Corriere della Sera 25/08/14
Un’altra parata di prigionieri
inermi, offerti al ludibrio dei vincitori. Ieri a Donetsk, dove i
ribelli filo-russi hanno fatto sfilare i soldati ucraini catturati,
l’altro giorno a Gaza, dove Hamas ha condotto in parata le «spie»
destinate alla morte, nelle scorse settimane in Iraq, dove le milizie
del Califfato hanno esibito in video centinaia di nemici prima di
massacrarli. Realtà diverse, ovvio, che poco o nulla hanno da
spartire sul piano politico. Ma allo stesso tempo unite da un filo
comune: l’esibizione del corpo del vinto, spossessato della sua
umanità, ridotto a cosa nella sua totale disponibilità.
Rappresentazione «oscena» che si compiace della «nudità»
dell’altro. Corpi nemmeno più viventi, già di fatto trapassati
nel recinto della morte, nei casi degli spettacoli inscenati da Hamas
e dall’Isis. Esibizioni che vogliono essere allo stesso tempo prove
di forza e strumento di formidabile propaganda, in un’era in cui le
immagini rimbalzano in tempo reale nello spazio virtuale. Il nemico,
interno o esterno che sia, va terrorizzato, va ammonito che il suo
destino ultimo è la nullificazione. E allo stesso modo il potenziale
sostenitore va galvanizzato , va persuaso della «geometrica
potenza», si sarebbe detto in altri tempi, di chi compie quelle
azioni. Una strategia in apparenza vincente, come dimostra il
successo in Rete, anche in Europa, della propaganda jihadista, le cui
gesta efferate vengono percepite come «vincenti» nell’immaginazione
di chi si nutre di odio. A noi il compito di contrastarla, in nome di
una comune idea di umanità.
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