martedì 26 agosto 2014

Giustizia, perché questa è una riforma vera

Mario Cavallaro 
Europa  

È la prima volta da anni che non si combatte intorno a leggi ad personam o contra personam
Sulla riforma della giustizia, e di quella civile in particolare, che dovrebbe essere al centro dei primi ormai prossimi ed annunciati interventi legislativi, intanto le buone notizie: siamo di fronte ad una vera riforma, se non epocale, almeno nel metodo.
È la prima volta da anni che non si combatte intorno a leggi ad personam o contra personam e i processi eccellenti sono, almeno per ora, lontani dai documenti, dal dibattito e dalle finalità del governo e di chi discute, anche criticamente, sulle cose da fare.
Sempre per la prima volta dopo anni, si tenta un approccio sistematico ed integrato ai problemi della giustizia e se il focus si concentra sulla giustizia civile, un tempo considerata la cenerentola rispetto a quella penale, molto più politicamente sensibile, ce n’è per tutte le giurisdizioni, anzi si comincia, seppur con qualche timidezza, ad intervenire anche sulle giurisdizioni speciali, come prova la proposta di riforma disciplinare della magistratura amministrativa e contabile, mentre quella tributaria vi ha già messo mano con un nuovo regolamento autonomo basato sulla disciplina legislativa esistente.
Altri e più organici interventi, non meno urgenti di quelli del settore civile, dovranno essere programmati nel delicato campo delle magistrature e delle giurisdizioni speciali, ma bisognava pur cominciare da qualche parte.
Altro elemento distintivo rispetto alle riforme degli ultimi anni, il metodo almeno iniziale è stato innegabilmente quello del confronto con tutti gli operatori della giustizia, con le loro associazioni e le rappresentanze istituzionali, comprese quelle forensi; l’obbiettivo è stato di formare per quanto possibile con metodo non traumaticamente conflittuale dei pacchetti normativi il cui contenuto è stato nelle linee guida anticipato con trasparenza dal ministero.
Si vedrà ora quale sarà il percorso parlamentare dei provvedimenti, che dipenderà molto anche dal tipo di intervento che sarà scelto. Le leggi delega sono di regola lo strumento tipico per interventi di tanta ambizione, ma certo sarà necessaria anche una cura d’urto affidata a decretazione d’urgenza.
È stata avviata opportunamente una preventiva fase di verifica politica anche con le forze dell’opposizione, grillini compresi; se poi costoro, ormai palesemente avvitati in una crisi di idee e di reale consistenza politica della leadership, si sono negati ad ogni dialogo non se ne può fare una colpa al governo.
2. La giustizia civile
La complessità della materia e lo stato catatonico in cui versa la giustizia italiana, fra le peggiori del mondo non solo e non tanto per la durata dei processi, mediaticamente più enfatizzata, ma per la parossistica utilizzazione del contenzioso e la sua simmetrica inefficacia, rende il compito assai difficile.
2.1 La (ennesima) riforma dei riti o un unico rito?
Nella materia civile, colpisce che si continui a pensare a nuove modifiche del rito ordinario e a produrre nuovi riti semplificati invece di adottare per tutti i giudizi il solo rito astrattamente rivelatosi efficace, quello del lavoro, introdotto da un ricorso che deve contenere tutti gli elementi del giudizio e contraddetto da un atto simmetrico, rito in cui c’è persino il divieto di disporre udienze di mero rinvio.
Il problema è solo che le udienze, che dovrebbero essere pochissime e decisive,sono invece diluite in anni ed anni.
Ovviamente, ben venga una semplificazione dell’inutile esagerazione nello scambio di atti difensivi, con la precisazione che una fase di ripensamento e di miglior formazione in contraddittorio sia del thema decidendum sia delle richieste probatorie è utile alla futura celerità del giudizio, ad una miglior comprensione della fattispecie da parte del giudice e – cosa tutt’altro che secondaria – alla tutela piena dei diritti del cittadino e del contraddittorio.
2.2 Causa che pende causa che rende, una balla colossale
Il punto fondamentale nella materia civile non sono dunque le risibili accuse di dilazione agli avvocati, forse non estranei a colpe concorrenti minori nel dilatarsi del contenzioso, ma privi oggettivamente di ogni signoria sul processo, che è totalmente in mano ai giudici; il nodo è far giungere la causa prima possibile, con tutti i suoi elementi di contradditorio fra parti, davanti al giudice, che ne deve assumere piena cognizione, decidere quali prove ammettere, stabilire d’intesa con le parti l’agenda con cui assumerle e la data in cui emetterà la sentenza.
