Intervista a Fulvio De Giorgi
di Pierluigi Mele
Il 19 Ottobre, a Roma, ci sarà
la Beatificazione di Papa Paolo VI. Il grande Papa
del Concilio, e del protagonismo dei laici nella Chiesa e nella
Società. Per comprendere l’attualità della sua figura abbiamo
intervistato il professor Fulvio De Giorgi, storico del Movimento
Cattolico italiano, autore di un’opera su Paolo VI in uscita nel
prossimo mese di Novembre.
Professore, domenica prossima, in San
Pietro, Papa Bergoglio proclamerà Beato Paolo VI. Qual’è la
lezione “perenne” , per tutta la Chiesa, del magistero di Papa
Paolo VI?
Una valutazione storica complessiva del
pontificato di Paolo VI e della sua lezione storica “perenne”,
come Lei efficacemente la definisce, si lega indissolubilmente al
Concilio Vaticano II. Il Concilio infatti, deciso e avviato
profeticamente da Giovanni XXIII, rischiava di arenarsi e di fallire,
anche per l’emergere di divisioni e contrasti. Fu dunque merito di
Paolo VI avere condotto il Concilio alla sua meta, aver realizzato
così un ‘corpus’ imponente (per qualità, ma anche per quantità)
di documenti innovatori e aver ottenuto su questi documenti
praticamente l’unanimità dei vescovi. Il Concilio Vaticano II fu
veramente e in molti sensi il Concilio di Paolo VI. Pertanto il
giudizio storico sul pontificato di Paolo VI si lega al giudizio
storico che si dà del Concilio: se si pensa (come anch’io penso)
che il Concilio abbia avuto un’importanza storica straordinaria,
realizzando una svolta epocale (che non vuol dire una ‘rottura’)
nella storia della Chiesa cattolica, allora pure il pontificato di
Paolo VI ha avuto un’importanza storica straordinaria. I
fuochi principali furono, a mio avviso, due: la Chiesa dismise
l’atteggiamento anti-moderno che aveva assunto da secoli e
abbracciò un sereno dialogo con il Moderno; nel contempo la Chiesa
smise di essere etnocentrica, eurocentrica, romanocentrica e divenne
veramente una Chiesa mondiale, in cui le chiese locali di periferia
non erano più terminali passivi, ma membra attive.
Per gli storici della Chiesa il
pontificato di Papa Montini è stato il “pontificato del dialogo”,
vedi l’Enciclica “Ecclesiam Suam”, ovvero l’apertura,
confermata dal Concilio Vaticano II,della Chiesa al Mondo. Le chiedo:
cosa lega l’attuale pontificato di Papa Francesco a quello di Paolo
VI?
Sono molti i ‘fili storici’ che
legano Bergoglio a Montini e fanno di papa Francesco un vero
montiniano. Avrei bisogno di molto spazio e molto tempo per
ripercorrere tutti questi fili (legami di Paolo VI con l’America
latina e con l’Argentina; il card. Pironio; la conferenza di
Medellin; il teologo Gera; e insieme i rapporti di Paolo VI con i
Gesuiti, con Arrupe, con la XXXII Congregazione generale della
Compagnia, che portò al decreto n. 4, così ‘montiniano’ e così
decisivo per capire Bergoglio) e per indicare i documenti di Paolo VI
che sono necessari per comprendere Francesco (sicuramente, come Lei
osserva, “Ecclesiam Suam”; ma anche “Gaudete in domino” e
“Evangelii Nuntiandi”: che sono quasi sintetizzate nella
bergogliana “Evangelli Gaudium”). Ma mi devo limitare ad indicare
il grande discorso di chiusura di Paolo VI al Concilio Vaticano II,
più volte richiamato – esplicitamente e implicitamente – da
Francesco. Allora Montini fece vedere come nei piccoli (poveri,
sofferenti, bambini) il cristiano vede il volto di Gesù, ma chi ha
visto Gesù ha visto il Padre: dunque dall’amore del povero e solo
dall’amore del povero si giunge veramente a Dio.
Giovanbattista Montini, prima di
diventare Papa, è stato un protagonista assoluto del cattolicesimo
italiano. Infatti, la maggior parte della classe dirigente cattolica
italiana della Prima Repubblica veniva dalla Fuci di Montini (es.
Aldo Moro). Le chiedo: si può considerare Papa Paolo VI
maestro di laicità?
