nel mantenimento di una sicurezza, che in realtà non c’è mai stata.
A complicare ancora di più la situazione, si è aggiunta l’avanzata dell’Isis, che secondo un recente report delle Nazioni Unite sarebbe ormai presente con propri nuclei combattenti in 25 delle 34 province afghane, tra le forze giunte da Siria e Iraq e quelle autoctone. Un radicamento che pone i militanti del Califfato in concorrenza anche con gli stessi Talebani, tra i quali starebbero però conquistando in parte simpatie e forze. Al centro della contesa c’è il controllo della coltivazione e dell’esportazione illecita dell’oppio, altro problema mai debellato in questo Paese.

domenica 27 settembre 2015

Le inchieste del Fatto contro Renzi: sotto il titolo niente


Fabrizio Rondolino
L'Unità 26 settembre 2015
Finalmente un’inchiesta giornalistica del Fatto contro Renzi. Peccato che, dietro al titolo, manchi la sostanza
“Fallimenti, debiti e prestiti: da papà Tiziano a papà Lotti, così nacque il Giglio Magico”, titola in prima pagina il Fatto, in amorosa sintonia con il Giornale (“Tutte le carte sul papà di Renzi”). Bene, abbiamo pensato, finalmente un’inchiesta giornalistica che non guarda in faccia a nessuno, che scava e scopre fatti nuovi, che mette alle corde il potere incontrollato del ducetto di Rignano. D’accordo, questa cosa di dare addosso ai parenti per colpire l’avversario non è particolarmente elegante (è una tecnica praticata abitualmente dai regimi totalitari e dalle organizzazioni mafiose), ma pazienza, l’importante è andare alla sostanza.
Peccato che la sostanza non ci sia. Tanto per cominciare, non di un’inchiesta giornalistica si tratta – e pensare che al Fatto lavorano anche alcuni professionisti regolarmente iscritti all’Ordine – ma dell’abituale volantinaggio di carte giudiziarie prodotte dall’accusa. In altre parole, stiamo leggendo le opinioni di un pm: la difesa non esiste e non ha voce, e naturalmente non esiste neanche la sentenza, che negli stati di diritto è l’unico fatto che conta.
E vabbè.
Il tema è il destino della Chil Post, una società appartenuta a Tiziano Renzi su cui sta indagando la Procura di Genova. E che cosa ha scoperto la Procura di Genova in mesi e mesi di duro lavoro sfociati in tremila pagine di documenti e carte? Per non sbagliare, citiamo con scrupolo dall’articolo del Fatto, cioè direttamente dal sottoscala della Procura: “La vicenda, al netto dei risvolti penali…”, “la posizione di Tiziano Renzi potrebbe finire archiviata”, “anche su questo punto la Procura ligure non sembra vedere risvolti penali…”, “probabile che la posizione [di Tiziano Renzi] sarà archiviata”, “Niente di illegale, ma pare emergere…”. Pare emergere, capito? Proprio come Nessie, il mostro di Loch Ness.

giornalismo insulso


Caro Scanzi, insultare il portavoce di Renzi per il suo aspetto è un atto becero
Michele Anzaldi - Deputato PD
C'è da immaginare che Andrea Scanzi vada gratis a parlare di calcio al "Processo del lunedì" in onda su Rai3 (servizio pubblico, pagato dal pubblico). Altrimenti non si capirebbe l'acrimonia con la quale attacca il portavoce del presidente del Consiglio, "pagato dallo Stato e dunque da noi". E chi dovrebbe pagarlo altrimenti? Ciò che sconcerta nell'affondo contro Sensi è il bollare il portavoce del premier con un insulto gratuito e incivile: "bizzarro omino sferico".
Stupisce che non si suggerisca anche di buttarlo giù dalla rupe. O per ricoprire alcuni incarichi giornalistici o di ufficio stampa bisogna rientrare in alcune taglie, come le modelle? Attaccare qualcuno per il suo aspetto fisico è davvero becero e poco democratico.
E stupisce che l'Ordine dei giornalisti, che si impegna così tanto nei corsi di aggiornamento, non ricordi ai suoi iscritti quanto questo sia un comportamento davvero poco deontologico. Abbiamo un Consiglio nazionale composto da 156 consiglieri e 20 consigli regionali con 9 membri ognuno. Sono sfuggiti a tutti questi attacchi così personali e così lesivi della professionalità?
Ed è sfuggito anche alla Commissione stabile per il codice etico della Rai? Forse il codice non si applica agli ospiti delle trasmissioni del servizio pubblico? Ne dubitiamo. Solidarizziamo con Sensi e con tutti gli "omini sferici". Sperando che la Rai (Raisport e Rai3 in questo caso) continui ad ospitare nei suoi programmi personaggi di tale spessore morale...


