Corriere della Sera 10/10/14
corriere.it
Da mercoledì Beppe Grillo è a Roma,
all’hotel Forum. Alterna un gelato e la caccia a denaro contante
(«ma dove mettete i bancomat a Roma?») a colloqui politici, per
trovare un bandolo a un Movimento che celebra oggi la sua tre giorni
al Circo Massimo. I sondaggi continuano a premiare i descamisados a 5
Stelle, ma il Movimento è a un bivio. In Parlamento appare
impotente: la rivolta permanente risulta un’arma spuntata e
inefficace. Di qui il bivio: scegliere la Piazza come interlocutore
privilegiato, esaltando la parte più populista e di pancia; oppure
cambiare strategia politica, dialogando con interlocutori esterni. Ma
per farlo servono leader forti. Grillo e Casaleggio puntano su Luigi
Di Maio, giovane vicepresidente della Camera. Ufficialmente si nega.
Ma ieri Grillo lo ha ricevuto per tre ore, in hotel. «Perché avete
scelto proprio lui?», gli chiediamo. La risposta è scherzosa ma
eloquente: «Per rovinargli la vita».
L’evoluzione
Se Di
Maio rappresenta il (possibile) futuro, il presente è la Piazza.
L’asticella da superare è impegnativa. Nel 2010 il Movimento fece
segnare 140 mila presenze alla Woodstock a 5 Stelle, lo scorso anno
Grillo annunciò dal palco del terzo V-Day, a Genova, 200 mila
partecipanti. Il termometro politico dei sondaggi assicura che i
Cinque Stelle sono in buona salute. Oscillano in una forbice compresa
tra il 20 e il 23%: un consolidamento dei risultati ottenuti
nell’ultimo biennio, valori ormai difficili da etichettare come una
bolla destinata a sgonfiarsi in tempi rapidi. «È un movimento anti
establishment: le ragioni del voto ai Cinque Stelle non sono cambiate
negli ultimi due anni. Anzi restano immutate, alimentate da una certa
diffidenza nei confronti di Matteo Renzi», assicura il politologo
Roberto D’Alimonte. Che immagina anche l’orizzonte dei
pentastellati nel breve-medio termine: «Finché c’è Grillo come
leader e le condizioni economiche rimangono inalterate, una chance i
Cinque Stelle l’hanno. Ma ci sono molte variabili: prima tra tutte
proprio Renzi e le sue riforme». Anche Antonio Noto vede «il
consenso slegato dall’attività parlamentare del M5S: ciò che
avviene al Senato o alla Camera conta non più del 20%, l’80%
dell’elettorato li vota perché li considera gli unici in grado di
cambiare il ceto politico in Italia». Per il direttore di Ipr
Marketing è necessario che «il Movimento assuma una forma più
organizzata se vuole durare più a lungo». Scettico, invece,
Piergiorgio Corbetta, dell’Istituto Cattaneo. «L’ultimo anno
mezzo non è stato positivo per loro: la grande promessa o utopia di
trasformare la politica da una democrazia rappresentativa a
democrazia deliberativa grazie alla Rete è fallita». Non solo. «La
protesta ha favorito Renzi, che se ne è impossessato», spiega
Corbetta. In ogni caso, i Cinque Stelle sembrano non poter
prescindere da Grillo.
La leadership
Di Maio sarà l’ultimo
a parlare dal palco. Un segnale, si dice, dell’investitura a
leader. Il faccia a faccia di ieri con Grillo fa capire che tra i due
il rapporto è stretto. Eppure è difficile che ci sia una reale
investitura, se non simbolica. Anche perché nel Movimento sono in
molti a non gradire. A favore di Di Maio c’è il cerchio magico di
Grillo e Casaleggio. Ma la pancia del Movimento è meno morbida. I
dissidenti non lo considerano all’altezza. Ma anche tra
parlamentari non schierati i dubbi ci sono. Marta Grande lo dice
chiaramente: «Di Maio? Non è riconosciuto come leader carismatico
dal nostro gruppo. Prima o poi dovremo affrontare seriamente il
problema della leadership». Anche perché, altrimenti, si rischia di
perdere la rotta. Come spiega Walter Rizzetto, tra i più critici:
«Siamo nel caos. Procediamo in ordine sparso. L’ostruzionismo non
ci sta portando a nulla. Dovremmo deciderci a cambiare: a convergere
con altri partiti, innanzitutto sui singoli temi, ma non solo».
I
sindaci
Da tempo il sindaco di Parma Federico Pizzarotti è
emarginato dal Movimento. Non è un caso la sua esclusione dal palco
del Circo Massimo. Del resto lui stesso non perde occasione per
segnare la sua autonomia. Al suo posto, sul palco, ci sarà Filippo
Nogarin, sindaco di Livorno. Che Di Maio definisce «il sindaco più
rappresentativo dei 5 Stelle». Quello dei sindaci è un capitolo
incandescente per il M5S. Perché spesso (come è successo alla Lega)
ottengono una visibilità e un’autonomia mal tollerata dal centro.
Marco Fabbri, sindaco di Comacchio, ha appena disobbedito ai diktat
del blog, accettando di entrare in un listone con il Pd per le
Provinciali. Fabbri non ha timori e alla Nuova Ferrara spiega: «Beppe
non deve mettere il naso nelle questioni locali. Se lo fa, gli ho già
detto che sono libero di dirgli vaffanculo». Autonomia rivendicata,
con altri toni, da altri sindaci. Come Fabio Fucci, di Pomezia: «Noi
sindaci siamo gente pratica, non facciamo polemiche. Pizzarotti è un
ottimo sindaco». Alvise Maniero, di Mira, si smarca: «Non ho il
chip di Casaleggio nel cervello, nessuno mi ha mai detto cosa fare.
Siamo in trincea, pensiamo solo a combattere e a rispondere ai nostri
elettori»
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