Corriere della Sera 02/11/14
beppe severgnini
Ho capito che qualcosa non andava
domenica 12 ottobre, durante una lettura pubblica dei giornali
organizzata al Museo Diocesano di Milano. Ho domandato ai presenti:
«Quanti sono, secondo voi, gli immigrati in Italia?». Sguardi
interrogativi, qualche sorriso imbarazzato. «Chi pensa rappresentino
metà della popolazione, alzi la mano». Con mia grande sorpresa,
diverse mani alzate. «Chi ritiene siano il 30%?». Altre mani
alzate. «Chi crede, invece, che gli immigrati rappresentino il 15%
degli abitanti?». Ancora mani alzate.
In realtà, gli immigrati
in Italia costituiscono il 7% della popolazione.
Ad ascoltare la
lettura dei giornali la domenica mattina, in un museo di Milano,
vanno persone istruite e informate: eppure. Non è superficialità né
sciatteria. Non dipende da scarsa dimestichezza con numeri e
statistiche. Si tratta, invece, di una percezione sbagliata. Anzi, di
una trasposizione: le preoccupazioni diventano realtà.
Non sono
rimasto stupito, perciò, quando ho letto i risultati di un sondaggio
Ipsos Mori, condotto in 14 Paesi. Titolo: The Ignorance Index .
Questo «indice dell’ignoranza» vede noi italiani ingloriosamente
primi. Meglio di noi Usa, Corea del Sud, Polonia, Ungheria, Francia,
Canada, Belgio, Australia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone, Germania,
Svezia (la nazione più informata).
Qualche esempio delle
risposte in Italia? «Quanti sono i musulmani residenti?». Risposta:
il 20% della popolazione! (in verità sono il 4%). «Quanti sono gli
immigrati?» Risposta: 30% (in realtà 7%). «Quanti i disoccupati?»
Risposta: 49% (in effetti 12%). «Quanti i cittadini con più di 65
anni?». Risposta: 48% (sono il 21%, e già assorbono una fetta
sproporzionata della spesa sociale).
Sono dati allarmanti.
Perché la discussione pubblica italiana parte di qui: da una somma
di percezioni clamorosamente sbagliate. La politica — che pure
dovrebbe conoscere la situazione — non si premura di ripetere i
dati corretti. Usa la nostra ignoranza, invece. Ci costruisce sopra
proposte, programmi, allarmi, proteste. Immaginate Matteo Salvini
che, davanti una distesa di bandiere verdi, proclama: «Gli immigrati
in Italia sono solo il 7%! I musulmani il 4%!». Calma, fratelli
leghisti. Non lo farà mai. Le sue fortune politiche sono costruite
sull’ansia. Tutto ciò che concorre ad aumentarla è
benvenuto.
Non c’è solo la Lega, non c’è solo
l’immigrazione e non c’è solo l’Italia, ovviamente. Prendiamo
il numero delle gravidanze durante l’adolescenza. Gli americani
pensano che il fenomeno interessi il 25% delle teenager : in pratica
che un’adolescente su quattro, ogni anno, metta al mondo un figlio!
Il dato corretto è 3% (allarmante, ma non catastrofico). Prendiamo
gli omicidi. Il 49% della popolazione nei Paesi esaminati pensa siano
in aumento, il 27% crede siano in diminuzione. In effetti gli omicidi
sono in calo ovunque. Ma se gli elettori pensano il contrario, state
certi: qualcuno incoraggerà queste paure e ci costruirà sopra un
programma politico.
I media hanno responsabilità, ovviamente:
se informiamo male, o non informiamo, la gente rischia di credere
alla prima sciocchezza che sente. Ma non è solo colpa dei media.
Spesso si tratta di quella che gli psicologi chiamano «ignoranza
razionale»: si decide di non voler sapere. Pensate a certi
quotidiani o a certi commentatori. Chi li legge/li ascolta/li guarda
non vuol essere informato: chiede solo di essere confermato nei
propri pregiudizi.
I pregiudizi, infatti, rassicurano: evitano
il fastidio del dubbio. Le idee confuse consolano: permettono di
lamentarsi senza protestare, di commiserarsi senza impegnarsi. «Siamo
qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli
pieno», cantava Francesco Guccini. Ma in quella canzone, Incontro ,
si racconta di amanti sensibili e rassegnati, non di cittadini
emotivi e disinformati. La fine di una coppia, non il declino di una
nazione.
Nessun commento:
Posta un commento