Corriere della Sera 06/10/14
Simona Ravizza
Chissà se il Cardarelli di Napoli è
davvero più pulito del Sant’Orsola di Bologna. Le camere dei
pazienti, i bagni e i corridoi dovrebbero essere impeccabili. I costi
per la pulizia dell’ospedale napoletano sono più del doppio
rispetto a quelli emiliani e rappresentano il record a livello
nazionale: 17.583 mila euro per posto letto contro i 6.518 del
Sant’Orsola. La media è di 7.957 euro. Magari al De Lellis di
Catanzaro salvano i malati per telefono, visto che la spesa per le
utenze telefoniche è il triplo di altri ospedali italiani (2.782
euro contro 910 a posto letto). E com’è possibile che tra il
Careggi di Firenze e il Niguarda di Milano — a parità di
dimensioni — ci sia una differenza di dieci volte per l’elettricità
(6.737 euro contro 604 a posto letto)?
Dall’elaborazione degli
ultimi dati disponibili del ministero della Salute pubblicati online
sull’attività economico-sanitaria (2011) emerge una fotografia su
possibili sprechi e inefficienze. Di quanti soldi ha bisogno ogni
anno un ospedale per sopravvivere? Basta dividere i costi messi a
bilancio con i posti letto per avere risultati sorprendenti. Le cure
mediche offerte ai malati sono le stesse, ma la spesa è enormemente
differente tra un ospedale e l’altro. All’Umberto I di Roma sono
necessari più di 500 mila euro per ogni letto utilizzato, mentre al
San Matteo di Pavia ne bastano 380 mila. Per la spesa di medici e
infermieri (tra dipendenti, universitari e precari) il Policlinico
Giaccone di Palermo sopporta un costo di 182 mila euro per ciascun
letto contro i 130 mila dell’ospedale universitario di Parma.
In
gioco ci sono soldi pubblici. La spesa degli ospedali vale più di 50
miliardi l’anno (sui 112 complessivi). E sapere come vengono usati
è fondamentale. Per il governo Renzi a caccia di 20 miliardi per la
manovra 2015 i tagli alla Sanità sono l’obiettivo numero 1. Ma i
governatori sono insorti dichiarando che si mette a rischio la tenuta
del servizio sanitario nazionale e quindi la salute dei cittadini.
Bloomberg sembra dargli ragione: per il network mondiale
d’informazione finanziaria, l’Italia è il terzo sistema
sanitario più efficiente al mondo (preceduta solo da Singapore e
Hong Kong). Chi ha ragione? È possibile ridurre i costi senza
intaccare la qualità delle cure?
Tutti i numeri sono da
prendere con le molle. L’obiettivo non è stilare classifiche
(sempre opinabili) tra spendaccioni e virtuosi. Le enormi disparità
di spesa fanno capire, però, che troppo spesso ci sono costi non
collegati strettamente alla cura dei malati. Qui dentro si nasconde
un tesoretto. I risparmi possibili. E le cifre in ballo sono da
capogiro. La differenza tra ospedali obbliga a una riflessione. Se
fosse possibile all’Umberto I spendere per posto letto quanto il
San Matteo di Pavia (entrambi storici policlinici universitari)
l’ospedale romano ridurrebbe le uscite di 137 milioni di euro
l’anno (un quarto del bilancio).
I dati sono stati analizzati
con l’aiuto del Centro studi sanità pubblica dell’Università
Bicocca di Milano, insieme al fondatore Giancarlo Cesana e al
ricercatore Achille Lanzarini. Numeri, tabelle, statistiche. È un
mare magnum.Anche i più consolidati luoghi comuni sull’efficienza
del Nord vengono messi in dubbio. L’ospedale universitario di Udine
(dov’è in corso un piano di tagli contro un buco da 10 milioni)
costa 170 mila euro in più a posto letto rispetto al suo omologo di
Messina. Nella stessa Sardegna il Brotzu di Cagliari spende per
tecnici, amministrativi e, in generale, personale non sanitario il
triplo a posto letto rispetto all’ospedale universitario di Sassari
(34 mila euro contro 11 mila). Per medici e infermieri al San
Giovanni/Addolorata di Roma la spesa per posto letto è di 172 mila
euro contro i 140 mila di Padova, ma lo stipendio del personale
pubblico è uguale in tutt’Italia. La differenza è spiegabile,
dunque, solo con un diverso numero di lavoratori in corsia: ma ne ha
troppi il San Giovanni/Addolorata o troppo pochi Padova? Un
interrogativo simile nasce se si butta un occhio ai giorni di
ricovero: nella Chirurgia generale del San Giovanni/Addolorata la
degenza media è 11 giorni contro i 7 di Padova. Un caso?
Una
cosa è certa: i costi della sanità sono un caos. E per cambiare,
forse, non servono tagli lineari che penalizzano tutti allo stesso
modo, ma manager capaci di individuare le spese improduttive e di
riorganizzare l’attività. Premiando i medici e gli infermieri più
bravi. E senza investimenti è dura. I costi bassi dell’energia di
Niguarda? Sono iniziati con un investimento lungimirante di 22
milioni per un cogeneratore.
Nessun commento:
Posta un commento