Corriere della Sera 06/08/14
M.Gu.
Era l’ultima mina nascosta
nel terreno della riforma, l’ultimo voto segreto. I 5 Stelle erano
scesi dal metaforico Aventino e rientrati in Aula, col preciso
intento di mandare sotto il governo. Ma per due soli voti l’agguato
delle opposizioni non è riuscito: l’emendamento del dissidente
democratico Felice Casson è stato bocciato per un soffio, 143 a 141.
E il paradosso, per i senatori del Pd che hanno contestato dal
principio le nuove norme, è che al momento del voto mancavano tre
dei dissidenti più agguerriti: Corradino Mineo, Massimo Mucchetti e
Paolo Corsini. Una fortuita coincidenza? A Palazzo Madama è giallo.
«Io mi ero allontanato per un problema di famiglia. Non sapevo del
voto segreto — spiega Mineo —. Mucchetti non c’è per
un’assenza seria e Corsini ha la febbre a 40». Il dato politico?
«Hanno perso il controllo del Senato, quando non c’è il ricatto
rischiano di andare sotto».
Nella proposta si chiedeva di
conservare il bicameralismo perfetto per i provvedimenti di amnistia
e indulto, ma la maggioranza ha deciso di sottrarre questa competenza
a Palazzo Madama, come volevano relatori e governo, che però si sono
rimessi all’Aula. E adesso la riforma del Senato corre come un
treno verso l’approvazione finale, tanto che domani il premier
Matteo Renzi potrebbe intervenire davanti ai senatori per
accompagnare al traguardo il provvedimento simbolo del suo mandato e
intestarsi la vittoria su conservatori e «gufi».
Giornata
produttiva, per Palazzo Chigi. A colpi di fiducia l’esecutivo ha
incassato il via libera su due provvedimenti importanti. Al Senato il
decreto sulla Pubblica amministrazione del ministro Marianna Madia è
passato con 160 sì e 106 no: tornerà all’esame di Montecitorio,
per essere convertito entro il 23 agosto. A tarda sera la Camera ha
approvato il decreto legge sulla competitività.
Oggi si
ricomincia, con il Senato convocato alle 9.30 per gli ultimi articoli
della riforma costituzionale. I relatori, Anna Finocchiaro e Roberto
Calderoli, hanno chiesto tempo per sciogliere i nodi rimasti. Il
vicepresidente di Palazzo Madama è rientrato alle 16 dopo i funerali
della madre a Bergamo. Finocchiaro non se lo aspettava ed è rimasta
spiazzata, come rivela un piccolo siparietto registrato dai cronisti.
«Ho avuto notizia che il senatore Calderoli è in arrivo — ha
aperto la seduta pomeridiana il presidente Grasso — per cui si
prosegue secondo l’ordine fissato partendo dall’articolo 10». E
Finocchiaro, stupita: «La notizia mi coglie di sorpresa, sapevo che
non sarebbe venuto e avevamo deciso di accantonare gli articoli 10,
11, 12 e 15... Ma l’ha sentito al telefono?». Grasso, dallo
scranno più alto: «Sì, l’ho sentito al telefono, ma ora ha un
disguido in aeroporto e non può parlare». Insomma, la tempistica
decisa dal presidente ha creato qualche attrito con lo stesso
Calderoli, ma poi la seduta è andata avanti spedita, scandita dalla
litania «aperta la votazione, parere contrario di relatori e
governo, il Senato non approva». Fino all’articolo 18, quando il
M5S è tornato tra i banchi per tentare il blitz e i franchi tiratori
hanno provato a impallinare l’esecutivo a voto segreto. Missione
fallita.
I grillini hanno fatto l’Aventino tra l’anticamera
e la buvette al grido di «votatevela voi!», prima di fiondarsi in
Aula per il voto segreto. Loredana de Petris di Sel è furibonda e
con i colleghi si fa scappare una battuta: «Grasso corre, corre...
Si vede che lo pagano a cottimo». Le opposizioni hanno finito il
tempo, non possono più parlare e i lavori si svolgono in un silenzio
rassegnato. La Lega è nervosa. Il senatore Divina, dopo aver chiesto
(e ottenuto) un applauso «di plauso e cordoglio» per Calderoli,
attacca: «I tempi che ci sono stati dati sono inaccettabili, sono
stati tagliati in modo abominevole». Ma la barca va.
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