Il resto, sono tutte chiacchiere di fazione e minuetti procedimentali destinati a rimanere senza effetti pratici; il vecchio detto «causa che pende causa che rende» non ha più alcun significato, l’avvocato guadagna dai giudizi che si definiscono, non da quelli che non si chiudono mai.
Del resto, i ritardi e l’arretrato sono caratteristica anche della giurisdizione penale, di cui parleremo nella seconda parte del documento, in cui l’avvocato e le parti private hanno ancor meno voce in capitolo nei tempi e nell’organizzazione dei giudizi.
2.3 Rimedi poco robusti?
L’escussione dei testi da parte degli avvocati – prova sempre meno rilevante in se anche nel giudizio civile – è un pannicello caldo; anche il rafforzamento del principio di soccombenza, che già esiste, è poca cosa.
Eventualmente si potrebbero raggiungere effetti deterrenti attraverso l’adozione nel nostro ordinamento dei damages, i danni civili che consentono alle giurie statunitensi di liquidare risarcimenti milionari; la questione è difficile e certamente complessa, ma è certo fin da ora che poche centinaia o migliaia di euro di interessi in più non indurranno il debitore riottoso a divenire trepidamente puntuale.
Il vero problema, che non pare risolto, e neppure affrontato, è come far divenire se non sanzionato almeno esigibile il comportamento tempestivo del giudice ed ovviamente come favorirlo con ogni mezzo processuale ed organizzativo; pare la scoperta dell’ovvio, ma senza di questo nulla si fa.
2.4 L’appello
Certamente vanno contenuti i casi e i tempi dei giudizi d’appello, ora vero e proprio imbuto in cui si parcheggiano per anni i processi; ma anche qui, per evitare delusioni ed illusioni, va detto che già ora è rarissimo che il giudizio di appello sia di lunghezza inusitata perché si ridiscute tanto e di tutto; in realtà, non si discute di niente per anni, a parte la sospensione o meno della sentenza impugnata, che viene trattata celermente per legge.
Il giudizio d’appello è di regola maturo per la decisione già alla prima udienza,dopo lo scambio dell’atto d’appello e dell’atto della difesa.
Rari assai sono i casi di riapertura dell’istruttoria ed anche ora il principio del divieto di introduzione di nuovi elementi nel gravame (che poi non è esattamente in linea con i principi di giustizia sostanziale, che postulerebbero un rimedio sostanzialistico anche alle disattenzioni ed inadeguatezze difensive di primo grado, specie se a danno di una parte sostanziale incolpevole) è applicato pressoché senza eccezioni.
Anche qui, il vero problema è che le decisioni d’appello giungono a distanza di annidai fatti, quando la regolazione della vicenda ha perso di solito interesse attuale per le parti, che accetterebbero di buon grado un giudizio circoscritto nei casi, purché a breve distanza da quello di primo grado che deve sicuramente essere quello completo.
Ma non c’è dubbio che, a pena della sua irrilevanza e se vogliamo mantenerlo nell’ordinamento, il giudizio di appello deve essere un momento di ampia revisione critica del merito del giudizio di primo grado, un controllo della ricostruzione del fatto operata dal giudice di primo grado, del governo delle prove che egli ha fatto e dell’applicazione al fatto di corretti principi di diritto.
2.5 Abrogare l’inammissibilità per infondatezza
L’istituto della “inammissibilità per infondatezza” di recente e controversa introduzione in appello è perciò un errore, foriero di inutili contestazioni, poiché in secondo grado basta la cognizione tipica di ogni giudizio per giungere ad una pronuncia motivata e decisoria di rigetto o accoglimento nel merito, senza lasciarsi dietro l’alone opaco dell’approssimazione sbrigativa nel decidere.
2.6 Motivazione delle sentenze, lunghezza degli atti processuali
Non meno risibili le discussioni sulla motivazione, a pagamento o meno che sia, che secondo principi di rango costituzionale è un diritto del cittadino ricompreso nella nozione di giusto processo, ma anche una logica ed ineludibile conclusione di ogni procedimento valutativo, compreso quello giurisdizionale.
