lunedì 4 agosto 2014

L’intervista “Non ci sarà un autunno caldo resteremo sotto il 3%. Sono pronto al dialogo, ma basta discussionismo Entro il 2016 referendum sulle riforme costituzionali”


CLAUDIO TITO
La Repubblica 4 agosto 2014

Intervista a Renzi: “Niente scambi nel patto del Nazareno. Al voto? Dopo le riforme duriamo 1000 giorni” “La ripresa è debole ma non sarà un autunno caldo. Restiamo sotto al 3% del rapporto deficit/Pil” “Mai più una legge ad personam per Berlusconi Non ci sarà nessuna manovra” “Nel patto del Nazareno non ci sono scambi Il voto? Dopo le riforme duriamo 1000 giorni”

Nessun accordo oscuro con Berlusconi, nel patto del Nazareno non c’è nulla che non sia stato trasferito negli atti parlamentari. E soprattutto non prevede alcuna «legge ad personam» per l’ex Cavaliere. Per consentirgli di ricandidarsi alle prossime elezioni scavalcando le norme Severino. Matteo Renzi respinge al mittente le critiche sulle riforme. «Sono sempre pronto al dialogo» ma basta con il «discussionismo». E basta con i «gufi professori» o con i «gufi indovini ». Il referendum confermativo si terrà entro il 2016 ma a questo punto il dibattito è stato fin troppo lungo: «Ora si decide ». Anche perché le riforme sono la precondizione per far ripartire il Paese.
«È VERO — ammette — la ripresa è debole. Ma non siamo messi male e il prossimo non sarà un autunno caldo. La Troika non arriverà e se mai ci fosse bisogno di una manovra, non imporremo nuove tasse. E comunque rimarremo sotto il 3% nel rapporto deficit/pil».
Ma lei è proprio sicuro che questo sia stato il modo di migliore per realizzare le riforme? Non serviva una discussione più ampia?
«Intanto non le abbiamo ancora fatte. La nostra non è ancora una missione compiuta. C’è ancora una settimana di lavoro e quattro letture parlamentari. Di certo si è fatto un passo avanti anche grazie alla straordinaria dedizione dei senatori della maggioranza che hanno sopportato insulti ingiustificati. Si può fare sempre meglio, la controprova non esiste. Ma per me stiamo facendo bene. L’obiettivo di qualcuno non era fermare la riforma, ma fermare noi. Non ce l’hanno fatta. E con il referendum alla fine l’ultima parola sarà dei cittadini.
Ma non è solo questo. Forse il confronto poteva essere arricchito da un dibattito culturale più profondo, capace di preparare il terreno in modo più fecondo.
«Nessun tema è stato più discusso della riforma costituzionale: bipolarismo perfetto, poteri delle Regioni, iter delle leggi. Ci sono tomi e tomi, convegni e seminari. Sono trent’anni che facciamo dibattiti culturali, ora è venuto il momento di decidere: facciamo politica, noi, non accademia. E in politica alla fine si decide. L’Italia non si può più permettere di coltivare il culto del “discussionismo” fine a se stesso. Si può essere d’accordo o meno, ma non si può sostenere che non sia stata sufficiente la preparazione. Certo, c’è una parte dell’establishment che non sopporta il mio stile. Ma verrà il giorno in cui si potrà essere finalmente parlare delle responsabilità anche delle elite culturali nella crisi italiana: i politici hanno le loro colpe. Ma professori, editorialisti, opinionisti non possono ritenersi senza responsabilità».
Quindi il discorso è chiuso?
«No, ci sono ancora quattro letture. Ma nessuno può pretendere di porre veti. Non è possibile che o si è tutti d’accordo o ci si blocca».
Anche perché se le riforme si bloccano, si torna a votare.
«Con l’approvazione della riforma costituzionale, questa legislatura sarà intera. Questa riforma non è la chiave di tutti i problemi. Ma è il simbolo più forte. Dopo la sua approvazione, a settembre partono i 1000 giorni».
Scusi ma che c’entra la nuova costituzione con i 1000 giorni?