venerdì 25 settembre 2015

LACRIME DI COCCODRILLO


Ivan Scalfarotto 
La vicenda al Parlamento delle unioni civili
Il racconto della vicenda unioni civili di oggi è il classico caso di capovolgimento della realtà. Alla conferenza dei capigruppo in Senato, il Partito Democratico ha chiesto con grande determinazione di votare le riforme costituzionali entro l’8 ottobre proprio per lasciare tempo all’aula del Senato di esaminare e approvare la legge sulle unioni civili. 
Il presidente Grasso, giustamente preoccupato dal suo punto di vista di portare a casa la riforma costituzionale senza il farsesco macigno degli 85 milioni di emendamenti di Calderoli, e quindi preoccupato di dare tempo alle forze politiche di parlarsi per sciogliere i nodi ancora aperti, insisteva per il 15 ottobre. Ovviamente far slittare il voto finale al 15 ottobre significava chiudere la finestra per portare in aula la legge sulle unioni civili. 
E qual è stato l’atteggiamento di M5S e SEL davanti alla proposta del 15? Con buona pace delle unioni civili, lodi sperticate al presidente del Senato, mentre solo Zanda e Boschi provavano a tenere il punto sull’8. Diciamolo chiaramente: SEL e 5Stelle davanti alla possibilità di far slittare la riforma costituzionale, si sono tranquillamente e pacificamente fatti una ragione che le unioni civili non giungessero in aula prima della sessione di bilancio. Salvo poi naturalmente fare grandi lacrime di coccodrillo e chiedere assurde e strumentalissime calendarizzazioni per lunedì prossimo, mentre il provvedimento è ancora in commissione e nemmeno si è deciso di farlo arrivare in aula senza relatore. 
Ora si può fare tutta la disinformazione che si vuole, si possono fare grandi drammi nell’aula del Senato ma la verità e che se non ci fosse stato il PD, se non avessero così coraggiosamente tenuto il punto Boschi e Zanda, la piccola finestra che ci è rimasta dopo il 13 ottobre si sarebbe definitivamente chiusa, con la collaborazione attiva e determinante dei grillini e di SEL.


....Ma l'America è lontana, dall'altra parte della luna...


Meglio Gomez che male accompagnati


Fabrizio Rondolino
L'Unità 25 settembre 2015
E’ andata, ragazzi: il regime ha vinto, l’opposizione è silenziata, la dittatura trionfa. Mica come ai tempi di Berlusconi, quando almeno le piazze si riempivano di resistenti indignati. No, oggi è peggio, molto peggio: “Renzi copia il Caimano e nessuno protesta”, titola il Fatto in prima pagina. E puntigliosamente elenca le prove della compiuta deriva autoritaria: avremo un Senato delle autonomie (come in Germania e in Francia), i giornali non potranno più pubblicare dettagli sulla vita privata di chi per caso telefona ad un indagato (come in ogni altro paese, ora che non c’è più quel faro di libertà che era la Ddr), alcuni senatori hanno lasciato Forza Italia (ma non dovrebbe essere una buona notizia per gli antiberlusconiani?) e infine, udite udite, Rambo fa più ascolti dei talk show del martedì. Una catastrofe senza rimedio.
Per capire come mai il Paese dei girotondi s’arrende silenzioso alla dittatura renziana, il giornale di Travaglio interpella un drappello di indomiti combattenti per la libertà: per Sandra Bonsanti (quella che dà del tu a Mattarella per far vedere che è una che conta), “il silenzio di oggi è imposto dalla propaganda del Pd”. Per il buon Moni Ovadia – che è un grande artista e dunque gli perdoniamo tutto – “Renzi è riuscito dove il Cavaliere aveva fallito”. Per quel simpatico pigrone di Massimo Fini “chi si è sempre ribellato oggi è stanco”. Per il medico di base Nando Dalla Chiesa “il Paese ha mal di pancia, ma la testa è anestetizzata”.
E quindi? Quindi basterebbe prendere sul serio l’osservazione di Peter Gomez, che fra tanta ubriachezza si ostina a mantenersi lucido, ricordando “uno storico errore di quasi tutti i movimenti: alzare troppo spesso i toni finché, quando urlare serve per davvero, nessuno o quasi ascolta più”. Ecco, ragazzi miei: ascoltate almeno Gomez.