Non è del resto necessario, e nemmeno opportuno, che la motivazione si sostanzi, per malvezzo o mancanza di professionalità, in alluvionali e ridondanti formulazioni.
Il problema, così come quello della lunghezza degli atti processuali, che si tenta ora di far divenire assurdamente elemento di ammissibilità dei medesimi con una ottusa riedizione di arcaiche leggi delle citazioni, è di cultura e qualità degli addetti e della loro formazione.
2.7 Giudizio monocratico in secondo grado?
Nelle proposte il giudizio monocratico d’appello non c’è; anzi prima del pacchetto giustizia è stato già approvato un autonomo provvedimento che aggiunge 400 giudici ausiliari agli organici delle Corti d’appello, con finalità di smaltimento dell’arretrato e senza prevedere alcuna modifica del principio di collegialità del gravame.
Diffusa è la consapevolezza che la collegialità è sicuramente un valore, per più profili tanto ovvi da non meritare enunciazione ed illustrazione.
E tuttavia, essa è più di talvolta una formalità, avendo solo il relatore una adeguata cognizione della causa e la revisione critica di una decisione può ben essere oggetto del lavoro professionalmente adeguato di un nuovo soggetto monocratico; se a ciò aggiungiamo che si liberano così molte risorse umane, introdurre la monocraticità del giudizio d’appello, almeno per alcune materie, apparrebbe possibile ed utile.
3.1 La formazione del giurista
Nelle facoltà e scuole di giurisprudenza, ormai di regola poco efficaci fabbriche di illusioni professionali, non si insegnano salvo commendevoli rare eccezioni né le tecniche di compilazione degli atti e di comunicazione indispensabili nei processi e nella gestione della professione magistratuale, notarile e forense, né gran parte delle materie più attuali e più utili alla formazione del giurista contemporaneo, che rimangono pressoché sconosciute ai giovani laureati.
Come si può pensare che giuristi così formati siano poi in grado di redigere atti appropriati, lunghi quanto necessario, siano essi sentenze, citazioni o ricorsi, di sostenere il difficile dialogo con il cittadino, di contribuire ad una giurisdizione efficiente ed efficace?
Perché è stata frettolosamente accantonata la formazione di una cultura unitaria della giurisdizione che è una delle differenze qualificanti – a suo vantaggio – del sistema anglosassone e statunitense?
4.1 La suprema Corte di cassazione
I giudizi di legittimità, giustissimo, debbono essere veri ricorsi alla Corte suprema, come tali da proporre per questioni di alto profilo.
Non esiste in nessun’altra parte del mondo una Corte suprema che giudica centinaia di migliaia di ricorsi l’anno e che ormai dispone di centinaia di giudici, diventando un terzo grado da un lato dilatorio e causidico e per converso spesso sbrigativo all’eccesso nelle decisioni.
I ricorsi sono diventati grimaldelli per impedire il passaggio in giudicato e la sedimentazione di pronunce sovente di alto impatto economico e per contro i principi di autosufficienza e di concisione e il largo uso dell’inammissibilità sono diventati sbarramenti eretti comprensibilmente come espressione di una politica giudiziaria che il legislatore non è riuscito a fare e che in via surrogatoria la stessa Corte, dimostratasi straordinariamente duttile ed efficiente, ha inteso adottare.
Non sarà facile passare tuttavia dalle enunciazioni di principio alla creazione di un sistema che deve ritornare, seppur riformandolo, alla omogeneità ed al nitore del codice di rito, ormai ingovernabile dopo le contraddittorie novelle succedutesi negli anni.
La stessa funzione nomofilachica, opportunamente insediata nel nostro ordinamento non nella Corte costituzionale, ma nella Corte di cassazione, non può avere un significato se deve emergere da migliaia di procedimenti in cui l’esigenza è sovente, all’opposto, di esercitare un intervento pretorio, di adeguamento sapiente a giustizia di fattispecie trattate troppo superficialmente nelle corti di merito o, per converso, solo di respingere tentativi di reiterata parossistica discussione del fatto.
