GAD LERNER
La Repubblica 29/11/14
È ricominciata in Italia la caccia al
rom, o zingaro che dir si voglia, da sempre il più comodo e popolare
dei bersagli con cui prendersela quando anche tu vivi ai margini e te
la passi male.
Solo che stavolta la caccia al rom
viene orchestrata da piromani a sangue freddo. Smaliziati cercatori
della prova di forza a contatto diretto col nemico etnico.
Professionisti che mirano all’incendio delle periferie
metropolitane, dove si contendono i marciapiedi con i centri sociali
antagonisti. È lì, nel vuoto della politica, che costoro hanno
intravisto lo spazio in cui costruire un nuovo polo di destra
radicale. Una destra verdenera, o fascioleghista, pronta a plasmarsi
sul modello di un alleato robusto come il Front National di Marine Le
Pen. Il loro credo è l’etno-nazionalismo, il loro faro è Putin,
la costruzione da abbattere è l’Europa.
Ma intanto si comincia dal basso:
dall’insofferenza degli inquilini delle case popolari quando i
nuovi assegnatari o, peggio, gli occupanti abusivi, sono le famiglie
rom e sinti che hanno lasciato i campi nomadi, come succede nei
quartieri milanesi del Lorenteggio e del Giambellino. Oppure dalla
richiesta di chiudere quegli stessi campi nomadi in cui — parole
del consigliere comunale vicentino Claudio Cicero — agli zingari
piacerebbe «vivere nella sporcizia, come i maiali ».
Ieri a Roma gli studenti organizzati da
Casapound hanno bloccato l’uscita ai residenti del campo di via
Cesare Lombroso, impedendo ai bambini di andare a scuola. Come sempre
avviene, i prevaricatori capovolgono la realtà atteggiandosi a
vittime che finalmente trovano il coraggio di reagire. I manifestanti
reggevano uno striscione appositamente studiato: “Stop alle
violenze dei rom, alcuni italiani non si arrendono”. Sarebbero
loro, il drappello d’avanguardia degli italiani coraggiosi. E poco
importa che la devianza e la criminalità diffuse nei campi nomadi
non rappresentino certo la fonte principale della sofferenza sociale
cresciuta con la povertà materiale e la miseria culturale. Sono
nemici per lo più inoffensivi ma fisicamente riconoscibili,
difenderli risulta impopolare, e quindi vanno additati come corpo
estraneo, stranieri anche quando si tratti di rom e sinti con la
cittadinanza italiana.
L’operazione politica, studiata a
sangue freddo, prevede il gesto ardito, la provocazione, il contatto
diretto. Come il blitz mascherato da “ispezione” architettato da
Matteo Salvini al campo sinti bolognese di via Erbosa, con il seguito
prevedibilissimo dell’aggressione su cui il segretario leghista ha
lucrato elettoralmente.
Da allora il meccanismo è stato
replicato più volte a favore di telecamere. Ci sono trasmissioni
televisive specializzate nella messinscena della rabbia popolare
costruita ad arte. Si mettono d’accordo con Mario Borghezio che
naturalmente si presta volentieri e finge di voler fare un
sopralluogo, di volta in volta a un campo rom o a un centro
d’accoglienza per rifugiati stranieri. Ne scaturisce una gazzarra.
Oppure si convocano insieme il comitato dei cittadini arrabbiati e un
paio di malcapitati rom, scatenando il putiferio.
Borghezio, eletto nella lista romana
della Lega Nord con il sostegno di Casapound, rappresenta l’anello
di congiunzione ideale di questa estrema destra nascente. Trova
sempre un microfono compiacente, proprio lui che definì “vero
patriota” il generale serbo-bosniaco Mladic, cioè il boia di
Srebrenica; e che ammise di riconoscersi nelle idee del fanatico
norvegese Anders Breivik, autore della strage di Utoya. Neanche
questo basta a limitare il suo spazio mediatico, nell’autunno della
rabbia.
La crisi della destra
post-berlusconiana libera pulsioni reazionarie sempre in cerca
dell’incidente, alimentando un clima di violenza dagli esiti
imprevedibili. La caccia al rom stavolta non è un moto spontaneo, ma
un vero e proprio cinico progetto politico.
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