Il discorso integrale di Papa Francesco al Congresso USA



Signor Vicepresidente, Signor Presidente della Camera dei Rappresentanti, Onorevoli Membri del Congresso, Cari Amici, Sono molto grato per il vostro invito a rivolgermi a questa Assemblea Plenaria del Congresso nella “terra dei liberi e casa dei valorosi”. Mi piace pensare che la ragione di ciò sia il fatto che io pure sono un figlio di questo grande continente, da cui tutti noi abbiamo ricevuto tanto e verso il quale condividiamo una comune responsabilità. Ogni figlio o figlia di una determinata nazione ha una missione, una responsabilità personale e sociale. 
La vostra propria responsabilità come membri del Congresso è di permettere a questo Paese, grazie alla vostra attività legislativa, di crescere come nazione. Voi siete il volto di questo popolo, i suoi rappresentanti. Voi siete chiamati a salvaguardare e a garantire la dignità dei vostri concittadini nell’instancabile ed esigente perseguimento del bene comune, che è il fine di ogni politica. Una società politica dura nel tempo quando si sforza, come vocazione, di soddisfare i bisogni comuni stimolando la crescita di tutti i suoi membri, specialmente quelli in situazione di maggiore vulnerabilità o rischio. L’attività legislativa è sempre basata sulla cura delle persone. A questo siete stati invitati, chiamati e convocati da coloro che vi hanno eletto. Il vostro è un lavoro che mi fa riflettere sulla figura di Mosè, per due aspetti. Da una parte il patriarca e legislatore del popolo d’Israele simbolizza il bisogno dei popoli di mantenere vivo il loro senso di unità con gli strumenti di una giusta legislazione. Dall’altra, la figura di Mosè ci conduce direttamente a Dio e quindi alla dignità trascendente dell’essere umano. Mosè ci offre una buona sintesi del vostro lavoro: a voi viene richiesto di proteggere, con gli strumenti della legge, l’immagine e la somiglianza modellate da Dio su ogni volto umano. Oggi vorrei rivolgermi non solo a voi, ma, attraverso di voi, all’intero popolo degli Stati Uniti. 
Qui, insieme con i suoi rappresentanti, vorrei cogliere questa opportunità per dialogare con le molte migliaia di uomini e di donne che si sforzano quotidianamente di fare un’onesta giornata di lavoro, di portare a casa il pane quotidiano, di risparmiare qualche soldo e – un passo alla volta – di costruire una vita migliore per le proprie famiglie. Sono uomini e donne che non si preoccupano semplicemente di pagare le tasse, ma, nel modo discreto che li caratterizza, sostengono la vita della società. Generano solidarietà con le loro attività e creano organizzazioni che danno una mano a chi ha più bisogno. Vorrei anche entrare in dialogo con le numerose persone anziane che sono un deposito di saggezza forgiata dall’esperienza e che cercano in molti modi, specialmente attraverso il lavoro volontario, di condividere le loro storie e le loro esperienze. So che molti di loro sono pensionati, ma ancora attivi, e continuano a darsi da fare per costruire questo Paese. Desidero anche dialogare con tutti quei giovani che si impegnano per realizzare le loro grandi e nobili aspirazioni, che non sono sviati da proposte superficiali e che affrontano situazioni difficili, spesso come risultato dell’immaturità di tanti adulti. 
Vorrei dialogare con tutti voi, e desidero farlo attraverso la memoria storica del vostro popolo. La mia visita capita in un momento in cui uomini e donne di buona volontà stanno celebrando gli anniversari di alcuni grandi Americani. Nonostante la complessità della storia e la realtà della debolezza umana, questi uomini e donne, con tutte le loro differenze e i loro limiti, sono stati capaci con duro lavoro e sacrificio personale – alcuni a costo della propria vita – di costruire un futuro migliore. Hanno dato forma a valori fondamentali che resteranno per sempre nello spirito del popolo americano. Un popolo con questo spirito può attraversare molte crisi, tensioni e conflitti, mentre sempre sarà in grado di trovare la forza per andare avanti e farlo con dignità. Questi uomini e donne ci offrono una possibilità di guardare e di interpretare la realtà. Nell’onorare la loro memoria, siamo stimolati, anche in mezzo a conflitti, nella concretezza del vivere quotidiano, ad attingere dalle nostre più profonde riserve culturali. Vorrei menzionare quattro di questi Americani: Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton. 