«Questo governo ha davanti a sé molte sfide, riassumibili in due grandi temi. Primo. Il ritorno della politica: riforme costituzionali, legge elettorale, politica estera nel Mediterraneo e in Europa, la sfida educativa con scuola cultura e Rai, la spending che è operazione politica non tecnica. Secondo. Un Paese più efficiente: fisco, giustizia, pubblica amministrazione, lavoro e SbloccaItalia. Il lavoro e già partito e i mille giorni saranno presentati entro il mese di agosto. Ma l’impianto complessivo possiamo costruirlo solo se c’è il passaggio preliminare delle riforme costituzionali ».
Quindi si vota nel 2018 oppure no?
«La data delle elezioni in Italia è decisa dal presidente della Repubblica. Che fa le proprie valutazioni sulla base della Costituzione e del lavoro dei parlamentari. La mia scommessa è che questa legislatura abbia una dimensione quinquennale».
Lei dice di essere aperto al dialogo. Allora cosa può cambiare del testo all’esame del Senato?
«Tutto quello su cui c’è la maggioranza. Questa non è una riforma imposta, ma costruita da un paziente lavoro di ascolto e dialogo ».
Così però è facile.
«Lo dice lei. Le opposizioni hanno dato vita a un ostruzionismo ingiustificato. Quando sento che si lamentano di Grasso, io dico che il presidente del Senato è stato troppo accondiscendente con le richieste delle opposizioni. Alcune scelte di Grasso ci sono parse sinceramente sbagliate. Ma non lo abbiamo attaccato perchè abbiamo rispetto della seconda carica dello stato e delle istituzioni. Il «canguro » è uno strumento di decoro a meno che non si voglia davvero prendere sul serio gli emendamenti di chi ha proposto — come il costituzionalista Minzolini — di cambiare in Gilda il nome della Camera».
Ma è vero che siete pronti a trattare sulla base elettorale del capo dello Stato, sulle firme per indire i referendum e soprattutto sull’immunità?
«Noi siamo pronti a discutere di questo e di altro. Per esempio Ncd ha proposto di poter commissariare le Regioni che non tengono i conti in ordine. Importante è che sia discussione civile. I nostri senatori sono stati pazienti nel sopportare gli insulti, ora basta. Dialogo sì, insulti no».
Quando pensa che si possa tenere il referendum confermativo?
«Ragionevolmente tra il 2015 e il 2016».
Il dialogo vale anche per la legge elettorale?
«Certo. Ci siamo sottoposti anche allo streaming dei grillini che pure adesso pare preferiscano il modello Pinochet, una pagina di storia decisamente democratica secondo loro. Noi ci siamo. Però ci devono stare tutti i contraenti. Perché le regole si scrivono insieme ».
Quindi le modifiche riguarderanno le preferenze, le soglie di sbarramento e quella per accedere al premio di maggioranza?
«Sono i punti di maggior discussione. C’è anche chi vuole i collegi sulla base del Mattarellum. Vediamo. L’importante è tenere al tavolo tutti che ci vogliono stare. Sapendo però che l’Italicum per il PD è il sistema meno conveniente. Ma per me il più equilibrato e giusto».
Ma entro quanto tempo deve diventare legge?
«Non c’è urgenza per elezioni imminenti. Ma è urgente per non perdere la faccia coi cittadini. È calendarizzato dal primo settembre al senato per la seconda lettura».
E Berlusconi è fondamentale in questo percorso?
«Tutti siamo fondamentali. I numeri ci sono anche senza di lui ma dopo anni di riforme l’uno contro l’altro, ora si è affermato il principio di farle insieme. Mi sembra un passo in avanti nella cultura politica italiana».
Scusi, ma quello del Nazareno è davvero un patto scritto?
«Certo».
E cosa c’è dentro?
«Quello che legge negli atti parlamentari sulle riforme».
Troppo facile rispondere così.
