Gli avversari di Renzi sono riusciti a far sorgere un dubbio, lui
deve smentirlo: il suo scontro è con gli apparati di potere, non con il
mondo del lavoro, tanto più sotto i colpi della crisi.
Matteo Renzi non si fermerà, né rallenterà, né devierà
dal proprio tragitto. Chi lo pensa, o insiste a chiederglielo, continua
più che altro a non capire l’essenza del personaggio, che prevede
aggiustamenti tattici e cambi di velocità ma sempre in un crescendo
coerente con la concezione di una politica che non ammette la
conservazione dell’esistente (buono, mediocre o cattivo che sia).
Detto questo, il premier si trova a dover perfezionare il messaggio.
Perché, complici anche i dati di cronaca, per qualche momento è balenata
l’immagine di una locomotiva Italia spinta a grande velocità dal
capotreno mentre dietro alcuni vagoni oscillano pericolosamente e si
avverte la possibilità di un deragliamento sociale.
La rassicurazione non è una tonalità comunicativa consueta per Renzi,
che la assimila a perdita di dinamicità, freno rispetto alla
sollecitazione a rimettersi in moto assumendo dei rischi.
L’incontro di ieri a palazzo Chigi con Landini e i suoi
metalmeccanici aveva uno scopo immediato: rimediare a una giornata nera
per l’immagine del governo, sanare una ferita. Operazione compiuta,
anche grazie alla maturità del leader della Fiom. Conteneva però anche
un messaggio più generale, non correzione ma completamento
dell’aggressivo discorso della Leopolda: in Italia non c’è da piegare
alcun ceto sociale né categoria, non c’è nessuno nel mondo del lavoro
che deve pagare per lo sforzo collettivo di ripartire.
Renzi deve spiegarlo meglio, perché i suoi avversari politici sono
riusciti a sollevare un dubbio in proposito: lo scontro è con gli
apparati di potere, in ogni luogo e a ogni livello; nel sindacato come
nel padronato; nel privato come nel pubblico; nelle professioni
corporative come nell’amministrazione. Non coi lavoratori d’ogni genere,
i quali a seconda dei casi possono aspettarsi di avere ridotte le
tutele ed eventualmente i privilegi, ma non di essere scritti sulla
lavagna dei cattivi di palazzo Chigi.
Lo slogan del governo antipopolare è grezzo, anacronistico,
inverosimile se indirizzato a Renzi e Padoan. Ma non sarà neutralizzato
da slogan opposti. Ci vuole applicazione ravvicinata, come fatto ieri
per la vertenza Ast. E bisogna rafforzare gli strumenti di protezione
variamente presenti nel Jobs Act e nella legge di stabilità: non tutti
possono permettersi, come i ternani dalla testa dura, di battersi per il
lavoro sotto una gragnuola di colpi.
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