Quest’anno ricorre il centocinquantesimo anniversario dell’assassinio del Presidente Abraham Lincoln, il custode della libertà, che ha instancabilmente lavorato perché “questa nazione, con la protezione di Dio, potesse avere una nuova nascita di libertà”. Costruire un futuro di libertà richiede amore per il bene comune e collaborazione in uno spirito di sussidiarietà e solidarietà. Siamo tutti pienamente consapevoli, ed anche profondamente preoccupati, per la inquietante l’odierna situazione sociale e politica del mondo. Il nostro mondo è sempre più un luogo di violenti conflitti, odi e brutali atrocità, commesse perfino in nome di Dio e della religione. Sappiamo che nessuna religione è immune da forme di inganno individuale o estremismo ideologico. Questo significa che dobbiamo essere particolarmente attenti ad ogni forma di fondamentalismo, tanto religioso come di ogni altro genere. È necessario un delicato equilibrio per combattere la violenza perpetrata nel nome di una religione, di un’ideologia o di un sistema economico, mentre si salvaguarda allo stesso tempo la libertà religiosa, la libertà intellettuale e le libertà individuali. 
Ma c’è un’altra tentazione da cui dobbiamo guardarci: il semplicistico riduzionismo che vede solo bene o male, o, se preferite, giusti e peccatori. Il mondo contemporaneo, con le sue ferite aperte che toccano tanti dei nostri fratelli e sorelle, richiede che affrontiamo ogni forma di polarizzazione che potrebbe dividerlo tra questi due campi. Sappiamo che nel tentativo di essere liberati dal nemico esterno, possiamo essere tentati di alimentare il nemico interno. Imitare l’odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo migliore di prendere il loro posto. Questo è qualcosa che voi, come popolo, rifiutate. La nostra, invece, dev’essere una risposta di speranza e di guarigione, di pace e di giustizia. Ci è chiesto di fare appello al coraggio e all’intelligenza per risolvere le molte crisi economiche e geopolitiche di oggi. Perfino in un mondo sviluppato, gli effetti di strutture e azioni ingiuste sono fin troppo evidenti. I nostri sforzi devono puntare a restaurare la pace, rimediare agli errori, mantenere gli impegni, e così promuovere il benessere degli individui e dei popoli. Dobbiamo andare avanti insieme, come uno solo, in uno spirito rinnovato di fraternità e di solidarietà, collaborando generosamente per il bene comune. Le sfide che oggi affrontiamo, richiedono un rinnovamento di questo spirito di collaborazione, che ha procurato tanto bene nella storia degli Stati Uniti. La complessità, la gravità e l’urgenza di queste sfide esigono che noi impieghiamo le nostre risorse e i nostri talenti, e che ci decidiamo a sostenerci vicendevolmente, con rispetto per le nostre differenze e per le nostre convinzioni di coscienza. 
In questa terra, le varie denominazioni religiose hanno contribuito grandemente a costruire e a rafforzare la società. È importante che oggi, come nel passato, la voce della fede continui ad essere ascoltata, perché è una voce di fraternità e di amore, che cerca di far emergere il meglio in ogni persona e in ogni società. Tale cooperazione è una potente risorsa nella battaglia per eliminare le nuove forme globali di schiavitù, nate da gravi ingiustizie le quali possono essere superate solo grazie a nuove politiche e a nuove forme di consenso sociale. Penso qui alla storia politica degli Stati Uniti, dove la democrazia è profondamente radicata nello spirito del popolo americano. Qualsiasi attività politica deve servire e promuovere il bene della persona umana ed essere basata sul rispetto per la dignità di ciascuno. “Consideriamo queste verità come per sé evidenti, cioè che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi