Corriere della Sera 26/10/14
Aldo Cazzullo
La sinistra del futuro è il mungitore
sikh con bandiera rossa o Fabio Volo con telecamera?
I precari
dei trasporti o il finanziere Serra che propone di impedire loro di
scioperare? I tipografi dell’ Unità con la foto degli occhiali
rotti di Gramsci o i nuovi alfieri del made in Italy Bertelli,
Farinetti, Cucinelli?
La mattinata al corteo della Cgil e il
pomeriggio alla Leopolda hanno mostrato che la scissione — anche
cromatica — non è nelle volontà, è nelle cose. Mai vista a Roma
una manifestazione così rossa, ognuno con la sua pettorina: chimici,
tessili, agroindustria, costruzioni e legno, energia e manifattura,
trasporti e Nil, Nuove identità di lavoro, che non si sa come
chiamare. A Firenze in molti hanno avvertito l’opportunità di
indossare la camicia bianca. Contro Berlusconi la Cgil sfilava in
un’atmosfera di rabbia e di gioia, si sentivano tensione ed
energia. Stavolta il sentimento prevalente è l’angoscia. Certo, si
canta e si balla con gli inni tradizionali — Bandiera Rossa, Bella
Ciao, Contessa — e la musica etnica. Ma i manifestanti raccontano
storie di sconfitte e talora di disperazione, come quelle degli ex
lavoratori dell’ex stabilimento Montana di Paliano, Frosinone:
«Sono venuti di notte con i Tir, hanno portato via i macchinari e la
merce, non abbiamo più trovato nulla. In 36 siamo rimasti senza
lavoro». Alla Leopolda si tenta di rappresentare la fiducia e si
finisce per esprimere soddisfazione, talora compiacimento. Rituale
tra la convention Usa e la seduta degli alcolisti anonimi: «Mi
chiamo Alfredo, sono il direttore di una piccola società di
biotecnologia…». Slogan: «Il futuro è solo l’inizio».
Anche
Landini con felpa Fiom dice che «questo corteo è solo l’inizio».
Se Renzi ha conquistato il centro, è inevitabile che alla sua
sinistra nasca un nuovo partito; e i punti di riferimento non saranno
certo D’Alema e Bersani, cui neppure la minoranza Pd obbedisce più,
e forse neanche la Camusso, che con tono lamentoso critica la prima
manovra espansiva di un governo italiano da tempo. Landini appare il
leader predestinato della sinistra che verrà, l’antagonista
naturale di Renzi, cui lo avvicina un feeling personale ma da cui lo
separa il sospetto di essere stato usato, anche in funzione
anti-Cgil. In futuro potranno ancora rendersi utili l’uno
all’altro: il premier confermerà di aver rotto con la sinistra
tradizionale, il sindacalista di essere l’unico vero oppositore.
Per Renzi il corteo non esprime odio ma estraneità, i pensionati
della Spi imbacuccati contro il primo freddo ne parlano come di un
nipotino deviato, i percussionisti africani in maglietta portano un
cartello con la sua caricatura.
Renzi si improvvisa conduttore e
chiama sul palco i «cortigiani» come li definisce Vendola, in
realtà tra i più importanti imprenditori italiani, qualcuno sin
troppo entusiasta. Cucinelli vaticina «un grande rinnovamento
morale, civile, economico, spirituale». Oggi è atteso Farinetti:
«Dirò che sono un renzista, non un renziano; fedele al metodo, non
all’uomo». Dall’ultima Leopolda è cambiato tutto, Renzi è
andato al governo, ha ricompattato il partito chiudendo l’accordo
con Errani in Emilia e Rossi in Toscana, ha messo ai margini gli
uomini del rinnovamento come Richetti, che è venuto lo stesso. La
sinistra è al potere ma l’Unità ha chiuso, «il voto a tempo
indeterminato non esiste più» dice del resto il premier, tra due
anni potrebbe avere un Parlamento docile nelle sue mani con Salvini
sindaco di Milano e la Meloni di Roma. Patrizio Bertelli, il signor
Prada: «Io rispetto gli operai, ho passato la vita con loro, ma
questo corteo mi è sembrato una liturgia, come la Pasqua e il
Natale».
Alla fine si è andati o di qua o di là, nessuno ha
osato farsi vedere sia al corteo sia a Firenze, neppure l’ex
segretario del sindacato e del partito, Epifani: «Ho scelto Roma,
non ce la faccio ad andare alla Leopolda, che comunque considero
interessante. Il problema è come il Pd possa tenerla insieme con una
piazza in cui la maggioranza l’ha votato». Un problema
irrisolvibile. Non è come quando i ministri comunisti di Prodi
protestavano contro il loro stesso governo: quella fu una
contraddizione, o un’astuzia, subito punita dagli elettori. Ora ci
sono due mondi separati, che non si riconoscono e non si appartengono
più.
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