Corriere della Sera del 01/08/14
Manuel Bonomo
Sono partiti dalla loro terra due anni
fa, ora hanno chiesto asilo Per Brescia con un connazionale: il primo
gelato e il centro commerciale
Il primo treno. Il primo gelato. La
musica afghana a un internet point della stazione. Un grande centro
commerciale. Un nuovo amico che ti porta a spasso per Brescia e ti
parla nella tua lingua. E niente guerra. Solo qualche starnuto da
raffreddore e un po’ di mal di denti. Bazzecole. È proprio un
miracolo. Abulfasl, Amir e Habib sono dei veri e propri sopravvissuti
a un’odissea durata oltre due anni, una fuga disperata da un
Afghanistan in guerra totale, che li ha portati sino a qui. A un
«lieto» fine. Perché anche se lontani anni luce da casa e
famigliari, i tre ragazzi sono ora perlomeno al sicuro, accolti
presso la casa «Fatebenefratelli», diretta da Massimo Postini.
Quanti anni hanno? Bella domanda. «Abbiamo 15, 16 e 17 anni» hanno
detto loro. «Almeno 18» è il responso delle radiografie del polso
effettuate in Poliambulanza. A Postini, poco importa: «Li abbiamo
ricevuti in consegna come maggiorenni richiedenti asilo e li
accudiremo nel migliore dei modi fino al riconoscimento dello stato
di rifugiato». Rifugiati, certo. Perché il loro punto di partenza è
la guerra. Per questo i genitori li hanno spinti a fuggire e mettersi
in viaggio. Due anni e cinquemila chilometri fa. «Abbiamo fatto
quasi tutto a piedi — hanno raccontato i ragazzi — attraversando
prima di tutto le montagne che separano l’Afghanistan dall’Iran.
Siamo fuggiti per non morire». Poi è stata la volta della Turchia.
Che è immensa se percorsa da est a ovest. Lì, uno di loro sarebbe
riuscito a comprare un cellulare per dare un colpo di telefono a
casa: era la prima volta che si metteva in contatto con i propri cari
dopo oltre un anno. Giusto uno spiraglio di luce prima di arrivare in
Grecia via nave e venire arrestati tutti e tre dalla polizia, per
finire sbattuti in cella per 8 mesi. Dopo la Grecia, l’Italia.
Raggiunta viaggiando sotto a un camion. C’è chi dice nascosti
nella cassetta degli attrezzi e chi sdraiati sopra le balestre. Forse
via terra o con un traghetto. «Ma sono tutti dettagli irrilevanti
-commenta Postini- di cui nessuno ha la certezza». È invece certo
che martedì sera sono stati visti sbucare da sotto un camion
all’autoparco di Brescia Est da una pattuglia della Polizia
Stradale. Erano ovviamente sfiniti e malridotti. Hanno trascorso la
notte in Poliambulanza e mercoledì sono stati accolti dalla
«Fatebenefratelli». I tre ragazzi vengono dalle provincie afghane
di Ghazni e Bamiyan, dove si parla la lingua persiana moderna, il
farsi (o meglio, il darì, come la chiamano gli afghani). «Purtroppo
nessuno dei nostri ragazzi parla il farsi — spiega Postini — ma
tra inglese e pachistano (urdu) ci siamo capiti. Anche perché ora la
comunicazione verte su argomenti semplici ed essenziali, che
accomunano tutti coloro che sono appena arrivati: salutarsi,
mangiare, bere, dormire, lavare, vestirsi». Ieri i ragazzi hanno
però trovato anche il modo di chiacchierare. È infatti venuto in
loro soccorso Omar (nome di fantasia), un ragazzo afghano minorenne
ospite presso la comunità di San Giovanni, guidata da Walter
Meschini, con cui Postini e «Fatebenefratelli» hanno un ottimo
rapporto di collaborazione. «Ieri mattina hanno anche parlato per la
tivù — dice Meschini —. Ma ora basta però, è tempo di
lasciarli riposare e riprendere da tutto il caos che hanno vissuto».
Perché tra qualche giorno sarà ora di cominciare a studiare (se non
altro l’italiano: Habib avrebbe la quarta elementare, mentre Amir e
Abulfasl sarebbero analfabeti) e di intraprendere qualche attività,
per sentirsi attivi e partecipi del proprio nuovo presente. Il
pomeriggio di ieri è stato all’insegna della compagnia, lontani da
ogni assillo. Abulfasl, Amir, Habib e Omar — stessa guerra, stesso
viaggio, stessa sorte — a spasso per Brescia mangiando il primo
gelato e ammirando il primo treno alla stazione. E raccontandosi
chissà quali cose. Forse di guerra e di sofferenze. O forse niente
di tutto questo, bensì di sport e di cibi preferiti, di ragazze e di
film in tivù. Di cose normali, insomma.
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