ci sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità” (Dichiarazione di Indipendenza, 4 luglio 1776). Se la politica dev’essere veramente al servizio della persona umana, ne consegue che non può essere sottomessa al servizio dell’economia e della finanza. Politica è, invece, espressione del nostro insopprimibile bisogno di vivere insieme in unità, per poter costruire uniti il più grande bene comune: quello di una comunità che sacrifichi gli interessi particolari per poter condividere, nella giustizia e nella pace, i suoi benefici, i suoi interessi, la sua vita sociale. Non sottovaluto le difficoltà che questo comporta, ma vi incoraggio in questo sforzo. 
Penso anche alla marcia che Martin Luther King ha guidato da Selma a Montgomery cinquant’anni fa come parte della campagna per conseguire il suo “sogno” di pieni diritti civili e politici per gli Afro-Americani. Quel sogno continua ad ispirarci. Mi rallegro che l’America continui ad essere, per molti, una terra di “sogni”. Sogni che conducono all’azione, alla partecipazione, all’impegno. Sogni che risvegliano ciò che di più profondo e di più vero si trova nella vita delle persone. Negli ultimi secoli, milioni di persone sono giunte in questa terra per rincorrere il proprio sogno di costruire un futuro in libertà. Noi, gente di questo continente, non abbiamo paura degli stranieri, perché molti di noi una volta eravamo stranieri. Vi dico questo come figlio di immigrati, sapendo che anche tanti di voi sono discendenti di immigrati. Tragicamente, i diritti di quelli che erano qui molto prima di noi non sono stati sempre rispettati. Per quei popoli e le loro nazioni, dal cuore della democrazia americana, desidero riaffermare la mia più profonda stima e considerazione. Quei primi contatti sono stati spesso turbolenti e violenti, ma è difficile giudicare il passato con i criteri del presente. Tuttavia, quando lo straniero in mezzo a noi ci interpella, non dobbiamo ripetere i peccati e gli errori del passato. Dobbiamo decidere ora di vivere il più nobilmente e giustamente possibile, così come educhiamo le nuove generazioni a non voltare le spalle al loro “prossimo” e a tutto quanto ci circonda. Costruire una nazione ci chiede di riconoscere che dobbiamo costantemente relazionarci agli altri, rifiutando una mentalità di ostilità per poterne adottare una di reciproca sussidiarietà, in uno sforzo costante di fare del nostro meglio. Ho fiducia che possiamo farlo. 
Il nostro mondo sta fronteggiando una crisi di rifugiati di proporzioni tali che non si vedevano dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Questa realtà ci pone davanti grandi sfide e molte dure decisioni. Anche in questo continente, migliaia di persone sono spinte a viaggiare verso il Nord in cerca di migliori opportunità. Non è ciò che volevamo per i nostri figli? Non dobbiamo lasciarci spaventare dal loro numero, ma piuttosto vederle come persone, guardando i loro volti e ascoltando le loro storie, tentando di rispondere meglio che possiamo alle loro situazioni. Rispondere in un modo che sia sempre umano, giusto e fraterno. Dobbiamo evitare una tentazione oggi comune: scartare chiunque si dimostri problematico. Ricordiamo la Regola d’Oro: «Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te» (Mt 7,12). Questa norma ci indica una chiara direzione. Trattiamo gli altri con la medesima passione e compassione con cui vorremmo essere trattati. Cerchiamo per gli altri le stesse possibilità che cerchiamo per noi stessi. Aiutiamo gli altri a crescere, come vorremmo essere aiutati noi stessi. In una parola, se vogliamo sicurezza, diamo sicurezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità, provvediamo opportunità. La misura che usiamo per gli altri sarà la misura che il tempo userà per noi. 
