Chi per giorni ha letto che oggi il consiglio dei ministri varerà
“la” riforma della scuola, “la” riforma della giustizia e che si
sbloccheranno “le” grandi opere, magari stasera resterà un po’ deluso
La spiacevole sensazione di queste ore è che alla fine, per
usare un’espressione non bella e abusatissima, la montagna partorirà il
topolino. Non è così, ma il fatto è che ogni riunione del governo viene
caricata da un’attesa messianica – le famose “ore decisive” che tanto
piacciono ai giornali – come se il consiglio dei ministri fosse ogni
volta chiamato a cambiare la faccia dell’Italia. Naturalmente non può
essere così.
D’altra parte il presidente del consiglio comunica al paese la
propria impazienza e gli assicura massima velocità, generando in questo
modo la grande illusione del tutto e subito. Poi, lo stesso Renzi deve
spiegare che si tratta di linee guida, di un primo passo, che i
provvedimenti verranno dopo.
Così, chi per giorni ha letto che oggi il consiglio dei ministri
varerà “la” riforma della scuola, – che invece slitta – “la” riforma
della giustizia e che si sbloccheranno “le” grandi opere, magari stasera
resterà un po’ deluso: e dovrà fare un supplemento di riflessione per
capire che queste riforme sono solo partite, non ancora arrivate.
La verità è che in questo paese farle davvero, le riforme, è
operazione lunga, difficile. Non basta la determinazione del premier
(che non manca, se sono vere le indiscrezioni che lo danno impegnato a
correggere di suo pugno ciascun provvedimento). Però su temi
fondamentali (peccato che la scuola debba attendere), si parte. Si parte
adesso. E siccome davanti a sé il governo ha un tempo lungo, è
probabile che si arrivi. E scusate se è poco.
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