Corriere della Sera 26/08/14
Quando il 29 giugno, primo giorno di
Ramadan, Abu Bakr Al Baghdadi ha annunciato la nascita del califfato
nello Stato Islamico, molti — anche tra i musulmani — hanno
ritenuto l’evento irrilevante rispetto alla tremenda avanzata del
movimento jihadista e alle sue stragi di minoranze (e non solo) in
Siria e in Iraq. «Ma perfino i teologi musulmani sono rimasti
spiazzati dalla proclamazione del califfato. Soprattutto in Europa è
stata ritenuta ridicola, una parodia e una strumentalizzazione di
un’istituzione dichiarata decaduta già all’inizio del ‘900: è
come se qualcuno dichiarasse oggi la rifondazione del Sacro romano
impero d’Occidente —, spiega l’imam Yahya Pallavicini,
vicepresidente della Comunità religiosa islamica italiana —.
Quanto al mondo arabo, dalla “primavera” è iniziata una fase di
caos anche a livello teologico, con divisioni accresciute tra i
sapienti. Anche se nessuno, nemmeno tra i salafiti più puritani,
riconosce Al Baghdadi come califfo: se ha convinto qualcuno, temo
purtroppo anche in Italia, è stato a livello individuale perché
promette “riscatto” all’Islam, in modo ovviamente distorto, non
per i suoi presunti titoli». L’allarme per l’attrazione
esercitata dallo «Stato Islamico» è cresciuto in Europa dopo
l’assassinio dell’americano James Foley per mano o comunque con
la complicità di un jihadista britannico, il fantomatico «John».
Il governo di Londra si è appellato agli imam anti-estremisti per
«sradicare i semi del fanatismo», denunciando nelle moschee la
follia criminale di Al Baghdadi. Le comunità musulmane stanno
rispondendo, anche in Italia, dove ieri l’imam di Milano Abdullah
Tchina ha preso chiare distanze «da quegli atti irresponsabili che
danneggiano l’immagine della nostra religione». Molti temono tra
l’altro una nuova ondata di indistinta islamofobia, ricordando
quella seguita all’11 settembre. Ma è soprattutto dalla complessa
galassia dei teologi e giuristi musulmani che stanno arrivando sempre
più «anatemi» contro l’uomo — disconosciuto perfino da Al
Qaeda perché troppo brutale — che ha osato fregiarsi del titolo di
«successore» (in arabo: khalifa) di Maometto. L’ultimo risale a
domenica: Dar Al Ifta, la massima autorità giuridica islamica
dell’Egitto (una sorta di Al Azhar legale), ha respinto non solo la
legittimità del «neocaliffato» ma perfino il suo diritto a
chiamarsi «Stato Islamico». E ha lanciato una campagna su Internet
e sui media perché si aboliscano quelle parole e le sigle correlate:
Isis, Isil, o Is che siano. «Piuttosto — ha proposto l’istituzione
—, usiamo l’acronimo “Sqis”: Separatisti di Al Qaeda in Iraq
e in Siria, più adatto a definire quei criminali che distorcono
l’Islam e seminano l’odio». Condanne al «proto-Stato» che
vuole riunire la terra d’Islam sotto la bandiera nera della jihad
(in versione Al Baghdadi) sono arrivate da tutti i leader dei Paesi
islamici, singolarmente e attraverso l’Organizzazione della
cooperazione islamica (Oci) che riunisce 57 nazioni. «Quanto sta
avvenendo nulla a che fare con l’Islam, d’islamico quello Stato,
che Stato non è, non ha niente», è il messaggio comune. Più
sottili e rigorosamente teologiche le prese di posizione di Yusef
Qaradawi, l’anziano e influente sheikh egiziano vicino alla
Fratellanza ed esule in Qatar (dove è una star di Al Jazeera), capo
dell’Unione internazionale dei ulema musulmani. «Stato Islamico?
Califfato? Sono denominazioni nulle e illegittime per la Sharia —
ha detto, citando varie sure del Corano —. Un califfato è basato
sulla “shura”, la concertazione, non sulla coercizione. Un
califfo è tale perché scelto dalla comunità». Dichiarazioni e
giudizi che i media tradizionali e i social network arabi stanno
diffondendo, nel tentativo di contrastare la sofisticata propaganda
dei seguaci di Al Baghdadi, molti dei quali cresciuti in Occidente e
ben più abili in questo dei predecessori qaedisti. Qualche analista
si chiede quanto avrà successo la controffensiva mediatica. Ancora
più numerosi però sono quelli che continuano a ritenere
irrilevanti, o comunque secondarie, le questioni teologiche rispetto
all’avanzata militare dello «Stato Islamico». O come lo si voglia
chiamare.
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