La Regola d’Oro ci mette anche di fronte alla nostra responsabilità di proteggere e difendere la vita umana in ogni fase del suo sviluppo. Questa convinzione mi ha portato, fin dall’inizio del mio ministero, a sostenere a vari livelli l’abolizione globale della pena di morte. Sono convinto che questa sia la via migliore, dal momento che ogni vita è sacra, ogni persona umana è dotata di una inalienabile dignità, e la società può solo beneficiare dalla riabilitazione di coloro che sono condannati per crimini. Recentemente i miei fratelli Vescovi qui negli Stati Uniti hanno rinnovato il loro appello per l’abolizione della pena di morte. Io non solo li appoggio, ma offro anche sostegno a tutti coloro che sono convinti che una giusta e necessaria punizione non deve mai escludere la dimensione della speranza e l’obiettivo della riabilitazione. In questi tempi in cui le preoccupazioni sociali sono così importanti, non posso mancare di menzionare la serva di Dio Dorothy Day, che ha fondato il Catholic Worker Movement. Il suo impegno sociale, la sua passione per la giustizia e per la causa degli oppressi, erano ispirati dal Vangelo, dalla sua fede e dall’esempio dei santi. 
Quanto cammino è stato fatto in questo campo in tante parti del mondo! Quanto è stato fatto in questi primi anni del terzo millennio per far uscire la gente dalla povertà estrema! So che voi condividete la mia convinzione che va fatto ancora molto di più, e che in tempi di crisi e di difficoltà economica non si deve perdere lo spirito di solidarietà globale. Allo stesso tempo desidero incoraggiarvi a non dimenticare tutte quelle persone intorno a noi, intrappolate nel cerchio della povertà. Anche a loro c’è bisogno di dare speranza. La lotta contro la povertà e la fame dev’essere combattuta costantemente su molti fronti, specialmente nelle sue cause. So che molti americani oggi, come in passato, stanno lavorando per affrontare questo problema. Va da sé che parte di questo grande sforzo sta nella creazione e distribuzione della ricchezza. Il corretto uso delle risorse naturali, l’appropriata applicazione della tecnologia e la capacità di ben orientare lo spirito imprenditoriale, sono elementi essenziali di un’economia che cerca di essere moderna, inclusiva e sostenibile. 
«L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione, orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune» (Enc. Laudato si’, 129). Questo bene comune include anche la terra, tema centrale dell’Enciclica che ho recentemente scritto, per «entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune» (ibid., 3). «Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti» (ibid., 14). Nell’Enciclica Laudato si’ esorto ad uno sforzo coraggioso e responsabile per «cambiare rotta» (ibid., 61) ed evitare gli effetti più seri del degrado ambientale causato dall’attività umana. Sono convinto che possiamo fare la differenza e non ho dubbi che gli Stati Uniti - e questo Congresso – hanno un ruolo importante da giocare. Ora è il momento di azioni coraggiose e strategie dirette a implementare una «cultura della cura» (ibid., 231) e «un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (ibid., 139). Abbiamo la libertà necessaria per limitare e orientare la tecnologia (cfr ibid., 112), per individuare modi intelligenti di «orientare, coltivare e limitare il nostro potere» (ibid., 78) e mettere la tecnologia «al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale» (ibid., 112). Al riguardo, ho fiducia che le istituzioni americane di ricerca e accademiche potranno dare un contributo vitale negli anni a venire. 
Un secolo fa, all’inizio della Grande Guerra, che il Papa Benedetto XV definì “inutile strage”, nasceva un altro straordinario Americano: il monaco cistercense Thomas Merton. Egli resta una fonte di ispirazione spirituale e una guida per molte persone. Nella sua autobiografia scrisse: “Sono venuto nel mondo. Libero per natura, immagine di Dio, ero tuttavia prigioniero della mia stessa violenza e del mio egoismo, a immagine del mondo in cui ero nato. Quel mondo era il ritratto dell’Inferno, pieno di uomini come me, che amano Dio, eppure lo odiano; nati per amarlo, ma che vivono nella paura di disperati e contradittori desideri”. Merton era anzitutto uomo di preghiera, un pensatore che ha sfidato le certezze di questo tempo e ha aperto nuovi orizzonti per le anime e per la Chiesa. Egli