4.2 Inevitabile il maggior ricorso al rito camerale; ritornare ai quesiti di diritto?
L’ipotesi di un ampliamento e di una maggior efficienza e concisione del giudizio camerale, che pure è inevitabile, e che ha dato buoni frutti – con qualche eccesso – nell’assetto del processo penale di cassazione, non sarà sufficiente e forse si dovrebbe ripensare meno criticamente alla proposizione di veri e propri quesiti di legittimità, che fu sperimentata e poi soppressa forse troppo affrettatamente.
Poter confezionare in maniera più nitida il ricorso è interesse anche dei difensori, visto che il rimedio improprio finora è stato la dilatazione dell’area della pressoché totalmente discrezionale inammissibilità, con cui la Corte ha posto un argine alla dilatazione numerica dei ricorsi.
5.1 La soluzione non giudiziale dei conflitti
Bene anche la previsione di alcuni strumenti di deflazione del giudizio, specie se affidati alla partecipazione attiva degli avvocati, che fra l’altro sono indispensabili a garantire la completezza della difesa e che possono avere nuove competenze simili a quelle riconosciute loro in altri ordinamenti evoluti; date le precedenti negative esperienze, v’è piuttosto da temere una resistenza all’innovazione da parte delle categorie usualmente ostili ed una difficoltà reale a dimostrare ai cittadini l’efficacia degli istituti di deflazione preprocessuali.
Fra l’altro alcune forme di deflazione hanno senso solo se all’avvocato vengono concessi quei poteri da cui scaturisce la pubblicità legale verso terzi degli atti conciliativi, massimamente ai fini della trascrizione degli atti traslativi.
Senza tale possibilità, è impensabile che il cittadino abbia interesse a forme di conciliazione che poi prevedono di affrontare i costi di una separata attività contrattuale e fiscale.
Peraltro,anche qui forse non si è riflettuto a sufficienza sul fatto che non ci dovrebbe essere alcuna resistenza pregiudiziale degli operatori, ma che vi è una scarsa coerenza della deflazione non giudiziale con il sistema giurisdizionale nazionale nel suo complesso.
Avendo scelto, non da ieri, ma da qualche millennio, il principio della non contrattualità della decisione del giudice e della sua funzione e natura di organo statuale terzo, regolatore professionale delle controversie, tanto che anche l’arbitrato comune, ancorché possibile, è sempre stato un istituto residuale del sistema, appare difficile che il cittadino non sia influenzato da questa visione, che del resto si perpetua nelle decisioni di maggior rilievo; anche qui, dunque, una questione anche culturale e di evoluzione prudente degli istituti giuridici, che non può ottenere subito quei risultati che una interessata frenesia mercantile vorrebbe far credere possibili.
6.1 Troppa specializzazione poca prossimità
Suscita perplessità la previsione di giudizi assai specializzati, al limite dello speciale, e concentrati assai sotto il profilo territoriale, per le questioni della famiglia e per le imprese e le società; si tratta di un tema legittimamente caro a chi vede nelle corti altamente specializzate l’occasione per una ulteriore specializzazione e concentrazione in pochi presidi dell’opera professionale della magistratura, ed ai corpi sociali ed economici forti, ben organizzati ad affrontare contenziosi di alto profilo e concentrati in poche sedi giudiziarie, con la speranza di averne anche l’agognata celerità e qualità.
Anche all’interno della categoria forense mentre i grandi studi sono favorevoli a questo tipo di concentrazione dell’attività, che ne esalta la professionalità e le risorse organizzative e territoriali, migliaia e migliaia di professionisti saranno espulsi, se non altro ratione soli, dai mercati più interessanti e più evoluti.
6.2 Il giudice come guardiano del faro
Quanto sia utile però al cittadino comune, ed anche al medio tessuto di imprese e società che operano nel paese, un giudice presente in poche città d’Italia e molto lontano dal cittadino ed anche dall’operatore comune di giustizia non è dato comprendere.
Proprio per la diffusione del tutto meritoria di tecniche ormai interamente informatizzate di proposizione e trattazione dei procedimenti, non si capisce perché l’antica articolazione reticolare del sistema giustizia, adeguata storicamente alla realtà territoriale e sociale del paese, debba essere contraddetta dalla istituzione di pochi presidi ad accesso assai difficile, come è già accaduto, senza assolutamente alcun utilità pratica, per la giurisdizione ordinaria, oggetto di una revisione territoriale che si vuole ampliare alle corti d’appello e di cui non è dato ottenere un rendiconto degli effettivi risparmi e del miglioramento dei tempi, per la decisiva ragione che risparmi e accorciamenti dei tempi non vi sono stati.
