ALBERTO FLORES D’ARCAIS
La Repubblica - 24/8/14
GERUSALEMME . «Nella mia vita ho visto
bambini ebrei gettati nel fuoco. E adesso vedo bambini usati come
scudi umani, da fedeli al culto della morte non dissimili da coloro
che veneravano Moloch. Questa non è una battaglia di ebrei contro
arabi o di Israele contro i palestinesi. È una battaglia tra coloro
che celebrano la vita contro i campioni della morte. È la civiltà
contro la barbarie». Così scriveva Elie Wiesel, premio Nobel per la
pace e sopravvissuto ad Auschwitz, in una inserzione a pagamento
pubblicata a inizio agosto su New York Times e Washington Post e poi
ripubblicata (tra le polemiche, perché il concorrente Times si era
rifiutato) dal Guardian di Londra.
Adesso a Wiesel rispondono quaranta
sopravvissuti all’Olocausto (tra cui Henri Wajnblum, Edith Bell e
Moshe Langer) che — insieme ai loro figli e nipoti (altre 287
firme) — denunciano «il massacro dei palestinesi a Gaza» e si
dichiarano «disgustati dall’abuso della storia» che il premio
Nobel avrebbe operato, tentando di «giustificare ciò che non è
giustificabile: la distruzione di Gaza fatta da Israele e
l’assassinio di oltre duemila palestinesi tra cui centinaia di
bambini». La maggioranza dei firmatari risiede (come Wiesel) negli
Stati Uniti, diversi in Europa (nessun italiano), solo uno, Rami
Heled figlio di sopravvissuti e con tutti i nonni morti a Treblinka,
vive oggi in Israele. Ed è stato pubblicato sul sito
dell’International Jewish Anti-Zionist Network (organizzazione che
dichiara apertamente come proprio obiettivo quello del “ritorno dei
rifugiati palestinesi” e la “fine della colonizzazione
israeliana”).
Intanto, Abu Mazen è di nuovo nella
capitale egiziana e lancia (spalleggiato dall’Egitto) un nuovo
appello per il cessate-ilfuoco. A Gaza per ora non lo ascolta
nessuno, Hamas continua a lanciare i suoi razzi contro i civili
israeliani, gli aerei di Gerusalemme rispondono con le bombe —
dieci morti tra cui cinque bambini — e Netanyahu (con una lettera
al segretario dell’Onu) paragona i terroristi della Striscia a
quelli dello Stato Islamico. In un sabato di guerra di “routine”
(per i media, non per chi da una parte o dall’altra cerca di
sopravvivere a razzi, missili e colpi di mortaio) Hamas tenta il
colpo di propaganda. Di fronte all’indignazione per gli omicidi a
sangue freddo contro presunti “collaborazionisti” o “spie” di
Israele (ieri le squadracce in azione a Gaza ne hanno ammazzati altri
quattro davanti a una moschea) annuncia di aver firmato la proposta
di adesione alla Corte Penale Internazionale, nella convinzione che
aderendo alla Statuto di Roma (quello su cui si basa la Cpi) Israele
ossa essere direttamente perseguito per “crimini di guerra”.
La Corte Penale Internazionale — che
non ha nulla a che vedere con il Tribunale dell’Aja (o Corte
Internazionale di Giustizia) delle Nazioni Unite, pur avendo la sede
nella stessa città olandese — in realtà non porta sul banco degli
imputati gli Stati, ma solo i singoli individui che si sono macchiati
di genocidio, gravi crimini di guerra o crimini contro l’umanità.
Inoltre lo Stato ebraico (come anche Stati Uniti, Cina, Russia e
diversi altri) è tra i paesi che non aderiscono alla Cpi.
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