fu anche uomo di dialogo, un promotore di pace tra popoli e religioni. In questa prospettiva di dialogo, vorrei riconoscere gli sforzi fatti nei mesi recenti per cercare di superare le storiche differenze legate a dolorosi episodi del passato. È mio dovere costruire ponti e aiutare ogni uomo e donna, in ogni possibile modo, a fare lo stesso. Quando nazioni che erano state in disaccordo riprendono la via del dialogo – un dialogo che potrebbe essere stato interrotto per le ragioni più valide – nuove opportunità si aprono per tutti. Questo ha richiesto, e richiede, coraggio e audacia, che non vuol dire irresponsabilità. Un buon leader politico è uno che, tenendo presenti gli interessi di tutti, coglie il momento con spirito di apertura e senso pratico. Un buon leader politico opta sempre per «iniziare processi più che possedere spazi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 222-223). 
Essere al servizio del dialogo e della pace significa anche essere veramente determinati a ridurre e, nel lungo termine, a porre fine ai molti conflitti armati in tutto il mondo. Qui dobbiamo chiederci: perché armi mortali sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e società? Purtroppo, la risposta, come tutti sappiamo, è semplicemente per denaro: denaro che è intriso di sangue, spesso del sangue innocente. Davanti a questo vergognoso e colpevole silenzio, è nostro dovere affrontare il problema e fermare il commercio di armi. Tre figli e una figlia di questa terra, quattro individui e quattro sogni: Lincoln, libertà; Martin Luther King, libertà nella pluralità e non-esclusione; Dorothy Day, giustizia sociale e diritti delle persone; e Thomas Merton, capacità di dialogo e di apertura a Dio. Quattro rappresentanti del Popolo americano. Terminerò la mia visita nella vostra terra a Filadelfia, dove prenderò parte all’Incontro Mondiale delle Famiglie. È mio desiderio che durante tutta la mia visita la famiglia sia un tema ricorrente. Quanto essenziale è stata la famiglia nella costruzione di questo Paese! E quanto merita ancora il nostro sostegno e il nostro incoraggiamento! Eppure non posso nascondere la mia preoccupazione per la famiglia, che è minacciata, forse come mai in precedenza, dall’interno e dall’esterno. Relazioni fondamentali sono state messe in discussione, come anche la base stessa del matrimonio e della famiglia. Io posso solo riproporre l’importanza e, soprattutto, la ricchezza e la bellezza della vita familiare.
In particolare, vorrei richiamare l’attenzione su quei membri della famiglia che sono i più vulnerabili, i giovani. Per molti di loro si profila un futuro pieno di tante possibilità, ma molti altri sembrano disorientati e senza meta, intrappolati in un labirinto senza speranza, segnato da violenze, abusi e disperazione. I loro problemi sono i nostri problemi. Non possiamo evitarli. È necessario affrontarli insieme, parlarne e cercare soluzioni efficaci piuttosto che restare impantanati nelle discussioni. A rischio di banalizzare, potremmo dire che viviamo in una cultura che spinge i giovani a non formare una famiglia, perché mancano loro possibilità per il futuro. Ma questa stessa cultura presenta ad altri così tante opzioni che anch’essi sono dissuasi dal formare una famiglia. Una nazione può essere considerata grande quando difende la libertà, come ha fatto Lincoln; quando promuove una cultura che consenta alla gente di “sognare” pieni diritti per tutti i propri fratelli e sorelle, come Martin Luther King ha cercato di fare; quando lotta per la giustizia e la causa degli oppressi, come Dorothy Day ha fatto con il suo instancabile lavoro, frutto di una fede che diventa dialogo e semina pace nello stile contemplativo di Thomas Merton. In queste note ho cercato di presentare alcune delle ricchezze del vostro patrimonio culturale, dello spirito del popolo americano. Il mio auspicio è che questo spirito continui a svilupparsi e a crescere, in modo che il maggior numero possibile di giovani possa ereditare e dimorare in una terra che ha ispirato così tante persone a sognare. Dio benedica l’America!