martedì 5 agosto 2014

Il pessimismo di Amos Oz 
«Più palestinesi uccidiamo 
e più vincerà Hamas».


Corriere della Sera 05/08/14
Davide Frattini

Ha trascorso gran parte dei ventotto giorni di guerra in ospedale, bloccato a letto da un’operazione al ginocchio. Bloccato anche quando le sirene risuonavano a Tel Aviv: Amos Oz avrebbe avuto 90 secondi per correre dentro al rifugio. «Non ci sarei riuscito e non ci ho provato. Ho combattuto in due conflitti, ci vuole più di un allarme razzi per spaventarmi». Adesso è tornato nella casa di Tel Aviv, sta ancora recuperando, non gli manca l’energia per riaffermare quello che ha sempre ripetuto: «Non ho una soluzione per le prossime ventiquattro ore. Posso dire quale sia la via d’uscita da qui a un anno e mezzo: negoziare con il presidente Abu Mazen un accordo che porti alla nascita dello Stato palestinese, smilitarizzato, con la rimozione di quasi tutte le colonie ebraiche. La libertà e la prosperità, Ramallah e Nablus che fioriscono, spingeranno i palestinesi di Gaza a rivoltarsi e a eliminare Hamas come i rumeni hanno eliminato Nicolae Ceasescu».

Quello che potrebbe accadere nelle prossime ventiquattro ore lo ha annunciato Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano: finita la distruzione dei tunnel scavati dai miliziani, il governo è pronto a ritirare le truppe dalla Striscia senza trattare il cessate il fuoco e a rispondere con i raid dell’aviazione se i lanci di razzi dovessero andare avanti. Lo scrittore, 75 anni, preferisce le intese negoziate, in questo caso dice: «Qualunque scelta riduca immediatamente la violenza, anche senza una mediazione, sarebbe una benedizione per fermare il disastro umanitario a Gaza e la sofferenza quotidiana di milioni di israeliani costretti a scappare nei rifugi».

Avigdor Liberman, il ministro degli Esteri, ha rappresentato nel governo le posizioni più oltranziste, premeva sul premier, almeno a parole, perché desse l’ordine all’esercito di rioccupare Gaza. Adesso lancia l’idea di mettere quel corridoio stretto tra Israele, l’Egitto e il mare sotto il controllo di una forza internazionale. «Affiderei la Striscia a chiunque — dice Amos Oz — anche ai marziani. Non capisco perché Netanyahu non abbia proposto di togliere l’assedio economico imposto dagli israeliani e di legare alla smilitarizzazione la raccolta internazionale di fondi per la ricostruzione. Se Hamas respinge il piano, saranno loro (e solo loro) a dover essere biasimati».

La figlia Fania — docente di Storia all’università di Haifa, con la quale ha scritto «Gli ebrei e le parole» (Feltrinelli) — gli ha offerto una metafora per descrivere la strategia di Hamas: «Un vicino di casa che si siede sul balcone con il figlio in braccio e comincia a sparare contro il tuo asilo». Amos Oz chiede comunque a Israele «un uso più cauto della forza militare»: «I miliziani operano da dentro o molto vicino a scuole e ospedali. Così raggiungono due obiettivi: più israeliani uccidono, più vincono; più palestinesi uccidiamo noi, più vincono loro. Non è solo la questione dell’immagine internazionale del Paese, mi preoccupano i nostri standard morali. Sono abbastanza vecchio da ricordare la guerra del 1967, i combattimenti nella parte est di Gerusalemme: i giordani colpivano dalle case, si muovevano tra i civili, eppure l’esercito israeliano non ha voluto bombardare, ha scelto di combattere strada per strada, l’unico modo di evitare le vittime innocenti».

Novanta secondi, un nome arabo dopo l’altro, l’età: sono i bambini palestinesi uccisi nell’offensiva israeliana. B’Tselem, organizzazione israeliana per i diritti umani, avrebbe voluto trasmettere l’annuncio a pagamento sulle radio locali, è stata bloccata dall’autorità governativa per le emittenti. La cantante Noa riceve minacce di morte dopo aver espresso compassione e dolore per i morti palestinesi. La sinistra si sente sotto assedio, zittita dalla violenza degli ultranazionalisti. «In tempo di guerra l’atmosfera in qualunque Paese — commenta Oz — diventa militarista. Ero a Londra durante il conflitto per le Falkland e le manifestazioni di sostegno al conflitto erano massicce, anche se la maggior parte dei partecipanti non sarebbe stata in grado di trovare quelle isole, e forse l’Argentina, sulla mappa.

Non vedo lo stesso clima di odio che ha portato all’omicidio di Yizthak Rabin, come altri avvertono. I fanatici, i razzisti, non sono solo un fenomeno israeliano, stanno crescendo in Europa, in Russia, in tutto il mondo».

La sinistra resta in difficoltà, sembra incapace di far passare il suo messaggio. «Per quasi un cinquantennio il movimento pacifista ha sostenuto il progetto di scambiare i territori per ottenere la pace. Otto anni fa l’allora premier Ariel Sharon ha lasciato Gaza, ha evacuato le colonie, ritirato tutte le truppe. Invece della pace e della coesistenza abbiamo ricevuto una pioggia di razzi. Adesso è difficile convincere la gente che terra per pace è un’idea ancora valida».



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