Corriere della Sera 25/10/14
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Reuven Rivlin è stato eletto
presidente dopo il carismatico Shimon Peres, i capelli argento
pacifisti che tutti riconoscono in Europa. In contrapposizione con il
Nobel per la pace, Rivlin (irrobustito e irrigidito nella destra
israeliana) non crede alla soluzione dei due Stati – i palestinesi
non otterranno l’indipendenza da Israele – eppure continua a
cercare soluzioni per quella che ormai considera una società
«malata». Ha girato un video muto che commuove più di mille parole
contro la violenza/bullismo a scuola assieme a un bambino arabo, ha
ripetuto gli appelli contro il razzismo più di qualsiasi slogan
nazionalista.
Vuole provare a mettere insieme i cocci di un
Paese e di una Storia fratturati, «tikkun olam» è l’espressione
in ebraico. Uno dei vasi frantumati nel passato che il neo-presidente
vuole ricomporre è la memoria del massacro a Kfar Kassem, villaggio
arabo dove nel 1956, primo giorno della guerra del Sinai, la polizia
di frontiera israeliana (fa parte dell’esercito) uccise 47 persone,
tra loro 9 donne e 17 bambini, non avevano rispettato il
coprifuoco.
Domani una cerimonia commemora la strage e Rivlin ha
voluto esserci. Il Likud, il suo partito, lo ha attaccato. Non ha
cambiato idea, ha voluto esserci, l’aveva promesso prima di
ricevere l’incarico. Perché – gli riconosce Haaretz, da sempre
quotidiano della sinistra israeliana – sta cercando di essere il
presidente di tutti. Anche degli arabi israeliani, di quelli che
vogliono essere chiamati palestinesi e hanno la cittadinanza (come
minoranza) dello Stato ebraico. Sono loro ad aspettarsi che a Kfar
Kassem nel discorso Rivlin dica «abbiamo sbagliato, chiediamo
scusa». La diplomazia israeliana — proclama un detto confermato
negli ultimi 35 anni — è fatta da politici di destra che firmano
gli accordi di pace. Anche la pace con se stessi, quella che
riconosce gli errori commessi, non solo i torti subiti.
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