domenica 3 agosto 2014

L’Errore di Reintrodurre le Preferenze 
un Tentativo che è Farina del Diavolo.


Corriere della Sera 03/08/14
Angelo Panebianco


Solo un Paese afflitto da amnesia storica può discutere sul serio della possibilità di reintrodurre le preferenze. Sarebbe come voler rimettere in piedi il commercio delle indulgenze mentre ancora non si sono smaltiti tutti gli effetti del terremoto luterano. Colpevolmente immemori di che cosa siano state, e di quali funzioni svolgessero, nella cosiddetta Prima Repubblica, le suddette preferenze, i politici sembrano davvero intenzionati a ripristinarle. Se non fosse che ci andrebbe di mezzo l’intero Paese verrebbe voglia di limitarsi a osservarli con curiosità mentre meditano questa singolare forma di suicidio collettivo.

Non è un caso che nelle democrazie occidentali che utilizzano il sistema elettorale proporzionale viga la lista bloccata, non le preferenze. Poiché le preferenze non sono affatto, come pensano gli ingenui e come recita una propaganda interessata, un modo per «dare al cittadino la possibilità di scegliere». Le cose funzionano assai diversamente. Le preferenze sono lo strumento mediante il quale i candidati, e gli eventuali gruppi di interesse nazionali o locali che li appoggino, entrano in competizione con gli altri candidati del loro stesso partito. Con le preferenze, alla lotta (esterna) fra i partiti viene in larga misura sostituita la lotta (interna) fra i candidati del medesimo partito. Questa distorsione permanente del gioco democratico indotta dalle preferenze non è l’unica conseguenza grave ma è certamente la più grave.

Però, dicono i nostalgici della Prima Repubblica, in Italia abbiamo avuto le preferenze per decenni, fino ai primi anni Novanta. Vero, ma si davano allora due condizioni che non esistono più. La prima condizione era rappresentata dal fatto che il sistema politico era bloccato, non c’era possibilità di alternanza (i comunisti non potevano vincere). In un sistema privo di alternanza, con i democristiani e i loro alleati ininterrottamente al governo, le preferenze funzionavano da surrogati. Non potendoci essere vera competizione per il potere fra maggioranza e opposizione, le preferenze servivano soprattutto a garantire competizione (e alternanza) fra le correnti e i gruppi interni ai partiti di governo.

Ma c’era anche una seconda condizione che oggi non esiste più (anche se fra i politici attuali ci sono diversi aspiranti suicidi che preferiscono ignorarlo): il voto di scambio non era reato. Nessuno poteva essere penalmente perseguito per voto di scambio. E le preferenze erano per l’appunto il principale meccanismo di raccolta del voto di scambio. Ma davvero, reintroducendo le preferenze, volete fare un così grande piacere a tutti quelli che godono quando vedono politici inquisiti o, meglio ancora (dal loro punto di vista), in galera?
Il voto di scambio, all’inizio però con forti limitazioni (riguardava allora solo il caso dei rapporti mafia-politica), è diventato reato in Italia nei primi anni Novanta. Ma la legge Severino sulla corruzione, approvata ai tempi del governo Monti, ne ha ora allargato notevolmente l’ambito di applicazione. Chiunque parli oggi di preferenze farebbe bene a leggere con attenzione quella legge. Si noti per giunta che la criminalizzazione (in senso letterale: la penalizzazione, la trasformazione in reato penale) del voto di scambio, è avvenuta in un Paese che, per ragioni culturali, non è mai stato capace di chiarire a se stesso quale sia il confine fra il lecito e l’illecito, fra la normale, normalissima (svolta da tutti i Parlamenti democratici) rappresentanza degli interessi, e la corruzione parlamentare. La prova di questa incapacità culturale è data dal fatto che l’Italia non è mai stata in grado di regolamentare il lavoro delle lobby . È in un Paese siffatto che volete reintrodurre le preferenze? In tempi, oltre a tutto, di grande attivismo giudiziario? Soprattutto i partiti con vocazione governativa, i partiti che hanno ottime probabilità di andare al governo, dovrebbero tenersene alla larga. Quanto tempo dopo le elezioni comincerebbero a fioccare gli avvisi di garanzia per i politici entrati in Parlamento con un bel gruzzolo di preferenze? I leader nazionali, certamente, prenderanno tante preferenze «spontanee» e nessuno li accuserà di voto di scambio. Così come accadrà a qualche esponente di movimenti di protesta. Ma che dire delle seconde, terze e quarte file dei partiti di governo, di quei tanti signor Nessuno che risulteranno molto bravi nell’organizzazione del consenso?

Il vero scopo politico di chi vuole le preferenze è chiaro: tentare di indebolire i leader più forti, e in particolare Renzi, impedire loro di dare vita, alle prossime elezioni, a gruppi parlamentari a propria immagine e somiglianza. Ad esempio, grazie alle preferenze, la Cgil può sperare di fare eleggere nel Pd qualche candidato in più fra i propri a scapito dei renziani. Analogo discorso vale per altri gruppi organizzati (oltre che per diversi notabili esperti nella raccolta di voti) sia a sinistra che a destra. Lo scopo è evidente ma i costi collettivi sarebbero elevati. Anche a tacere del grande spreco di denaro che la lotta per le preferenze porta con sé, e di tutte le altre disfunzioni connesse, non ci serve una democrazia nella quale i candidati più prudenti siano costretti ad impegnarsi nella campagna elettorale accompagnati dai loro avvocati .




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