Corriere della Sera 03/08/14
Quando non era in giro per l’Italia
per una delle sue innumerevoli conferenze, padre Ernesto Balducci lo
si incontrava nella sua Firenze, una delle città culturalmente più
vivaci del dopoguerra. Aveva vissuto a lungo a Roma, prima per motivi
di studio, poi come «esiliato», causa la stretta consonanza di
vedute con il sindaco Giorgio La Pira. Al mattino insegnava nel liceo
degli Scolopi e il pomeriggio animava gruppi giovanili, partecipava
alla intensa vita culturale della città, dirigeva Testimonianze , la
rivista da lui fondata, scriveva i suoi numerosi e richiesti
articoli, animava iniziative a favore dei poveri. E pregava. Aveva
cominciato come letterato, con il programma di essere «poeta e
apostolo», come risulta dal suo diario giovanile, ricevendo
incoraggiamenti dal Papini, che aveva apprezzato le sue prime prove.
Sarà quell’immancabile e particolare tocco poetico che renderà
seducente il suo dire, qualsiasi fosse l’argomento affrontato. Era
diventato una delle personalità più in vista della Chiesa italiana.
Tanto che il cardinal Montini l’aveva chiamato tra i predicatori
della missione di Milano. I suoi orizzonti si erano aperti con
l’incontro di due straordinarie personalità: Giorgio La Pira che
lo porterà ad immettersi attivamente nel campo sociale e Papa
Giovanni, che, con l’indizione del Concilio, lo immergerà negli
appassionanti problemi del rinnovamento della Chiesa. Ma i tempi
cambiavano e le frontiere si spostavano rapidamente. E Balducci si
sentiva uomo di frontiera. Dalla letteratura all’impegno sociale,
dalla spiritualità alla profezia o, meglio «dall’asse ascetico
all’asse messianico», secondo le sue parole. E poi ancora: dalla
teologia all’antropologia e all’impegno politico. Seguito dai
giovani, inseguito dai media, accolto a braccia aperte dalle
sinistre, negli anni della contestazione o del dissenso cattolico,
suscitò riserve in campo ecclesiastico e prese dl distanza tra amici
che guardavano con preoccupazione il suo candore profetico in campo
politico. Ma la sua personalità era ben più complessa e ricca. Ci
vedevamo spesso per motivi editoriali,oltre che per amicizia. Un
giorno, di fronte ad alcune mie perplessità, mi disse tranquillo:
«Vedrai che saremo ancora noi cristiani a salvare il comunismo, come
abbiamo salvato altri movimenti storici». E così dicendo entrò in
una pasticceria per poter festeggiare un anniversario di uno dei
confratelli della sua comunità, alla quale era molto affezionato e
alla cui vita partecipava cordialmente. E in un momento in cui alcuni
amici avevano lasciato lo stato sacerdotale, mi confidava: «io non
lo farò mai, perché so che la fede di molti è legata alla mia
fedeltà. Prega perché il Signore mi aiuti». La sua avventura
culturale e spirituale si concluderà coll’affrontare i grandi temi
della pace e dell’uomo planetario, in cui si buttò, come sempre,
con piglio profetico e afflato poetico, da uomo di cultura e di fede.
Ma soprattutto con lo slancio della speranza. Una speranza
messianica, protesa verso realizzazioni storiche ed escatologia
cristiana. «La mia, scriverà, è un’iscrizione della razionalità
comune dentro il cerchio di un’orizzonte che ha misure ben più
vaste di quello della ragione: è lo stesso orizzonte dell’uomo
possibile su cui batte la stessa luce che illumina il mio sguardo
contemplativo»
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