Bonaccini contro Richetti, due amici e due renziani nelle primarie
per la candidatura alla Regione. Dove è sempre piaciuto il rinnovamento
nella continuità, ma è arrivato il tempo che il primo prevalga sulla
seconda. Chiunque vinca.
Ne hanno parlato per mesi e su un punto sembravano essere
d’accordo: la selezione del candidato del Pd al governo dell’Emilia
Romagna non avrebbe potuto e dovuto risolversi con uno scontro
fratricida. Non per buonismo, ma perché sarebbe stato difficile far
capire agli elettori le differenze politiche tra Stefano Bonaccini e
Matteo Richetti, amici personali, entrambi del Modenese, personaggi
chiave del momento topico dell’avvento di Renzi alla guida del Pd.
Invece finirà proprio così, perché la politica è sanamente fatta
anche del confronto fra ambizioni personali di uomini e donne che hanno
diritto a coltivare e perseguire i propri sogni. E sia Bonaccini che
Richetti sono cresciuti nel consiglio regionale che ora vorrebbero
guidare. Entrambi hanno contribuito prima ai successi della lunga epoca
Errani e poi al rovesciamento di quel paradigma, almeno a livello
nazionale. Negli anni ruggenti delle Leopolde, Richetti era “l’emiliano”
per definizione, tra i pochissimi, della squadra di Renzi. Il quale
però vinse in anticipo le primarie del dicembre 2013 nell’estate
precedente, quando Bonaccini (dopo essersi staccato da Bersani durante
le votazioni drammatiche sul Quirinale) lo introduceva nelle Feste nella
sua veste di segretario regionale, da Carpi a Bosco Albergati a Borgo
Sisa vicino Forlì, in autentici, sbalorditivi e già risolutivi bagni di
popolo.
I tentativi di mediazione su una candidatura “unitaria” non sono
riusciti. Il motivo è nel Pd medesimo: un partito che è andato ormai
troppo oltre, sulla contendibilità interna, perché si possano escogitare
facili soluzioni condivise, a meno che tutti (ma proprio tutti) gli
attori sulla scena non vi si ritrovino.
In questo caso, anche con la candidatura “unitaria” di Daniele Manca
ci sarebbero stati comunque altri nomi in corsa, e poi non sarebbe
giusto dimenticare l’oggetto vero della contesa. Che non è una posizione
più o meno avanzata nella galassia renziana (come invece la vicenda
verrà in parte raccontata), bensì il governo dell’Emilia Romagna: cioè
una Regione chiave non (solo) per il Pd ma per il presente e il futuro
dell’Italia. Un luogo e un partito geneticamente propensi al famoso
“rinnovamento nella continuità”, dove evidentemente è arrivato il
momento di far prevalere il primo sulla seconda, come dimostrano anche i
risultati elettorali di Cinquestelle.
In questo senso non è male che il confronto sia tra due renziani.
Sì, è vero, Richetti giocherà la carta dell’antemarcia, oltre tutto
non essendo un ex comunista (è cresciuto alla scuola di Pierluigi
Castagnetti). Mentre Bonaccini si farà forte del lavoro svolto da
segretario del partito, del successo della fusione tra il Pd “di prima” e
il Pd “di oggi”. Il primo parlerà più da rottamatore, sul secondo
confluiranno forse i famosi apparati ex bersaniani. Ma entrambi sono
stati protagonisti di una rottura a livello nazionale che a livello
regionale non s’è mai effettivamente completata (secondo Richetti,
neanche iniziata), e di cui si sente gran bisogno: dunque sono obbligati
a competere su chi sia più credibile nell’innovazione, non nella
conservazione.
Il gusto giornalistico si appunterà sulla prima grande vera divisione
nel mondo di Renzi. Probabilmente sarà proprio il segretario-premier a
spegnere questa malizia, per quanto avesse sperato in un’altra
soluzione. Perché in realtà da oggi in poi ogni competizione interna al
Pd sarà “tra renziani”, anche se con storie diverse alle spalle, e sarà
giusto risolverla con primarie aperte agli elettori.
Se per esempio Bonaccini dovesse prevalere, e farlo dopo una campagna
all’insegna della novità, sarebbe impossibile parlare di una vendetta
della vecchia nomenklatura: quella stagione è ormai passata, il
problema casomai è proprio chiuderla definitivamente anche a livello
territoriale, e farlo in una regione molto riformista ma mica tanto
rivoluzionaria.
Richetti sente intorno a sé entusiasmo, non si dà per battuto anche
se riconosce di partire in svantaggio. In ogni caso per lui queste
primarie saranno un importante momento di crescita, confermandolo oltre
tutto come un renziano molto autonomo da Renzi (come è sempre stato, a
prescindere dalle voci su incarichi nazionali promessi o negati).
Bonaccini sa di dover evitare l’effetto macchina del tempo, come se
si girasse un remake alle primarie Renzi-Bersani. Dovrà guardarsi da
candidati terzi come Palma Costi. Come per il suo amico-rivale, ricevere
la staffetta da Vasco Errani è sempre stato un progetto di vita, solo
che per farcela dovrà mettere nelle primarie tutto il suo “renzismo”,
con l’obiettivo di divenire una delle colonne nazionali del sistema di
governo del Pd.
Per vedere chi vincerà torneremo lì dove il rottamatore cominciò a
tramutarsi in segretario. Nella culla del Pci dove il Pci
definitivamente morì. Nella regione che sempre ha deciso le sorti della
sinistra italiana. Sarà in Emilia Romagna che assisteremo alla prima
conta interna del Pd 2.0.
Nessun commento:
Posta un commento