mercoledì 19 novembre 2014

«Caro Veronesi, che autogol 
la sua indulgenza sulla cannabis».


Corriere della Sera 19/11/14
Rosario Sorrentino Neurologo
Egregio Professor Veronesi,
sono un uomo di scienza come Lei, un neurologo, che non ritiene di avere nei confronti della cannabis una posizione ideologica, politica, né tanto meno dogmatica. E questo perché non penso sia giusto né utile affrontare, analizzare, un tema così delicato in modo emotivo, passionale, concludendo o tagliando corto, «cannabis sì, cannabis no». Come lei ci insegna la scienza, per fortuna, non procede, non progredisce per sensazioni o stati d’animo, ma si basa nel suo intero percorso conoscitivo partendo dal dubbio come metodo, per giungere a una qualche forma di verità seppur parziale e provvisoria.

Anche perché come Lei ben sa, il compito della scienza non dovrebbe essere quello di dare certezze assolute, definitive ma di ridurre il più possibile le incertezze. Non è nelle corde della scienza, infatti, produrre discorsi potenti in grado di stupire, affascinare chi ascolta, quanto piuttosto quello di fornire dati e ricerche su cui riflettere e ragionare. Vedo sempre più spesso il rischio che, anche autorevoli uomini di scienza, che più di altri dovrebbero rimanere ancorati al rigore metodologico possano, a volte, inciampare e scambiare le proprie conclusioni su un fatto, una circostanza o un fenomeno per quelle che poi si rivelano, nel corso del tempo, solo opinioni personali.

Sono certamente idee, posizioni legittime, autorevoli ma pur sempre solo e soltanto opinioni. Ecco perché trovo la sua posizione, più volte espressa pubblicamente, sulla cannabis paradossale, irragionevole e incomprensibile. Perché proviene da un illustre scienziato, che ha speso la sua vita intera per sconfiggere il cancro, uno dei flagelli dell’umanità.

Mi auguro che questo suo modo di procedere sul tema sia soltanto una provocazione, anche se penso che su certe questioni bisognerebbe essere chiari, per non correre il rischio di essere strumentalizzati diventando così, suo malgrado, una sorta di «bandiera» dell’antiproibizionismo. Qualora però fosse realmente convinto delle sue posizioni, che la portano a considerare lo spinello una sostanza innocua, lo considererei un clamoroso autogol per la salute dei giovani e per la scienza intera. Le ricordo professore che il «bad trip», le reazioni avverse alla cannabis (come ad altre più nocive sostanze), non si concludono purtroppo in una semplice «indigestione», risolvibile in un paio di giorni, perché spesso rappresentano il triste esordio di un lungo calvario che spalanca le porte alla sofferenza e ad una delle tante forme di disagio mentale.

La cannabis ha da lungo tempo perso la sua innocenza e l’aggettivo qualificativo «leggera», che spesso l’accompagna, è falso e pericoloso. Vorrei invitarla nel mio studio, per farle vedere e ascoltare cosa può sprigionarsi nella mente di una persona anche dopo poche boccate dell’ «innocente» spinello. E mi creda, anche la cannabis ha i suoi lati oscuri, i suoi peccati e vedere che qualcuno voglia frettolosamente sdoganarla come se fosse una semplice «tisana», mi lascia molto perplesso e spesso indignato. Mai, come negli ultimi anni, ho visto crescere e di molto, il numero degli adolescenti che si rivolgono a me proprio perché colpiti da attacchi di panico e non solo, in seguito all’uso anche occasionale di cannabis.

Purtroppo gli attacchi di panico non sono una scelta, un’invenzione o un capriccio per dispiacere o fare un dispetto a qualcuno, ma una malattia, che può segnare l’intera esistenza di chi ne soffre e la vita delle persone che gli vivono accanto.




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