«Ma vi pare che io firmi una cosa con Berlusconi e la metta in un cassetto? Questa è la tipica cultura del sospetto di una parte della sinistra. Io ho declassificato il segreto di stato per le stragi di questo Paese, e vado a nascondere un patto di questo tipo? C’è scritto quello che abbiamo messo negli atti parlamentari ».
Cosa farebbe se Berlusconi le chiedesse di facilitare l’approvazione di una norma che gli permette di candidarsi alle prossime elezioni bypassando, ad esempio, la legge Severino?
«Non lo ha fatto, non credo lo farà. Del resto la Severino è una legge votata dal PdL e so- no certo che sia finito il tempo delle leggi ad personam. Anche perchè i percorsi giudiziari sono andati, con tutto ciò che sappiamo. Basta proporre passaggi impropri tra le riforme e le utilità del leader di Forza Italia. Dopo le riforme, torneremo ad essere divisi. Anzi, facciamo le riforme proprio per evitare in futuro di essere costretti a governare insieme».
Dopo le riforme, i 1000 giorni. Ma non sarà che a settembre le toccherà affrontare un autunno caldo?
«Sono convinto di no. Questa è una retorica che fa sbadigliare, È trita e ritrita. Gli editoriali agostani sono prevedibili come le occupazioni studentesche nei primi giorni di scuola. So bene che la ripresa è fragile, come dice Draghi. L’eurozona cresce meno degli altri. L’Italia non ha invertito la marcia e non la invertirà con la bacchetta magica. Ma la narrazione degli autunni caldi è un noioso deja vu».
Ma dovrete trovare 20 miliardi oppure no?
«Definire le cifre del 2015 è prematuro. Iniziamo col dire che non ci sarà manovra correttiva quest’anno, con buona pace dei Brunetta & company. Abbiamo un impegno di ridurre le spese di 16 miliardi, che vuol dire di circa il 2% della spesa. Cercheremo di mantenerlo. In ogni caso non toccheremo le tasse: tutti i denari che servono verranno dalla riduzione della spesa. Ecco perché non mi interessa il nome del commissario alla spending, ma la sottolineatura che la spending è scelta politica — non tecnica — che dipende dalla politica».
E l’Italia non supererà il 3% nel rapporto deficit/pil?
«Assolutamente no. E non siamo nemmeno messi male. Ci sono le condizioni per uscire dalla crisi. Io definisco gufi non quelli che parlano male di me: chi parla male di me o mi critica mi aiuta, spronandomi a fare meglio. I gufi sono quelli che criticano l’Italia e sperano che non ce la faccia. Ci sono i gufi professore, i gufi brontoloni, i gufi indovini. Anche se questi ultimi dopo il 25 maggio parlano di meno. Ma basta con questo clima di rassegnazione. I cittadini hanno ancora voglia di crederci. E io non mollo di un millimetro».
Va bene. Però lei deve rispondere anche ai numeri e a chi le fa notare che la crescita ormai s’avvia verso lo zero. Che gli 80 euro non hanno fatto ripartire i consumi, che probabilmente nel 2015 dovrà superare la soglia dell’1,8 nel rapporto deficit/pil fissato dal suo Def.
«Come sarà l’Italia a fine anno lo vedremo. A chi dice che gli 80 euro non hanno rilanciato i consumi, rispondo di aspettare i risultati consolidati. Ma si tratta di un fatto di giustizia sociale, il più grande aumento salariale degli ultimi anni. La crescita è negativa da tempo. Avviandosi verso lo zero darebbe segnali di miglioramento. Comunque per me il metro chiave è il numero degli occupati. Anche questo mese più cinquantamila. Ma non basta».
Ma il prossimo anno supereremo l’1,8% nel rapporto deficit pil?
«Dipende da come va. Ma di certo staremo sotto il 3%».
Non è che ci ritroviamo la Troika?
«Non in Italia. La Troika è la negazione della politica»
Molti dicono che con il rapporto con il ministro Padoan va malissimo.
«Non me ne sono accorto. Credo neanche lui».

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