Il dialogo è importante. Ma la riapertura del luogo simbolo della
concertazione non deve significare il ritorno al tempo delle trattative
interminabili e dei veti contrapposti, col parlamento esautorato e tanti
pezzi di società non rappresentati
Anche se il grande pubblico non ne è forse consapevole,
la sala Verde è il luogo più noto di palazzo Chigi. Prima o poi infatti
tutti abbiamo visto, nei telegiornali del passato, quel tavolo
lunghissimo lungo il quale si schieravano, faccia a faccia, da una parte
ministri, sottosegretari, funzionari e portaborse; e dall’altra
dirigenti sindacali (spesso di decine di sigle), delle associazioni
imprenditoriali e di categoria, altrettanti portaborse. Di solito
talmente tanta gente da richiedere due o anche tre file di sedie, una
dietro l’altra.L’ampia scenografia era funzionale al senso degli incontri:
si incontravano lì il governo e tutti coloro che rappresentavano o
pretendevano di rappresentare qualche interesse organizzato nel paese.
In quella sede il governo svolgeva di solito il ruolo di sovraintendente
ad accordi tra le parti, oppure sottoponeva propri obiettivi prima di
confezionarli in veri e propri disegni di legge. Non di rado morti
proprio lì dentro, prima di diventare articolati, sotto il fuoco
incrociato delle “parti”.
Naturalmente nella sala Verde si sono consumati anche momenti alti,
fra tutti l’accordo del luglio ’92 (governo Amato) che chiuse l’epoca
della contingenza (quello delle dimissioni di Trentin) e quello del
luglio ’93 col quale sindacati, imprenditori e governo Ciampi vararono
il sistema della contrattazione mista nazionale e territoriale.
Il problema è che da allora la concertazione s’è mossa sempre a
livelli molto più bassi, con esiti paralizzanti e trasmettendo un
crescente senso di esclusione a mondi del lavoro, del non-lavoro e della
produzione che nella sala Verde non avevano sedie da occupare, quindi
nessuna rappresentanza.
Quando Renzi ironizza sulla riapertura della sala Verde ammettendo di
«essere invecchiato», noi speriamo che non sia vero. Che cioè abbia ben
presente il dovere suo, del Pd, di tutti i partiti e del parlamento a
lavorare e legiferare nell’interesse anche e soprattutto di chi nella
sala non entrerà mai.
Ogni momento di dialogo è prezioso, e ci vorrà ben più di qualche ora
per discutere con tutti di legge sulla rappresentanza, di salario
minimo, di nuovi ammortizzatori universali, di rafforzamento della
contrattazione aziendale, di Tfr in busta paga. Ma il principio di
responsabilità politica e personale scaraventato da Renzi sulla scena
deve rimanere intatto. E il luogo delle decisioni per il bene di tutti è
il parlamento, non la sala Verde.
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