sabato 2 agosto 2014

Rappresentanza sindacale e cogestione all’italiana.


Franco Gheza

La più grande associazione italiana, per numero di iscritti, è quella del sindacato dei lavoratori. La più grande anche in Europa. Storicamente ha rappresentato un fiume di partecipazione per dare dignità al lavoro e per difendere la democrazia. Come ha fatto durante gli anni di piombo. Ma quando, oggi, i giovani iscritti al sindacato sono solo una esigua minoranza bisogna riconoscere che la crisi della partecipazione ha colpito non solo la politica, ma anche il sindacato. Quale è il peso specifico della rappresentanza sindacale? Ne tratta l’ultimo accordo interconfederale del 10 gennaio scorso, perché il numero delle tessere sindacali fornito dalle Confederazioni non era sempre attendibile. E perché il numero dei sindacati in Italia, come il numero delle Congregazioni religiose femminili, non lo conosce neppure il Padreterno. I mille e cinquecento dipendenti della Camera dei deputati hanno a disposizione un ventaglio di undici sindacati diversi. In Germania tutto è più semplice. L’intero mondo del lavoro produce otto sindacati unitari di categoria che, a loro volta, danno vita ad una sola grande Confederazione tedesca, la DGB. Inoltre, le norme che regolano i sindacati sono contenute nella Costituzione e in due sole leggi, quella sulla partecipazione nelle imprese e quella sulla contrattazione collettiva. Per tutto il resto il sindacato funziona come una normale associazione di diritto privato. In ogni reparto i “fiduciari” raccolgono il contributo degli iscritti e, tramite la rappresentanza sindacale, partecipano alle decisioni. Da loro il Consiglio di fabbrica funziona come un consiglio di gestione. Anche da noi, nel dopoguerra, ha funzionato il sistema duale delle Commissioni interne e delle Rappresentanze sindacali unitarie. I “collettori” raccoglievano mensilmente il contributo sindacale e animavano la vita associativa, mentre le Commissioni interne venivano elette da tutti i lavoratori e difendevano i diritti di tutti. Ma dopo gli anni cruciali del 1948 e del 1968 l’ideologia e il pluralismo sindacale hanno prodotto continui cambiamenti e una notevole complessità. E ora siamo arrivati al nodo della riforma della partecipazione e della rappresentanza nei luoghi di lavoro. Tuttavia le norme contenute nel Testo unico degli accordi interconfederali (giugno 2011 e maggio 2013) non sembrano brillare di grande lungimiranza. Anzi, per quanto riguarda il capitolo della rappresentanza sindacale si pratica una sorta di cogestione all’italiana. Non è il sindacato infatti che conta i propri iscritti, che raccogliere il contributo della tessera, che garantisce in questo modo la propria autonomia associativa. No, le nostre Confederazioni sindacali affidano ai datori di lavoro, all’INPS e al CNEL la raccolta delle deleghe, delle trattenute in busta paga, del conteggio delle elezioni sindacali in fabbrica. Il testo è bilingue: politichese e sindacalese. Un esempio: “I dati raccolti dall’INPS saranno trasmessi al CNEL che li pondererà con i consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle R.S.U. da rinnovare ogni tre anni”. Non sappiamo che fine farà il CNEL, ma a pagina 6 del Testo unico si continua: “Entro il mese di aprile il CNEL provvederà alla ponderazione del dato elettorale con il dato associativo – con riferimento ad ogni singolo c.c.n.l. – determinando la media semplice fra la percentuale degli iscritti (sulla totalità degli iscritti) e la percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni r.s.u. sul totale dei votanti, quindi, con un peso del 50% per ciascuno dei due dati”. Le regole sulla rappresentanza hanno uno scopo nobile: verificare quale sia il sindacato che raggiunge la maggioranza del 50% più 1, oppure la maggioranza relativa, oppure la soglia del 5% sotto la quale i piccoli ma … fastidiosi Sindacati di base devono star fuori dai tavoli della contrattazione. Ma il punto più delicato per la legittimazione del sindacato riguarda la libera scelta e la responsabile adesione dei lavoratori. Questo fondamento o, se si vuole, questa base della coscienza di classe si alimenta con l’interazione personale, tra compagni di lavoro, come continuano a fare i “fiduciari” in Germania e come facevano i “collettori” in Italia prima che arrivasse lo statuto dei lavoratori. Nelle fasi ideali del sindacato non era raro trovare uomini che, pur ricoprendo ruoli delicati di dirigenza aziendale, praticassero l’adesione alla causa dei compagni di lavoro versando la quota tessera direttamente presso la sede del sindacato. Oggi la delega la rileva il datore di lavoro e viene riscossa tramite l’INPS. Per tornare alle motivazioni ideali e agli autentici interessi dei lavoratori non bisognerebbe avere paura di adesioni al sindacato che scadono automaticamente ogni anno e che liberamente si rinnovano, oppure che scadono e si rinnovano almeno ad ogni firma del contratto nazionale di lavoro.

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