domenica 3 agosto 2014

La Germania riscopra Copernico 
se vuole davvero aiutare l’Europa.


Corriere della Sera 03/08/14

Tolomeo vive ancora nell’Europa del XXI secolo. La Terra è piatta. Al centro della Terra c’è l’Europa. Al centro dell’Europa c’è la Germania. Al centro della Germania c’è una teoria economica vetusta e obsoleta, smentita dalla storia degli ultimi cento anni.

Questa pseudoteoria, chiamata «rigore e austerità», affonda le sue radici nel XVII e XVIII secolo e viene sistematizzata nel XIX secolo, con l’equazione degli scambi di Irving Fisher che fissa come costanti due variabili: il livello «reale» della produzione, perché una economia di mercato opera «sempre e automaticamente» in piena occupazione; e la velocità di circolazione della moneta, perché dipende da usi e costumi della gente. Date queste due astratte assunzioni la «teoria» dice che la quantità di moneta determina direttamente il livello dei prezzi, cioè l’inflazione. Il bilancio pubblico non deve quindi disturbare l’economia di mercato, proprio perché essa ottiene sempre e automaticamente il massimo potenziale di produzione e occupazione. La spesa pubblica va limitata ai beni essenziali e le tasse devono solo coprire le spese per avere deficit zero.

Si può anche capire che la iper-fobia tedesca per l’inflazione affondi le sue radici nella Repubblica di Weimar, dissolta da un’inflazione che superò il 3.000% e seguita dalle camicie brune di Adolf Hitler. Ma erano ottant’anni fa.

La Grande depressione degli Anni 30 e soprattutto il secondo dopoguerra hanno smentito con i dati quella vetusta teoria e, da John Maynard Keynes in poi, si sono avute più solide basi teoriche e più validi riscontri empirici. Inoltre, negli ultimi 20 anni, abbiamo toccato con mano la globalizzazione che costringe a ripensare tutti i vecchi canoni sui quali poggiava la forza e la prevalenza economica e politica dell’Occidente. Occorre pertanto imbpassare da Tolomeo a Copernico, perché… la Terra è rotonda, l’Europa non ne è al centro, anzi rischia di diventare periferia del nuovo mondo. Occorre, cioè, una nuova governance con nuove istituzioni internazionali e un G8 che, insieme agli Usa, includa Cina, India, Corea, Russia, Brasile, Sud Africa. E in questo nuovo mondo l’Europa può esserci soltanto se è Stati Uniti d’Europa.

Purtroppo, però, l’Europa resta Tolemaica e si sta avvitando in un masochistico processo di stagnazione e declino che vede in posizione di pericoloso stallo l’asse Atlantico, mentre emerge sempre più l’asse del Pacifico.

Qui si aggiungono una miopia americana e una astuzia cinese. Gli Usa sono tentati di «passare» per l’altro oceano e costruire il G2 solo con la Cina. La Cina, che ha ottenuto di agganciare «politicamente» la sua moneta al dollaro (e quindi di svalutarla invece di rivalutarla), incassa fiumi di soldi dell’Occidente che compra le sue merci liberalizzate nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e ottiene così 700 miliardi di dollari all’anno di surplus nella bilancia dei pagamenti. I cinesi li risparmiano e con quei soldi si stanno comprando mezzo mondo, noi occidentali compresi. Si pensi che con «soli» 40 miliardi la Cina entro il 2018 costruirà il canale del Nicaragua e aggirerà quello di Panama, preparandosi a «inondare» Pacifico e Atlantico, Usa ed Europa.

Per verità, la ricetta tolemaica prevede che la politica economica sia tutta sull’offerta (supply-side ). Per questo la Germania potrebbe dire che, anche se per prima ha sforato il rapporto deficit/Prodotto interno lordo, ha però fatto le sue riforme strutturali. Gli altri sono o tardivi o ancora non le hanno neanche imbastite. Ecco perché, fino ad oggi, la Germania tolemaica si è illusa di poter «dominare» l’Europa facendo la prima della classe e illudendosi di fronteggiare da sola il mondo globale. Fino a oggi, però, l’export tedesco ha poggiato per il 50% sugli altri Paesi dell’area euro. Ma se tutta Europa segue la stessa ricetta non c’è spazio per più esportazioni per tutti. Ed allora tutti devono puntare su più esportazioni extraeuropee, dove la competizione dei Paesi emergenti sui costi del lavoro è troppo forte e la loro domanda comincia adesso a rallentare. In sintesi, applicando la ricetta sbagliata a tutta Europa abbiamo costruito con le nostre mani la più grande crisi da domanda che abbia mai investito l’economia europea. Infatti, puntando tutti sulle esportazioni e — per sostenere l’export — sulle modifiche del mercato del lavoro, si deprimono i salari, si affossa la domanda interna, si genera deflazione e si allontana anno dopo anno la ripresa, come un cane che si morde la coda.

Ma proprio questo 2014 dovrebbe insegnare qualcosa, anche alla Germania: il Pil tedesco sta frenando e l’indice di fiducia delle imprese tedesche sta scendendo. Anche i tedeschi si accorgono che la ripresa in Europa non c’è o al massimo è timida e asfittica. Ecco perché la priorità europea non sta oggi nella flessibilità dei parametri su deficit e debito o sul mercato del lavoro. Sta su un cambiamento di politica economica a sostegno della domanda interna.

Su questo, la responsabilità maggiore compete a chi più di tutti può permetterselo, cioè la Germania che, con i suoi 280 miliardi di euro di surplus di bilancia dei pagamenti, deve scegliere o di accumularli come un raguseo o di utilizzarli per far vivere meglio i cittadini tedeschi e di conseguenza del resto d’Europa.

Occorre cioè scoprire, nel XXI secolo, Copernico: la Terra è rotonda, l’Europa non è al centro del mondo globalizzato, la Germania può guidare l’Europa ma non può stare ferma illudendosi di essere un giardino felice (e magari anche più virtuoso degli altri) al centro di una Europa e di un mondo di Tolomeo che non ci sono più.

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