Il giudice sarebbe una sorta di guardiano del faro, rinchiuso nella sua torre alta ed isolata sul mare del diritto, intento a lanciare solo agli specialisti come lui, pochi e selezionati, i segnali per tenere le rotte.
Insistere su tale strada significa seguire – come del resto accade in altri campi – idoli contemporanei che sono fra l’altro in pericolosa contraddizione con gli idoli adorati appena qualche anno fa, del federalismo e della sussidiarietà.
Una sintesi virtuosa e ragionata fra le esigenze di concentrazione e di prossimità rimane, anche nell’organizzazione giudiziaria, la miglior soluzione e la trattazione dei giudizi familiari e d’impresa a livello di tribunale provinciale appare adeguata, magari irrobustendo le corti, quando occorre sul serio, con esperti di elevata qualità professionale.
6.2 Per nuovi processi ci vuole (anche) una nuova avvocatura
Contro chi sostiene che le sorti dei processi dipendono anche da una falcidia numerica dell’avvocatura, bisogna reagire promuovendo una nuova avvocatura, diversa nella qualità.
È questa l’ineludibile questione del futuro; finora manca persino la possibilità giuridica di esercizio in forme integrate più moderne della professione forense, non essendo stata esercitata dal governo la delega in materia societaria che già prevedeva innovazioni anche troppo timide, non ci sono adeguate incentivazioni simili a quelle degli altri comparti economici, stentano a trovare attuazione, soffocate dagli interessi corporativi, significative innovazioni in tema di tirocinio, di formazione permanente e di specializzazione.
Ma guai a rispondere con l’arroccamento nella consolatoria trincea di un passato di pochi privilegiati che non ritorna o, viceversa, con singolari battaglie, comprensibili solo nell’attuale difficoltà economica, che paiono finalizzate alla difesa di una sorta di lumpenproletariato forense assai numeroso, incontrollato nella qualità, poco retribuito anche perché in famelica competizione e poco protetto socialmente nel futuro, ma attratto dalla odierna consolatoria promessa di esenzione da oneri categoriali e dal miraggio dell’erogazione di trattamenti previdenziali e sociali per il principio della solidarietà nazionale, invece di puntare sulla solidarietà categoriale ed intercatergoriale fra professioni e sull’elevazione della qualità e della remunerazione generale della professione.
Continuare con fiducia malgrado la crisi ad attuare la riforma forense e scioglierne in nuove norme i punti critici rimasti, promuovere nelle rappresentanze istituzionali ed associative una sempre più robusta cultura di rappresentanza democratica, paritaria nel genere e capitaria, ottenere in positivo che le professioni siano anche impresa per il sostegno che deve essere loro dato, rendere rigorosa la disciplina e forte il controllo deontologico ora che ve ne sono gli strumenti normativi, puntare su forme associate, specializzazione e formazione permanente, partecipare attivamente alla giurisdizione ed al suo controllo, aumentare le occasioni di lavoro per gli avvocati.
Questi gli elementi con cui anche l’avvocatura può partecipare in prima persona alla riforma della giustizia.
6.4 La magistratura onoraria, con tanti oneri e pochi onori
Necessaria anche la prevista riforma della magistratura onoraria, con ranghi opportunamente affidati in via assolutamente preferenziale agli avvocati, previa definizione rigorosa delle incompatibilità, e con l’avvertenza che in questa materia più che le questioni teoriche e di status emergono quelle economiche.
Un magistrato onorario non ben remunerato e privo di adeguate guarentigie anche sociali, come la previdenza, non potrà che essere, nella migliore delle ipotesi, scarsamente incisivo nell’organizzazione giudiziaria.
E invece al momento circa metà degli affari giurisdizionali dipendono dalla magistratura onoraria e non si celebrerebbero più, ad esempio, giudizi penali tutt’altro che bagatellari e gran parte delle ordinarie cause civili.
Non errata anche l’ipotesi di una sorta di rientro della giustizia di pace, non più conciliativa ed atecnica come progettata all’origine, nel sistema giudiziario ordinario; ma anche qui, occorrono mezzi e dotazioni onerose e non solo buone ma inefficaci intenzioni ed una maggiore organicità di rapporti.