Indulgendo per un momento alla ‘storia
controfattuale’, immaginiamo che Giovanni Batista Montini fosse
morto nel 1954 (prima di diventare arcivescovo di Milano e poi papa),
ebbene sarebbe stato comunque uno dei grandi personaggi della storia
della Chiesa contemporanea! Tra i suoi meriti vi fu pure, non
piccolo, quello di aver formato la ‘classe dirigente cattolica’:
non quella, come volevano alcuni, che doveva raccogliere l’eredità
di Mussolini realizzando un fascismo cattolico, con un’ideologia
nazional-confessionale; ma quella (formata nella Fuci e nei Laureati
cattolici) di sentimenti antifascisti, ispirata al pensiero di
Maritain, che avrebbe costruito la democrazia italiana, con uno
spirito di vera laicità. La gran parte dei maggiori Costituenti e
uomini politici italiani del secondo dopoguerra era legatissima a
Montini: faccio solo i nomi di De Gasperi, La Pira e Moro. Tuttavia
vorrei aggiungere che, davanti ad un uomo-mondo quale fu
Montini-Paolo VI, non dobbiamo rimanere nell’orizzonte solo
italiano. Se dovessi dire quali furono i politici che più si
avvicinarono agli ideali montiniani direi, senz’altro, John e
Robert Kennedy, che egli incontrò personalmente e stimò.
Anche nel magistero sociale della
Chiesa Paolo VI è stato un innovatore (vedi la Populorum
Progessio e l’Octogesima Adveniens). Cosa resta di quel Magistero
sociale?
I due grandi documenti, che Lei ha
giustamente richiamato, ricollegandosi strettamente alla Costituzione
conciliare “Gaudium et Spes” (da Paolo VI fortemente voluta)
realizzarono una ‘svolta’ di portata gigantesca: milioni di
cattolici nel mondo che fino allora avevano prevalentemente coltivato
ideali sociali e politico-civili di conservazione e di ordine si
spostarono su posizioni democratiche avanzate, tendenti alla riforma,
alla giustizia sociale e alla pace. Certo nel periodo che va dalla
fine del XX secolo all’inizio del XXI, con l’egemonia mondiale
del neo-liberalismo (e l’attacco alle politiche di Welfare) tutto
questo è stato oscurato. Anche nella Chiesa sono emersi movimenti
conservatori e neotradizionalisti che hanno o dimenticato Paolo VI o
hanno cercato di dare una lettura conservatrice di quel pontificato:
come se fosse stato una sorta di Pio XIII. Letture storiograficamente
sbagliate e false. Ma con un chiaro intento ecclesiale: archiviare il
Concilio. E con un altrettanto chiaro intento politico: archiviare il
cattolicesimo democratico-sociale. Ma la drammatica crisi
finanziario-economico-sociale, che ci angustia dal 2007, fa vedere i
disastri del neo-liberalismo. E fin dal pontificato di Benedetto XVI
si è visto che ciò ha portato ad uno ‘tsunami’ distruttivo
anche nella stessa vita della Chiesa e della fede. Come rispondere
alla desertificazione neo-liberale dei cuori? Non c’è dubbio: con
il Concilio e con Paolo VI. Non parlo perciò del montinismo del
passato, che è alle nostre spalle, ma di un necessario montinismo
del futuro. È quello che papa Francesco sta cercando di fare. Spero
che ci riesca.
Quella di Papa Montini è stata una
spiritualità altissima. Che tipo di Spiritualità alimentava la sua
fede?
La spiritualità di Paolo VI è insieme
semplice – un cristocentrismo evangelico – ma anche complessa a
volerne indagare in profondità le fonti bibliche, patristiche,
intellettuali e spirituali (Pascal, Teilhard de Chardin, Charles de
Foucauld, per esempio). Ma se devo limitarmi a poche battute,
preferisco cedere la parola a lui stesso.
Visitando, primo papa nella
storia, la Terra santa, Montini così pregò:
Beati noi se, poveri nello spirito,
sappiamo liberarci dalla fallace fiducia nei beni economici e
collocare i nostri primi desideri nei beni spirituali e religiosi; e
abbiamo per i poveri riverenza ed amore, come fratelli e immagini
viventi del Cristo.
Beati noi se, formati alla dolcezza dei
forti, sappiamo rinunciare alla potenza funesta dell’odio e della
vendetta e abbiamo la sapienza di preferire al timore che incutono le
armi la generosità del perdono, l’accordo nella libertà e nel
lavoro, la conquista della bontà e della pace.
Beati noi se non facciamo dell’egoismo
il criterio direttivo della vita, e del piacere il suo scopo, ma
sappiamo invece scoprire nella temperanza una fonte di energia, nel
dolore uno strumento di redenzione, e nel sacrificio la più alta
grandezza.
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