La Repubblica -2/8/14
FRANCESCO MERLO
Il racconto Dopo l’uso che hanno
fatto i senatori del M5S e i lumbard Roma rischia di non avere più
sette colli, ma solo sei
Povero Aventino, da Collemetafora dello
sdegno morale a teatro comico dei lapsus e delle rimozioni. Il
presidente Pietro Grasso scambia il Senato per un’aula giudiziaria
un po’ come quel tipo da psicanalisi scambiò sua moglie per un
cappello, mentre il padano Stefano Candiani e il grillino Vito Crimi
rimuovono, rispettivamente, la secessione e il populismo
plebiscitario elevandosi a padri della patria .
EDUNQUE la leghista Patrizia Bisinella
si sente Giovanni Amendola: «La Lega resterà in aula solo per
appoggiare gli emendamenti». E Vito Petrocelli trova l’eleganza di
Emilio Lussu nella seguente frase carica di dottrina: «E’ una
maggioranza schifosa». Il risultato non è neppure la parodia
dell’Aventino sul quale sarebbe interessante interrogare (non solo)
i leghisti e i grillini con domande trabocchetto come quelle che in
tv fanno le Iene: in quale luogo dell’Aventino si ritirarono gli
antifascisti? E chi erano gli aventiniani? Secondo me ci si potrebbe
spingere sino a chiedere se c’era Gramsci, se c’era Gobetti e
persino se c’era Matteotti.
E non voglio banalmente e saccentemente
dire che quei senatori d’opposizione aventiniana che giovedì hanno
scritto sui loro cartelli «qual’è» con l’apostrofo non
conoscono la storia d’Italia, ma più seriamente che la storia non
c’entra più nulla con la parola Aventino perché nella decadenza
decadono anche le citazioni, da Telemaco a Fanfani, dal Principe di
Machiavelli all’Aventino appunto, che è ormai una parola ubriaca,
la botola del luogo comune dove cadono sia quelli che escono dal
Senato e sia quelli che vi restano. Un po’ come la parola
‘garantismo’ che serve a impiastricciare di morale i peggiori
gaglioffi.
La verità è che quando c’è un
imbroglio parlamentare e la temperatura si alza arriva sempre
qualcuno che esce dall’aula e si rifugia sull’Aventino, magari
evocandolo per negazione, — preterizione è la figura retorica —
: «Non è Aventino» ha detto quel Petrocelli di cui sopra, e «ma
non chiamatelo Aventino » hanno scritto i senatori di Sel che il
ritiro dall’aula l’hanno (sinora) soltanto minacciato.
Facendola breve, dei sette colli di
Roma l’Aventino è quello dove si ritirarono i seguaci di Caio
Gracco perché il Senato ne respinse le proposte di legge. Ebbene,
quando gli oppositori di Mussolini, duemila anni dopo, decisero di
non partecipare ai lavori della Camera per delegittimarla sul piano
morale, il loro gesto fu chiamato Aventino non perché davvero gli
antifascisti si trasferirono su quel colle, dove nessuno di loro mise
piede, ma per il “precedente” storico dei Gracchi. Gli squadristi
avevano assassinato Matteotti, Gramsci era stato arrestato, il
fascismo al governo stava diventando regime e tuttavia il ritirarsi
sull’Aventino per isolare e condannare Mussolini fu un errore
storico, ispirato dal liberale Amendola e avallato per disciplina di
partito da De Gasperi che pure inizialmente si era opposto. Gobetti e
Gramsci lo bollarono come una resa al fascismo.
Ovviamente c’è voluto molto tempo
prima che l’Aventino finisse nelle mani grottesche dei grillini e
dei leghisti. E bisognerebbe fare la storia delle parole come si fa
la storia delle idee, degli uomini e delle nazioni e dunque studiare
il percorso del nome che si staccò dal suo Colle, individuare
l’autorevolezza morale di chi lo usò in metafora per la prima
volta (Amendola appunto che gli storici giudicano di forte tempra
etica ma politicamente irresoluto) e poi la polivalenza appropriata e
affascinante dell’Aventino che nella prima repubblica era l’estrema
risorsa dell’opposizione ad ogni finanziaria, l’astruseria del
negarsi, subito successiva al bizantinismo dell’estenuarsi in
quell’infinito ostruzionismo che Renzo Arbore ribattezzò
“strunzionismo”.
Ed era già campione di polisemia
l’Aventino quando Veltroni e Di Pietro uscirono dall’aula nel
2008 (seguiti persino da Casini), un mese prima della caduta del
governo Berlusconi. Ma divenne un dizionario enciclopedico quando lo
stesso Berlusconi, fuori contesto, con una telefonata ordinò a Iva
Zanicchi di abbandonare la trasmissione di Gad Lerner definita
«postribolo» e di ritirarsi sull’Aventino. E bisognerebbe perciò
raccontare l’infiammarsi di quella parola anche nella democrazia
televisiva dove alzarsi e andarsene è stato spesso spettacolo di
sdegno simulato, sino al significare l’opposto di sé: l’Aventino
come rifugio del peggiore, come fuga per azzoppare la democrazia e
non più per glorificarla. Per esempio, nel 2013 Berlusconi non
partecipò alla seduta del “suo” Consiglio dei ministri che
salvava con un decreto ad hoc la “sua” Retequattro: si ritirò
sull’Aventino della stanza accanto, lasciando la “sua” sedia
vuota, incolpevolmente ignaro che anche Luciano Liggio preferiva
ritirarsi sull’Aventino di una camera vicina a comporre poesie
bucoliche per dare ai picciotti la «libertà» di emettere le sue
sentenze di morte e, subito dopo, di eseguirle. Al suo posto lasciava
una sedia vuota e, sul tavolo, la lupara.
Ecco: è stata illuminante la parola
Aventino sino al suo arrivo nell’attuale insignificanza piena ed
efficacissima. E infatti ieri sera in Parlamento era tutto un
precisare di “mezzo Aventino”, “Aventino momentaneo”,
“Aventino per un giorno” sino all’Aventino fotografato sul
twitter dal grillino Nicola Morra: «Ecco, questa è la mia tessera
per votare. L’ho tolta! Non partecipiamo più a votazioni con
questa conduzione dell’aula ». E già il lessico sovraeccitato di
Grillo si spostava su Grasso che diventata «l’incaricato di fare
del regolamento stracci della polvere », «il grigio funzionario
governativo», e soprattutto «un qualsiasi Oblomov» che è un altro
strazio di citazione. Oblomov è infatti l’eroe di Goncarov, il
simbolo della viltà, del non scegliere, l’uomo che dorme tutta la
giornata con il libro aperto sulla stessa pagina. Insomma chi ha
letto Oblomov (ma chi di loro l’ha letto?) capisce che con Grasso
non c’entra nulla, ma il richiamo all’autore russo suona bene.
Oblomov è solo un’altra parola ubriaca, come Aventino appunto, che
nessuno potrà mai più pronunziare e sul quale nessuno si potrà mai
più rifugiare. Dobbiamo anche questo a Grillo: da ieri i colli di
Roma sono sei.
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