L’unicità di una qualificata figura di magistrato onorario utile in tutte le giurisdizioni (si pensi anche a quelle speciali, anch’esse alle prese con lo smaltimento dell’arretrato e la insufficienza degli organici) è un’altra delle condizioni di un buon funzionamento della macchina giudiziaria di tutti i giorni, che ben poco ha a che vedere con quella dei pochi processi eccellenti circondati dall’alone mediatico.
Emerge sempre più la necessità di una figura unitaria di magistrato onorario, professionale ancorché non professionista, a tempo determinato, ma che in quel tempo disponga di un adeguato trattamento, non solo economico, ma anche previdenziale; solo così professionisti di qualità possono decidere di dedicare una parte della loro vita professionale alla giurisdizione; dopo anni ed anni di proroghe, il tempo è ora scaduto e nuovi rinvii non se ne possono fare più.
7.1 Qualche sommessa perplessità sull’Ufficio del processo
Molta enfasi viene posta sull’ufficio del processo, di importazione statunitense, sul quale si possono avanzare alcune perplessità finora essendo stati assai modesti gli effetti osmotici fra i due sistemi giudiziari.
Si tratta di uno di quegli istituti che, essendo totalmente nuovi, saranno giudicati soprattutto se nella loro sperimentazione ed attuazione concreta si sapranno dar loro i caratteri della efficacia e del sostanzialismo; altrimenti – se non ci saranno visibili balzi in avanti della produttività in termini di decisioni e di accorciamento dei tempi – appare alquanto contraddittorio con la realtà concentrare intorno all’attività di assistenza al giudice, che già dispone di buone capacità individuali, ottima retribuzione, strumenti informatici di prim’ordine ed ampia auto-organizzazione, risorse umane così significative.
Vedremo in concreto che cosa faranno gli assistenti e quale prassi auspicabilmente virtuosa sarà introdotta nei singoli tribunali; la sensazione è che, come molte altre riforme, essa funzionerà se ci saranno best practices e specialmente se ad essa ci si avvicinerà con lo spirito con cui già si muovono alcuni capaci magistrati che hanno dimostrato che anche con le sole capacità organizzative e senza novelle legislative si ottengono risultati eccellenti nello smaltimento degli arretrati e nella trattazione dei giudizi.
8.1 Le esecuzioni e le procedure concorsuali, palude e poi cimitero del creditore e del debitore
Un po’ ottimistiche le previsioni relative ai sistemi di miglioramento dell’efficienza dei procedimenti esecutivi, anche mediante una maggiore trasparenza sociale dei beni dei debitori; è prevedibile che l’accessibilità dei beni attraverso le banche dati pubbliche ponga problemi di conflitto con le norme sulla privacy.
Il tutto sarà da verificare in fase attuativa, e lastricherà di ostacoli la strada delle buone intenzioni tracciata nelle linee guida.
Certo è che il processo di esecuzione è giunto al capolinea di una parossistica inefficacia e di un costo smisurato rispetto al beneficio, come del resto, nonostante molti tentativi di miglioramento, tutte le procedure concorsuali e fallimentari, che si intersecano nei casi più complessi e a maggiore rilevanza sociale con le disposizioni in materia di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa; le ipotesi affacciate non risolvono i gravi problemi dei costi e dei tempi delle procedure e della irrisolta necessità di controlli sia giurisdizionali sia amministrativi in tempi compatibili con le esigenze dell’economia e di conservazione per quanto possibile delle potenzialità delle imprese anche in crisi e della loro integrazione.
Sono recenti i contrasti, con forti conseguenze economiche e sociali in riferimento a grandi imprese, fra decisioni dell’autorità di amministrazione straordinaria e tribunali, così come appare assai singolare che uno dei settori in maggior crisi e di più alta rilevanza sociale, quello delle banche, sia sostanzialmente sottratto al controllo di legittimità magistratuale, se non nella tardiva e non riparatoria sede penale ed affidato ad interventi di natura essenzialmente amministrativa e privi di adeguata motivazione, ancorché esercitati dalla prestigiosa banca d’Italia; ogni intervento, purché nella direzione giusta della semplificazione sostanzialistica e dell’aumento delle garanzie di controllo effettivo ed unitario, non potrà comunque che essere salutato con favore.

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