venerdì 15 agosto 2014

«Le lobby bloccano tutto 
È urgente intervenire 
su burocrazia e imprese».


Corriere della Sera 15/08/14
Paolo Conti

Monsignor Nunzio Galantino, segretario della Conferenza episcopale italiana. Un Ferragosto difficile per l’Italia e per il mondo. Oggi la Chiesa chiama i fedeli a pregare per i cristiani perseguitati nel mondo, e quindi anche per la tragedia irachena. Come la vive l’opinione pubblica?
«C’è un dolore partecipato. E un forte disagio: il disappunto perché la condanna di certe atroci violenze è arrivata tardi, si è fatta attendere. La gente ora si interroga sul perché di tanto silenzio. Ci sono le esortazioni alla preghiera. Ma evidentemente non bastano. Occorre agire concretamente».

Cosa pensa della posizione del governo italiano: no all’intervento militare ma sostegno al Kurdistan iracheno?
«Il governo italiano sta cercando di posizionarsi tra tante opzioni. Quella di chi dimentica l’insegnamento della storia e preme per combattere una nuova guerra contro il cosiddetto Califfato dell’Isis: ma la democrazia non si esporta con le armi, e bisogna vedere se quel nostro concetto coincide con le aspirazioni locali. C’è la scelta degli Stati Uniti con i bombardamenti selettivi. C’è un tipo di fondamentalismo, ahimè, anche qui in Occidente che vorrebbe cogliere l’occasione per distruggere ogni dialogo col mondo musulmano, quasi che la convivenza fosse impossibile, paventando addirittura un’Europa già conquistata. E c’è chi spinge per un sostegno a Israele, ritenuto l’unico contrappeso nell’area, dimenticando le ragioni palestinesi. Ma se non si sostiene il governo iracheno e l’unità dell’Iraq, se si lascia spazio alla sua frammentazione in tre Stati, davvero i cristiani saranno condannati a sparire dall’area. Invece hanno il diritto di restare dove sono nati e vissuti per secoli».

Ed eccoci all’Italia. Come vede la stagione delle riforme?
«Le riforme sono l’incontro tra i principi costituzionali e le nuove esigenze della società. Se si prescinde da qui, le riforme si riducono ad accontentare le lobby di turno. La riforma del Senato arriva dopo un dibattito durato trent’anni e indubbiamente riguarda il principio di sussidiarietà verticale. In quanto alla legge elettorale sono in gioco i principi di rappresentanza e partecipazione che devono potersi coniugare con molti elementi di impatto sulla gente: garantire la governabilità allo schieramento vincente, favorire la riduzione dei partiti e insieme garantire le minoranze, ridurre il numero dei parlamentari. Ma le riforme più avvertite dalla popolazione riguardano il lavoro, l’edilizia scolastica, la stessa giustizia, lo scandalo dei mancati pagamenti dei debiti della Pubblica amministrazione: non so se i politici e i governanti si rendano davvero conto del livello di assoluta disperazione di tanti piccoli e medi imprenditori che danno lavoro e pagano le tasse ma non ottengono il denaro al quale hanno diritto. Oltre che guardare agli orizzonti più alti, occorre pensare urgentemente a queste, di riforme».

Vi impensierisce un’economia di fatto in recessione?
«Urge una riforma del terzo settore, una svolta culturale oltre che politica. La produzione di beni a destinazione pubblica supera il paradigma economico rivelatosi inadeguato con questa crisi e genera occupazione, ma al servizio dell’uomo. Ripartire di qui sarebbe una sorta di “nuovo battesimo sociale” capace di generare speranza nel Paese».

Avete maturato un primo giudizio sul governo Renzi?
«Non spetta a noi valutare governi o consacrare formule. A noi, come ad ogni cittadino, spetta porre questioni, chiedere responsabilità, trasparenza, onestà. Ho incontrato esponenti del governo e con amarezza constato che troppe riforme si bloccano per l’ostilità, come ho già detto, di singole lobby. Invece urge, per esempio, una riforma della Pubblica amministrazione e della burocrazia che non sia solo di carta. Bisogna riformare anche la burocrazia della mente e del cuore. Piegarsi acriticamente all’attuale sistema significa nutrire le mafie, l’usura, il riciclaggio, le attività illecite, soffocare l’economia pulita, radicare nella popolazione il motto di mafia e 'ndrangheta: costringere il cittadino a chiedere per favore ciò che invece gli spetta per diritto».

Arriviamo alla fecondazione eterologa. A suo avviso di chi sono figli i due gemellini: dei genitori “naturali” o della coppia che ha portato a termine la gestazione?
«Impressiona che si sia dovuti arrivare a questo incidente, probabilmente non il primo, per vedere i rischi che si corrono quando si riduce un uomo a una macchina e quando si scambia il legittimo desiderio di avere un figlio per un diritto assoluto. Mi auguro che questi figli non si debbano mai trovare nella condizione di dover loro stessi scegliere con chi stare. Qui non c’è legge o tribunale che tengano: c’è in gioco la persona umana. E c’è anche una questione squisitamente antropologica. Come si fa a non tenere conto che tra la donna che porta a termine una gestazione, e il figlio che ha in grembo, si creano emozioni comuni, empatie non solo fisiche ...?».

Ha fatto bene il ministro Lorenzin a frenare la fecondazione eterologa nei centri pubblici?
«Fa bene soprattutto ad aprire un tavolo di confronto serio e non falsato da ideologismi per chiarire i capisaldi di una legge che si basi su fondamenti antropologici, non riducendo tutto a un meccanismo. Quando l’individualismo diventa l’unico criterio della storia, allora tutto diventa possibile e soprattutto si finisce per giustificare tutto. Anche qui, senza invocare fuorvianti complottismi, ci sono in gioco gruppi di potere. Faccio un esempio: oggi una famiglia composta da padre, madre e figli deve quasi chiedere scusa di esistere e viene descritta dai media come l’unico luogo dove avvengono solo guai e disastri. Con tutto il rispetto per chi compie quelle scelte, di contro, la rappresentazione delle famiglie omosessuali offre solo felicità. Uno strano ideologico modo di comunicare, mi sembra».

Si percepisce oggi un episcopato poco “interventista” rispetto al passato in materia politica e sociale...
«Non c’è alcuna contrapposizione rispetto al passato. Semplicemente cambiano le condizioni sociali e politiche, nella stessa Chiesa stessa cresce una consapevolezza nuova della sua missione: il bello della Chiesa è che non va avanti per schemi ma, appunto, per crescita».



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