Corriere della Sera 27/08/14
Davide Frattini
Al cessate il fuoco numero 12, Hamas dà
il via libera per celebrazioni nelle strade di Gaza, spari di
kalashnikov in aria e colpi di clacson dalle auto in corteo. È il
segno che questa volta la tregua potrebbe resistere, è il simbolo di
quanto l’organizzazione fondamentalista controlli le informazioni
che vengono veicolate ai palestinesi di Gaza.
L’intesa
ottenuta dai mediatori egiziani — per quel che emerge — non
sembra diversa dalle concessioni che i capi del movimento avrebbero
potuto ottenere una settimana fa o addirittura dopo una settimana di
conflitto. Senza gli oltre duemila morti e la distruzione massiccia,
intensificata in questi ultimi giorni. Eppure bisogna gridare
vittoria, perché adesso è questione di sopravvivenza politica, dopo
aver dimostrato di poter resistere (almeno per cinquanta giorni)
all’esercito israeliano.
La Striscia ha bisogno di aiuti
urgenti, la ricostruzione deve cominciare al più presto (di questo
parla per ora l’accordo: una riapertura dei valichi che permetta il
flusso di materiali). Abu Mazen, il presidente palestinese, vuole
essere incaricato di controllare quel che entra e quanto in fretta, è
il ruolo che i generali egiziani stanno provando a garantirgli, una
mossa per ridargli — in parte — potere a Gaza, da dove i
miliziani fondamentalisti lo hanno estromesso sette anni
fa.
Benjamin Netanyahu, il premier israeliano, ha ripetuto fin
dalle prime ore del conflitto che la formula per uscirne sarebbe
stata «la calma per la calma». Per questo gli israeliani hanno
accettato i tentativi successivi — e falliti in successione — per
fermare gli scontri ed è per questo che l’aviazione non riprenderà
i bombardamenti se i lanci di razzi da Gaza non ripartiranno. Adesso
il premier dovrà guardarsi da altri colpi, quelli politici, che i
ministri del suo governo hanno cominciato a sparare contro di lui
durante la gestione della guerra.
Gli analisti già parlano di
elezioni anticipate.
Nessun commento:
Posta un commento