Corriere della Sera 29/10/14
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Ieri è entrato in scena il Precedente.
Ossia un fatto istituzionale mai avvenuto prima, che però da qui in
avanti potrà replicarsi all’infinito. È la grammatica delle
democrazie, intessute di regole scritte e d’interpretazioni
iscritte nella storia. E il Quirinale non fa certo eccezione. Anzi:
ogni presidente è un precedente per chi viene dopo, ciascuno
consegna al successore un capitale d’esperienze diverso da quello
che lui stesso aveva ricevuto. Nel luglio 2012 Napolitano sollevò un
conflitto contro i magistrati di Palermo, dinanzi ai quali ora ha
accettato di deporre. In quell’occasione citò Luigi Einaudi, per
ribadire l’esigenza che nessun precedente alteri il lascito del
Colle. Esigenza giusta, ma al contempo errata. Per soddisfarla a
pieno, dovremmo fermare l’orologio.
Da qui la lezione che ci
impartisce la vicenda. Napolitano avrebbe potuto rifiutarsi di
testimoniare, come ha ammesso la stessa Corte di Palermo. Poteva
farlo perché l’articolo 205 del codice di rito configura la sua
testimonianza su base volontaria, escludendo qualsiasi mezzo
coercitivo. Bastava dire no, e anche il diniego avrebbe offerto un
precedente. Invece ha detto sì. E ha fatto bene: chi non ha nulla da
nascondere non deve mai nascondersi. Ecco perché lascia un
retrogusto amaro la decisione di tenere l’udienza a porte chiuse.
Forse la diretta tv avrebbe compromesso il prestigio delle nostre
istituzioni. O forse no: dopotutto nel 1998 la testimonianza di Bill
Clinton sul caso Lewinsky si consumò a reti unificate. In ogni caso
era possibile esplorare una via di mezzo, magari una trasmissione
radiofonica, magari un resoconto dalla stampa accreditata.
Perché
la qualità del precedente si misura dalla sua ragionevolezza.
Dipende perciò dall’attitudine a comporre istanze contrapposte,
forgiando un modello cui potrà attingersi in futuro. Specie quando
ogni istanza rifletta un valore costituzionale, come succede in
questo caso: l’autonomia della magistratura; il diritto di difesa,
che vale pure per Riina; il riserbo sulle attività informali del
capo dello Stato. Ma c’è ragionevolezza nel processo di
Palermo?
A osservare l’aggressività dei pm, parrebbe di
no; non a caso quel processo ha già innescato un conflitto fra
poteri. A valutare talune decisioni del collegio giudicante, parrebbe
di sì: per esempio la scelta di non ammettere in videoconferenza i
boss mafiosi nel palazzo che rappresenta la Repubblica, bensì
soltanto i loro difensori. E quanto è stato ragionevole l’esame
testimoniale? Non lo sappiamo, bisogna attendere la diffusione del
verbale. Nel frattempo girano versioni contrastanti, i presenti
rilasciano interviste, le interviste inondano i tg. Ma che l’avvocato
di Riina diventi per un giorno il portavoce del Quirinale, almeno
questo è un paradosso che potevamo risparmiarci.
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