Rude Francesco Calvo
Il messaggio del premier alla Festa
dell'Unità riassume la sua idea di Pd e rinnova la sfida a "gufi
e rosiconi"
Come sarà la prima Festa dell’Unità
targata Matteo Renzi? Innanzi tutto, è – come ampiamente
anticipato – una festa che torna a chiamarsi “dell’Unità”,
che può esprimere cioè «l’orgoglio per le nostre radici»,
chiarendo che le radici sono plurali, sono quelle delle «culture che
si sono mescolate nell’impasto unico del Pd; quelle della sinistra,
della sua tradizione, del cattolicesimo democratico, del liberalismo,
dell’ambientalismo». Se solo una di queste è sembrata prevalente
negli anni scorsi – si legge in filigrana nel saluto inviato da
Matteo Renzi alla Festa – adesso non sarà più così.
Il testo scritto dal premier-segretario
è tutt’altro che rituale. Anzi, è denso di contenuti politici. Il
filo rosso è quello che parte proprio da questo rinnovato Pd, da
quello che oggi «è guardato in tutta Europa, e non solo, come un
riferimento, talvolta indicato come modello dai nostri partner
socialisti (nostri, perché proprio “questo” Pd è entrato nel
Pse, ndr), come in passato facevamo noi con il New Labour britannico
o la Neue Mitte tedesca».
Il riferimento a Blair e Schroeder è
una chicca che Renzi si concede e che però trova fondamento non solo
in questa carica innovativa riconosciuta da più parti, ma anche e
forse soprattutto in quel risultato delle elezioni europee del tutto
inatteso. «Il 40,8 – il più grande risultato da 48 anni – ci ha
consegnato una enorme responsabilità. L’orgoglio, certo, di una
sinistra, di un partito che sa vincere, e vince». La rottura con il
passato è di linea, allora, ma si legge soprattutto nei numeri.
Numeri che, però, Renzi vuole far
pesare non tanto per un regolamento di conti interno, quanto
piuttosto nel confronto aperto – e che nel consiglio europeo di
sabato avrà un passaggio molto importante – con i partner
continentali e internazionali in genere. E con i “gufi e rosiconi”
di casa nostra: «Ogni tanto – scrive il premier – qualcuno ci
viene a fare la lezione sulle priorità, che noi abbiamo ben chiare».
Quali sono? Quelle che «riguardano, complessivamente, l’assetto
dell’Italia, la sua capacità come comunità di fare fronte agli
impegni presi e alle sfide di una competizione globale, alla nostra
storia e al futuro di un grande paese europeo, tanto più nel pieno
del nostro semestre di presidenza dell’Unione. È questo –
specifica – il senso dei mille giorni, che i soliti noti (eccoli i
“gufi e rosiconi”, ndr) hanno voluto leggere come un
rallentamento della nostra azione di cambiamento, e invece ne
costituisce l’orizzonte, la profondità, l’intensità di un
mandato di legislatura».
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